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DON MILANI INDIPENDENTISTA: VENTIMILA SANMARINI, LA PROFEZIA DELLA SOVRANITÀ DEI POPOLI. DA DON MILANI A SALVADORI –

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 La scuola di don Milani

 

 

Nella bella Sala Paladin del Palazzo Moroni, si è tenuta nei giorni scorsi la presentazione del saggio “Ventimila Sammarini” – “ La Profezia sulla inevitabile sovranità dei Popoli di tutto il mondo, vista da Don Milani, da Don Giussani e dalla Toscana” (Ed. Il Cerchio”, Rimini 2014)

 

Ha aperto i lavori il dott. Manrico Casini Velcha,  Segretario Generale del Centro Formazione e Ricerca Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana di Vicchio di Mugello (Fi). L’oratore ha illustrato le parti salienti della vita del Profeta di Barbiana, dalla agiata e ricca giovinezza al Seminario, mettendo in evidenza il grande Servizio che ha reso – da Sacerdote fedelissimo – alla Chiesa, anche promuovendo la Scuola di Barbiana. Ma Don Lorenzo Milani oggi emerge, soprattutto, per le Profezie testimoniate da Alessandro Mazzerelli.

 

“Un uomo – ha detto – che non abbiamo capito per molto tempo” Riscoperto anche grazie ad una clamorosa lettera, occultata per ben quaranta anni, nella quale Don Milani afferma di essersi trovato perfettamente d’accordo con  Mazzerelli e che tutti i suoi “ragazzi” avrebbero aderito all’Associazione “Forza del Popolo”, fondata dallo stesso Mazzerelli nel 1962.

E’ questa, insieme alla grande coerenza manifestata in quasi mezzo secolo, la ragione fondamentale per la quale il Centro Formazione e Ricerca Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana gli ha rilasciato la Tessera Onoraria. “Credere nella buona fede del Mazzerelli, che ha sempre pagato per le sue idee – ha concluso – è credere nel vero Don Milani”.

 

L’Autore Alessandro Mazzerelli inizia ringraziando la Divina Provvidenza per consentirgli ancora una volta, di dare testimonianza ai grandi eventi che lo hanno moralmente e politicamente condizionato per tutta la vita.

Tre sono le date fondamentali il 31 luglio 1966, il 2 giugno 1976 e il 18 settembre 1988 a cui aggiunge la circostanza dell’incontro con l’Autonomista Bruno Salvadori.

Il 31 luglio 1966 è il giorno in cui a Barbiana furono pronunciate le ormai famose Profezie. Quelle sulla natura e la fine del comunismo, sulla bestemmia demo “cristiana”, sul sublime Decalogo di Barbiana e sulla lotta al futuro moundialismo-imperialista tramite il sorgere di “ventimila sammarini”.

 

Il Profeta indicò con fermezza la linea rossa – per i cattolici insuperabile – in difesa della famiglia e della civiltà cristiana, ma conclude che prima dell’avvento del “bene” : il Decalogo di Barbiana e i Ventimila Sammarini  “… scorrerà molto sangue e sia la degenerazione morale che quella politica giungeranno a livelli di incredibile bassezza.”

L’Autore ricorda che su richiesta del Profeta  promise  “ di non tradire, per nessuna ragione, quanto si erano detti e quanto avevano concordato.”

 

Il 2 giugno 1976, contro la strumentalizzazione politica del Profeta da parte del PCI, grazie a Padre Reginaldo Santilli O.P. (Direttore del giornale diocesano “Osservatore Toscano”) scende in campo Don Luigi Giussani, il fondatore di “Comunione e Liberazione”  che, conosciute le Profezie milaniane si reca nel paese di origine dell’Autore, Pozzo della Chiana (Arezzo), ove, a conclusione di un bellissimo Convegno milaniano, si dice convinto che il “Decalogo di Barbiana” “Risolve la secolare contraddizione tra Fede e potere” mentre l’alternativa ai “Ventimila  Sammarini” : “Sarà la barbarie dell’imperialismo mondialista.

 

Nel 1978/79 avvengono i colloqui con  Bruno Salvadori, parlamentare Autonomista della Valle d’Aosta di origine toscana.

Si studiano e si individuano nella regione geografica italiana 9 possibili “sammarini”, 12 con San Marino, il Vaticano e la Corsica.

Si propone una Lega con presidente a girare annualmente fra tutti i Movimenti Autonomisti, con la quale “combattere e disarticolare il centralismo romano.”

 

Si costituisce il Movimento Solidale, incardinato nel “Decalogo di Barbiana”  che rivendica nelle elezioni amministrative del 1985 l’Autonomia della Toscana. Le idee più importanti del  Movimento Solidale, dal “commercio equo e solidale”  alla “Banca Etica”, saranno oggetto di appropriazione indebita da parte delle organizzazioni comuniste e cattocomuniste. Il Movimento Solidale riuscirà ad organizzare un Convegno con Solidarnosc, presso la Certosa di Firenze.

 

Il 18 settembre 1988 al Festival Nazionale de “L’Unità” a Campi Bisenzio (Firenze)  un dirigente comunista manifesta l’inaudito cinismo con il quale annuncia che dal 1989 il PCI farà giungere in massa gli extracomunitari  “… per rilanciare la lotta di classe, disarticolare l’Occidente e la Chiesa Cattolica.

E’ l’affermazione che conferma la lucidissima definizione del comunismo data dal Profeta :

Il comunismo è la mediazione e l’organizzazione politica di ogni male, al fine di consentire, ad una classe dirigente parassitaria e brutale, ogni forma di gestione del potere sulle spalle degli ultimi.”

 

L’Autore osservata per oltre un anno la strategia del PCI e constatato che assieme alle organizzazioni collaterali CGIL, ARCI etc.  sponsorizzava, attraverso l’invasione extracomunitaria, la società multietnica per i fini e gli scopi enunciati al Festival de “L’Unità”, dava vita al  Movimento Autonomista Toscano, sempre in coerenza con l’impianto Profetico di Barbiana.

 

Conclude, avvertendo che siamo davanti ad un abisso, con la frase “Che Dio e la Santa Vergine ci aiutino!”

 

L’Onorevole Alberto Lembo ricorda il ruolo della scuola italiana nell’escludere gli ultimi. Don Milani intendeva insegnare quelle 5000 parole, la cui ignoranza rendeva i figli dei mezzadri perennemente handicappati nei confronti dei “pierini”.

Così come vuole riscattare i figli degli ultimi, Don Milani intende difendere la dignità e l’identità dei popoli oppressi dal  “risorgimento”.

 

Ma Don Milani è profetico anche perché con i “Ventimila Sammarini” pensa di ostacolare l’imperialismo mondialista, che vuol dare a tutti lo stesso cibo e lo stesso vestito.

Il comunismo, comunque camuffato, è entrato in una irreversibile crisi ideologica e per recuperare il consenso “popolare” impone false necessità che infrangono la “linea rossa”  di Don Milani e di Don Giussani : l’aborto, il divorzio facile, l’eutanasia, il matrimonio fra pederasti e lesbiche ecc..

Denuncia il contraddittorio comportamento internazionale sul fondamentale diritto all’autodeterminazione dei popoli,  che vede, ad esempio, la sua promozione in Kossovo, terra storicamente ortodossa e serba, mentre viene negato e sabotato ai danni dei russofoni oppressi in Ucraina. Ricorda che l’intero impianto profetico di Don Milani si oppone all’obbiettivo massonico che punta alla scomparsa delle religioni e di ogni identità.

 

Il Comitato Nazionale Pro – Don Lorenzo Milani è grato al dott. Guglielmo De Marinis, Segretario Provinciale del MAT fiorentino, per aver accompagnato a Padova il Testimone dei Profeti. Graditissima anche la presenza di  Madre Natalia Vladimirovna Alexsandrova , Suora Ortodossa in San Pietroburgo (Russia).

 

Firenze, 5 febbraio 2015

 

Comitato Nazionale pro Don Lorenzo Milani – Casella Postale 1208 – 50100 Firenze

 

 

Fonte: visto su L’Indipendenza del 7 febbraio 2015

Link: http://www.lindipendenzanuova.com/ventimila-sanmarini-la-profezia-della-sovranita-dei-popoli-da-don-milani-a-salvadori/

 

 

 

 

DON MILANI INDIPENDENTISTA: “SERVONO 20.000 SAN MARINO

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Don Milani

 

Gli imperialismi? Ci vorrebbero ventimila sammarini per eliminarli. Il mondo cambierebbe radicalmente in meglio, sarebbero protette le culture e le identità. Sostanzialmente sarebbe protetta anche la pace, perché le guerre diverrebbero guerricciole.”

(Don Lorenzo Milani, Profeta in Barbiana, 31 luglio 1966)

 

 

Ma questo don Milani era un Profeta! Ha ragione! Ha ragione! Ci vogliono ventimila sammarini o sarà la barbarie” (Mons. Luigi Giussani , Pozzo della Chiana – Arezzo – 2 giugno 1976)

 

Dopo il Convegno nella Sala del Gonfalone della Regione Toscana dello scorso anno, la giornata sammarinese, del 25 maggio prossimo,  è un altro caposaldo essenziale per la testimonianza e proclamazione delle Profezie milaniane.

A Firenze fu affermato: “ Che dal 31 luglio 1966 – giorno in cui fu formulato il “Decalogo di Barbiana” – indietro non si torna”. Fa francamente sorridere il “successo” di “cinque stelle”.

 

C’è davvero chi vuol cambiare il modo di far politica?

 

Applichi il Decalogo di Barbiana e le “stelle” diverranno cento!

 

A San Marino affronteremo un’altra questione epocale del nostro tempo. Quella della necessità e urgenza del sorgere dei “ventimila sammarini”, il che significa che tutti i popoli della terra hanno diritto alla Libertà e alla Autonomia.

 

Ma per “libertà” il Profeta non intendeva l’imposizione della “libertà Occidentale”.

Ognuno si governi come gli pare.

Se i pigmei vogliono stare nudi sugli alberi – disse il Profeta – ci devono stare e nessuno si deve permettere di impedirglielo”.

Il nemico è l’imperialismo, quello che ha fatto scorrere fiumi di sangue, anche recentemente, a Timor Est, nel Sudan, in Libia, eccetera. Casi come quelli non sono più tollerabili! Solo se gli imperialismi si frantumeranno può sorgere un mondo più giusto.

Purtroppo il Profeta non si faceva facili speranze : “non farti illusioni, prima che le masse si accorgano che abbiamo ragione scorrerà molto sangue e sia la degenerazione morale che quella politica arriveranno a livelli di incredibile bassezza”.

 

Ma la scelta, lo ripetiamo, è ormai impellente. Le multinazionali, che comprano per due soldi enormi territori d’Africa su cui impiantare piantagioni “industriali” – scacciando i nativi, a cui viene tolta oltre alla sussistenza anche la libertà e la dignità – promuovendo poi, peraltro, il male epocale delle migrazioni di massa, vanno assolutamente fermate. E per farlo occorrono sovranità locali che gli sbarrino il passo, al di là degli attuali governanti che si dimostrano incapaci di farlo.

Infine, si rifletta, senza i “ventimila sammarini” come si rende applicabile il Decalogo di Barbiana e la conseguente “sussidiarietà” a cui tanto teneva Monsignor Luigi Giussani?

 

 

ECCO IL PROGRAMMA DEL CONVEGNO 

 

Intervengono: Ore 9 – Il saluto:

 

-On. Avv. Antonella Mularoni Segretario di Stato per gli Affari Esteri e Politici della Repubblica di San Marino

– Giovanni Banchi, Presidente del Centro di Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana.

– Carlo Zanieri, Sindaco del Comune di Barberino di Mugello (Firenze)

Ore 9,30: Interventi e relazioni

– Alessandro Mazzerelli, testimone e Amico del Profeta di Barbiana.

– Manrico Casini Velca , Segretario Generale del centro Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana.

– Franco Banchi, già Segretario Questore del Consiglio Regionale Toscano, Firenze.

– Mario Bernardi Guardi, Giornalista e Saggista.

Ore 12,30: sospensione lavori

Ore 15,15: Relazione introduttiva de S. E. Mons. Luigi Negri, Vescovo della Diocesi di San Marino e Montefeltro.

Interventi e relazioni:

– Giuseppe Rotunno , Presidente del Comitato Nazionale di Collegamento dei Cattolici.

– On. Riccardo Migliori, Parlamentare italiano. Capo della Delegazione Italiana presso l’OSCE.

– Adolfo Morganti, Presidente di Paneuropa San Marino.

Conclusioni di Alessandro Mazzerelli

E’ anche previsto l’intervento del Ministro degli Affari Culturali della Repubblica di San Marino

 

IL MANIFESTO: Convegno San Marino 25 maggio 2012

 

 

Fonte: visto su L’Indipendenza del 23 maggio 2012

Link: http://www.lindipendenzanuova.com/don-giussani-san-marino/

 

 

 

 

DECALOGO DI BARBIANA

 

 

Divieto di ricoprire più di una carica pubblica

Divieto di rimanere per più di due volte alla stessa carica pubblica.

Divieto della pubblicità personale dei candidati a qualsiasi carica pubblica.

Divieto di ricoprire una carica pubblica e una di Movimento, in maniera da consentire all`organizzazione politica il controllo sull`operato degli eletti.

Divieto di costituire correnti o gruppi di potere.

Divieto di aprire uffici per la promozione del clientelismo.

Obbligo della dichiarazione annuale, pubblica e giurata, di tutti i redditi e di tutte le proprietà da parte degli amministratori pubblici.

Irreprensibilità morale nella vita pubblica e privata.

Predisposizione della lista dei candidati, a qualunque carica pubblica, mediante una “scala dei meriti”.

Esercitare la politica come servizio, evitando qualsiasi contrasto personale con gli altri servitori.

 

 


SEGNALE DELLA CRESCITA: ACCENDERE I CERI PER SPERARE NEL FUTURO

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di LUIGI CORTINOVIS

 

Uno, due anni fa le agenzie lanciavano notizie in cui si conteggiavano le ore di cassa integrazione in centinaia di milioni. Ora, quei sussidi stanno finendo ed il conteggio è diverso.

 

L’onda lunga della crisi ne sposta gli effetti dalla cassa integrazione ai licenziamenti. E’ il quadro tracciato dalla Fim-Cisl della Lombardia, il cui segretario generale Nicola Alberta parla di “preoccupante impennata del 72% dei licenziamenti rispetto a fine giugno”.

 

Sono 1.633 le aziende – secondo quanto riportato dall’Ansa – che anche nel secondo semestre 2014 hanno dovuto ricorrere agli ammortizzatori sociali. Oltre 40.000 i lavoratori coinvolti e di questi ben 5.843 sono stati licenziati.

 

Presto, nella Lombardia si ricorrerà ai metodi siciliani:

“«Sembra un parodosso  – dice il signor Gambino, titolare di una cereria di Catania – ma è grazie alla crisi se quest’anno sto vendendo più candele rispetto al passato. La gente viene e mi dice: “Mi dia un cero, così vado in chiesa, lo accendo e prego perché la mia situazione familiare migliori”».

 

 

Fonte: tratto da MIGLIOVERDE

LINK: http://www.miglioverde.eu/ecco-il-31-segnale-della-crescita-accendere-i-ceri-per-sperare-nel-futuro/

 

I PARTIGIANI ALLEATI DEI NAZISTI, UN’ALTRA STORIA ITALIANA RIMOSSA

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E’ da poco uscito il nuovo libro di Roberto Gremmo “I partigiani alleati dei nazisti – Il “Battaglione Davide” dalla Resistenza astigiana alla Risiera di Trieste”.

Dalla sintesi che riportiamo qui sotto, si tratta di uno studio veramente importante che documenta una vicenda finora dimenticata o rimossa: la storia drammatica di centinaia di contadini del Monferrato e delle Langhe che avevano disertato i bandi di Mussolini per diventare poi ‘kapo’ per i nazisti al Lager della Risiera di Trieste al seguito d’uno spericolato avventuriero.

 

Avevano scelto di diventare partigiani ribelli alla “Repubblica Sociale” di Mussolini ma osteggiavano gli Anglo-americani ed erano alleati dei tedeschi.

Subito dopo l’8 settembre centinaia di giovani contadini delle Langhe e del Monferrato rifiutarono di sottomettersi al Duce e si dettero alla macchia, trovando il loro capo nel “Capitano Davide” Enrico Ferrero che organizzò un’agguerrita formazione armata di “Patrioti” e dette filo da torcere ai fascisti dell’Astigiano. Ma la loro esperienza partigiana fu di breve durata perché l’inaffidabile ed imprevedibile “Davide” siglò dopo pochi mesi un accordo ‘collaborazionista’ coi nazisti ed i suoi uomini finirono a Venaria, inquadrati in un reparto autonomo. I giovani del “Battaglione Davide” erano agli ordini diretti delle SS che, dopo un breve periodo d’addestramento, li trasferirono in Friuli a fronteggiare l’avanzata dei partigiani di Tito.

 

Tuttavia, appena giunto nel Goriziano, “Davide” finì al centro d’inestricabili intrighi e si scontrò coi fascisti del luogo, costringendo i suoi protettori con la svastica a toglierlo di mezzo, deportandolo nel lager di Dachau.

I suoi uomini non ebbero miglior destino perché i nazisti li trasformarono nei guardiani del campo di concentramento della Risiera di San Sabba a Trieste. Due di loro vennero assassinati dai nazisti per ‘scarsa disciplina’; solo pochi ‘patrioti’ riuscirono a disertare raggiungendo l’armata jugoslava con la stella rossa ma molti altri furono complici dell’occupazione nazista fino al termine della guerra.

 

Negli ultimi giorni del conflitto, Ferrero, autopromosso “Colonnello”, fu protagonista d’un ultima incredibile epopea in Sud Tirolo ed assieme al nipote di Garibaldi si presentò di nuovo come “Partigiano” finché, tornato in Piemonte, scomparve dalla circolazione in oscure circostanze ed ‘andò in Argentina senza scarpe’. La storia rocambolesca del “Battaglione Davide” rompe gli schemi della storiografia ufficiale perché dimostra che le vittime non erano tutte da una parte sola.

 

SCHEDA LIBRO

 

AUTORE: Roberto Gremmo

 

TITOLO: “I partigiani alleati dei nazisti – Il “Battaglione Davide”
dalla Resistenza astigiana alla Risiera di Trieste”

 

INDICE DEI CAPITOLI
Capitolo 1 – Erano partigiani ostili agli Alleati e nemici dei fascisti ma schierati
coi tedeschi – Capitolo 2 – Sotto il Fascismo Ferrero era finito al confino per
un falso ‘complotto comunista’ – Capitolo 3 – Nel 1943 Ferrero diventò il primo
capo della Resistenza astigiana – Capitolo 4 – I fascisti osteggiavano il
reclutatore di ‘Patrioti’ Ferrero – Capitolo 5 – A Venaria Ferrero creò il
“Battaglione Davide” d’accordo coi tedeschi – Capitolo 6 – Nel Goriziano il
‘Battaglione Davide’ si scagliò contro i fascisti – Capitolo 7 – Gli uomini di
Sarzano diventarono guardie del ‘lager’ nazista alla Risiera di Trieste – Capitolo
8 – I disertori del “Battaglione Davide” raggiunsero i partigiani di Tito – Capitolo
9 – Il “Colonnello” Ferrero ed il nipote di Garibaldi erano fra gli ‘ostaggi
eccellenti’ a Dachau e nel Sud Tirolo – Capitolo 10 – Arrestato dalla “Polizia
Partigiana” di Alessandria e scomparve il “Generale” Ferrero “andò in Argentina
senza scarpe” – Capitolo 11 – Il ritorno del fascista Tamburini, del nipote di
Garibaldi e del figlio del maresciallo Badoglio – Capitolo 12 – La segretaria del
“Capitano Davide” era l’attrice “Luisa Ventura”.

 

192 Pagine – Euro 25

 

 

Fonte: da MIGLIOVERDE

Link: http://www.miglioverde.eu/i-partigiani-alleati-dei-nazisti-unaltra-storia-italiana-rimossa/

 

IL POPOLO ITALIANO

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Vi segnaliamo un interessante libro di uno scrittore inglese Martin Solly che nel 1995 analizzava la società italiana partendo dal dato di fatto dello scarso o finto patriottismo che ci contraddistingue.

 

Il libro si chiama: “Xenophobe’s guide to the Italians” , ancora una volta autori stranieri (il più importante fu certamente lo storico Smith) vedono cose nella nostra finta patria che noi autoctoni non riusciamo a vedere.

 

Vi trascrivo integralmente l’introduzione così da capire tutto il senso del libro.

 

 

IL POPOLO ITALIANO

 

Gli italiani non sono un’etnia definita, ma un insieme di popolazioni differenti.

 

Tendono a pensare a se stessi e agli altri in primo luogo come romani, milanesi, siciliani o fiorentini, e in seguito come italiani.

 

Molto poco unisce Torino a Bari, o Napoli a Trieste, eccetto l’autostrada, la ferrovia e la Chiesa Cattolica.

 

Ogni tanto gli italiani cercano di comportarsi come una nazione e fanno grossi sforzi per essere nazionalisti, per esempio quando la nazionale di calcio riscuote successi durante il campionato mondiale.

 

Ma principalmente gli italiani si sentono tali quando sono all’estero: in una gelateria di Melbourne in Australia, in una miniera belga o ad una partita di calcio negli Stati Uniti.

 

L’identità è importante per gli italiani. Forse proprio perchè sono piuttosto insicuri della loro italianità e non esattamente in grado di dire cosa significhi, sentono invece fortemente le loro radici.

 

“Di dove sei?” è una domanda importante per un italiano e richiede una risposta esauriente. Diversamente da un inglese o da un americano, nessun italiano è mai in imbarazzo quando questa domanda gli viene posta.

 

Gli italiani sanno esattamente da dove vengono, e portano quel luogo con sè per tutta la vita.

 

Dichiarare la propria origine è strettamente connesso con il concetto chiave del “campanilismo” che letteralmente significa “fedeltà al proprio campanile” ; in pratica esso presuppone il pensare che la propria città natale sia la migliore del mondo.

 

Gli italiani amano la loro città di origine e trovano difficile esserne allontanati. Questo attaccamento alla città, comunque, presuppone grande concorrenza, che è particolarmente forte tra paesi, città, provincie e regioni vicine.

 

La rivalità è così accesa che spesso gli italiani non hanno tempo per altro, perchè sanno bene che quelli di altre famiglie, paesi, città o regioni non sanno comportarsi come si deve e sono inaffidabili. Come sarebbe bella l’Italia senza gli altri italiani!

 

Tratto da Martin Solly; Xenophobe’s guide to the Italians , Orsham, Ravette Books, 1995

 

 

Fonte: Briganti.info del 6 febbraio 2015

Link: http://briganti.info/il-popolo-italiano/

 

 

MICHELORIE DI ALBAREDO D’ADIGE UNA DARSENA DI EPOCA ROMANA SPUNTA DA SCAVI AL GASDOTTO

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Il pozzo venuto alla luce al centro del sito archeologico di età romana scoperto a Michellorie di Albaredo d’Adige

 

 

Verona

L’intervento eseguito dalla Snam ha portato alla luce un approdo fluviale a ferro di cavallo con magazzini  e attività di lavorazione del grano.

 

Un piccolo approdo fluviale per le imbarcazioni, con tanto di magazzini ed attività di lavorazione del grano, nella Michellorie romana. Il gasdotto dei record Zimella-Cervignano d’Adda (Lodi) continua a restituire tesori agli archeologi.

Ancora una volta, com’era successo per gli scavi di Oppeano e Palù, i lavori per la posa del metanodotto più lungo d’Europa hanno dato infatti la possibilità agli studiosi di avanzare ipotesi interessanti sulla storia antica dei paesi della Bassa.

Nel corso del 2014 la società «Snam Rete Gas», che sta finanziando la costruzione del gasdotto da 170 chilometri che parte dal Basso veronese e raggiunge il Lodigiano (in Lombardia), ha effettuato la bonifica archeologica di un’area di 400 metri quadrati nella frazione di Michellorie, a sud est del centro di Albaredo.

 

I lavori di bonifica sono stati compiuti durante la primavera e l’estate dello scorso anno, sotto la direzione della Soprintendenza ai beni archeologici del Veneto, Nucleo operativo di Verona. Coordinatrici del cantiere sono state Chiara Maccani e Silvia Nuvolari, archeologhe della cooperativa «Ante Quem» di Bologna.

«Ringrazio sia la ditta che ha compiuto gli scavi, formata da un team molto preparato, sia la Snam per l’apertura al dialogo che ci ha permesso di trovare le soluzioni più congeniali per la gestione di un cantiere su cui è stata fatta un’importante tutela archeologica», commenta Federica Gonzato, funzionario del Nucleo veronese della Soprintendenza.

 

Durante lo scavo sono emersi resti di ceramiche, frammenti di mattoni e tegole risalenti ai primi secoli dopo Cristo. Si tratta di un sito di età romana, probabilmente con funzioni produttive. L’ipotesi più accreditata, portata avanti dal gruppo di lavoro che sta studiando i ritrovamenti fatti, è che in quella zona vi fosse una darsena a forma di ferro di cavallo che occupava un’area di circa 100 metri quadri. Con ogni probabilità, i lati est e nord erano delimitati da pareti in legno o in mattoni crudi, data la presenza di una fondazione in laterizi, mentre il confine ad ovest e il tratto lungo il canale navigabile erano coperti soltanto da pensiline. Tutto intorno all’ormeggio erano collocati depositi e piccole attività legate al commercio, all’agricoltura e al settore tessile. Prova ne sono una serie di buche di palo di varia grandezza (residui di tettoie per il ricovero merci), sei macine (tre in trachite e tre in porfido rosso), alcune anfore e pesi in terracotta per telai.

 

«Se venisse confermata la presenza in loco di un ormeggio per le barche, si tratterebbe di una scoperta davvero significativa, visto che nel Veronese non era stata finora rinvenuta alcuna darsena di età romana», spiega l’ispettore onorario della Soprintendenza Gianni Rigodanzo.

«La darsena è una prova dell’importanza della navigazione fluviale per il trasporto di uomini e merci, in una zona ricca d’acqua come la nostra e in un’epoca in cui lo spostamento su strada era molto difficoltoso. Grazie alla rete di canali minori si potevano raggiungere anche le località più remote dell’impero», continua Rigodanzo.

Al centro del sito è stato riportato alla luce un pozzo per l’approvvigionamento dell’acqua di falda. Il pozzo, di ottima fattura, è stato costruito tramite il cosiddetto affondamento, una tecnica che prevede l’uso di un anello ligneo che viene inserito nella fossa e via via scavato. Mentre il manufatto si abbassa gradualmente, si sovrappongono gli elementi del rivestimento fino a raggiungere la profondità voluta. Nel fondo del pozzo è stato infine recuperato un vaso per l’acqua ancora integro.

 

Paola Bosaro

 

 

Fonte: srs di Paola Bosaro, da L’Arena di Verona del 2 febbraio 2015

Link: http://www.larena.it/stories/Home/1039391_una_darsena_di_epoca_romana_spunta_da_scavi_al_gasdotto/

 

 

OBAMA E RENZI SONO UNITI NELLO STESSO KARMA

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OBAMA E RENZI SONO UNITI NELLO STESSO KARMA: TUTTO QUELLO CHE TOCCANO LO TRSFORMANO IN MERDA

 

 

 

 

IL REFERENDUM DEL 1946? MAI TERMINATO: LA REPUBBLICA ITALIANA LEGALMENTE NON ESISTE

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Anche il 2 giugno 2014  si festeggerà la vittoria del “SI'”  a favore della Repubblica contro la Monarchia del referendum del 1946. Peccato che non sia mai avvenuto per certo!

 

Infatti risulta  dalle leggi del tempo che prima di proclamare la vittoria  dovevano ancora votare Istria, Dalmazia e isole adriatiche, territori veneti ancora legalmente italiani, che avrebbero potuto ribaltare il risultato.

 

Non solo i risultati non potevano essere ancora dichiarati come definitivi, ma nella notte dello spoglio 2 milioni di voti pro-repubblica comparvero all’improvviso dopo una strana interruzione per ore nello spoglio.

Ed in effetti  circa 1,5 milioni di schede di voti pro-monarchia sono state rinvenute  a Napoli ufficialmente 50 anni dopo, schede che state fatte distruggere dal governo Dalema del 1998.

 

Occorre ricordare che a Napoli, città sicuramente monarchica,  a seguito del referendum ci furono  scontri pro-monarchia e contro i brogli, perfino con la polizia che mitragliò la folla facendo 9 morti e 150 feriti. Quei 1,5 milioni di voti erano sicuramente monarchici.

 

Insomma il 2 giugno 1946 non ci fu la nascita di una repubblica, ma il colpo di stato della Cassazione (e dei partiti) che dichiarò la vittoria della Repubblica senza il voto  dell’Istria, della Dalmazia e le altre terre previsto per legge.

 

Fu solo l’anno dopo, il 1947, che la sedicente repubblica italiana cedette alla Jugoslavia le terre venete che non avevano mai votato, senza fare alcun referendum per la loro decisione, ma realizzando quanto il COMINTERN dell’Unione Sovietica aveva deciso nel 1933.

 

Nel 2006 ho portate alla luce queste violazioni delle norme di referendum , le prove di questi fatti che dimostrano la illegalità della nascita della repubblica italiana, le trovate nell’articolo sotto .

Buona “scoperta”

 

http://www.palmerini.net/blog/la-repubblica-italiana-legalmente-non-esiste/

 

 

Fonte: visto su PALMERINI.NET del 3 maggio 2014

Link: http://www.palmerini.net/blog/il-referendum-del-1946-mai-terminato/

 

 

 

LA REPUBBLICA ITALIANA LEGALMENTE NON ESISTE

 

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Ho dimostrato la illegalità-nullità del referendum Monarchia-Repubblica del 1946, e sono stato il primo a dimostrare questi fatti storici e giuridici della Repubblica Italiana con documenti giuridici.

Alcuni autori hanno usato questo materiale senza citare la fonte,  in danno del diritto d’autore, e la cosa è dimostrata dal fatto che questo studio è stato  depositato al Tribunale di Venezia in un procedimento del 2006.

 

In un questo sito trovate anche .  le prove documentali di quanto affermato, ma per una trattazione più organica e completa si può acquistare il mio testo “La Repubblica mai nata” (clicca) anche su Amazon.

 

 

Ecco perché la “Repubblica Italiana” LEGALMENTE NON ESISTE**

Loris Palmerini 2006 (C) – citare sempre l’autore – copyright 2006 Loris Palmerini – all rights reserved.

 

Al momento del referendum monarchia / repubblica del 1946 erano legalmente territorio dello Stato Italiano anche le terre di Istria con Capodistria e Pola ecc, la Dalmazia con Spalato e Zara, e le Isole Adriatiche.

 

Queste terre erano “italiane” in base al Trattato di Rapallo del 1920.

http://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_di_Rapallo_(1920)

 

 

indizionereferendum

 

 

Dunque, seppure occupate dai Titini, erano terre che avevano il diritto di poter votare al referendum monarchia / repubblica del 1946, un diritto che avevano i cittadini “italiani” lì residenti : essi avevano il diritto di voto, che però non hanno potuto esercitare in maniera ingiustificata. NON FURONO COSTITUITI I COLLEGI PREVISTI DAL DECRETO.

Purtroppo, non solo gli aventi diritto lì presenti non poterono votare, ma nemmeno quelle centinaia di migliaia di essi che fuggirono al genocidio Titino e vennero in italia.

 

E’ vero, il caos era tanto, c’era una guerra civile, ed infatti perfino Corfù e il Dodecaneso erano terre Italiane in virtù di una pretesa e eredità del Regno d’Italia dalla Repubblica Veneta, cosa per altro mai dimostrata, quindi lasciamo perdere la mancanza di voto in quei territorio e comunque questo rafforzerebbe il mio ragionamento.

 

Torniamo ai territori d’Istria, Dalmazia e isole: essi furono ceduti dalla neonata “repubblica italiana” solo con il Trattato di Parigi del 1947

Questo dimostra che al momento del voto del 1946 essi erano territori “italiani”.

 

Quindi, come può aver ceduto quei territori quella “repubblica” che da essi non era mai stata votata?

 

E sopra tutto, è valido un referendum che riguarda la collettività dove solo una parte del territorio interessato o una parte della collettività vota ?

 

Dunque, chi rappresenta legalmente la Repubblica Italiana ? I territori del 1946 ? Quelli che erano Italiani del 1946 (e che lo erano anche dopo!) ?

 

Purtroppo bisogna ricordare che oltre a quei territori del levante veneto che ho detto, anche Trieste, Bolzano e TUTTO IL FRIULI non poterono votare al referendum.

 

Insomma MILIONI DI AVENTI DIRITTO AL VOTO non poterono votare al Referendum del 1946, pur essendo italiani con diritto di voto, e questo perché chi organizzò il referendum sbagliò oppure stava realizzando un colpo di stato.

 

Infatti è noto che gli italiani di Istria e Dalmazia erano per lo più di orientamento monarchico, e se avessero votato avrebbe certamente vinto la Monarchia.

 

Per altro, il referendum è macchiato da diverse irregolarità, per esempio non si è mai spiegata l’improvvisa comparsa nella notte dello scrutinio di 2 milioni di voti pro repubblica, appunto quello scarto che fece vincere la repubblica per 12.717.923 voti contro 10.719.284 voti per la monarchia .

 

Ma considerando che più di 2 milioni di aventi diritto non poterono votare, lo scarto di 2 milioni dei risultati ufficiali non è sufficiente per dare certezza che il risultato del referendum sarebbe stato lo stesso se essi avessero votato.

 

In pratica il referendum è nullo perché mancarono milioni di voti e dunque manca la legittimità alla repubblica italiana come soggetto derivante dal referendum.

 

Ripeto, i milioni di Istriani, Dalmati e delle isole dell’Adriatico che non votarono, oltre a Bolzano, il Friuli ecc, fanno sì che il risultato del Referendum del 1946 non è detto che esprima la volontà maggioritaria di chi aveva diritto al voto.

 

Io non sono monarchico, ma RISPETTO LA VOLONTA’ POPOLARE e pretendo che uno Stato rispetti la legge.

 

Per tanto devo affermare che il Referendum del 1946 E’ NULLO perché non è stato valevole per esprimere la volontà popolare del popolo italiano.

 

Il RISULTATO REFERENDUM del 1946 è nullo perché:

 

– non è l’espressione certa della maggioranza degli aventi diritto al voto

– probabilmente avrebbe vinto la monarchia, anche se non è certo neppure questo

– le modalità del passaggio di poteri sono oscure e macchiate da minacce alla casa regnante da parte di importanti esponenti politici

 

Di conseguenza, LEGALMENTE LA REPUBBLICA ITALIANA NON ESISTE.

 

A chi parla del “troppo tardi” si deve dire : può essere democratica e legale una repubblica che nasce dalla NEGAZIONE DEL DIRITTO DI VOTO ?

 

La Repubblica Italiana è un FALSO, è illegittima, è giuridicamente INESISTENTE, e i diritti umani pretendono verità e la revisione delle Istituzioni attraverso dei referendum territorio per territorio autogestiti dalla cittadinanza, anche quella di Istria e Dalmazia.

 

Per gli stessi motivi, le cessioni di territorio sottoscritte dai Repubblicani saliti al potere dopo il referendum, e i loro successori, NON SONO VALIDI per difetto di rappresentanza: come può un abusivo senza titolo cedere la proprietà altrui?

 

L’articolo si integra con le prove documentali (clicca)

 

Loris Palmerini

Presidente del Tribunale del Popolo Veneto

 

PS del 16-04-2006

 

Ho già sentito un famoso usurpatore dire che il concetto di sovranità di oggi non è quello del dopoguerra. E perché ? E’ forse cambiato il diritto internazionale ? Ma devo dire che quel poveretto ha già dimostrato in passato di non conoscere le leggi o di essere un delinquente, per poco stava per fare un rovesciamento costituzionale solo pochi anni fa.

 

 

Fonte: da L’opinione di Loris Palmerini, del 16 aprile 2007

Link: http://www.palmerini.net/blog/la-repubblica-italiana-legalmente-non-esiste/

 

 

 

 

LE PROVE CHE IL REFERENDUM DEL 1946 È NULLO

 

 

risultati_regionali_del_referendum_del_2_giugno_1946_1073

 

 

Con i documenti  allegati qui sotto, che sono leggi pubblicate sulle GAZZETTE UFFICIALI, ho dimostrato che  l’Italia non è legalmente una Repubblica.

 

A dimostrarlo ecco un estratto del Decreto Luogotenenziale di indizione del Referendum per la forma di stato (il famoso referendum Monarchia-Repubblica del 1946) , il quale stabiliva le modalità del voto, ma anche dove si votasse. Fra i vari collegi ve ne era uno per la terra di Dalmatia con Zara (la Venezia-Giulia), ma anche l’Istria era compresa fra le terre della “Venezia”. Cliccando sull’immagine si può vedere la scansione ingrandita e verificare i collegi)

 

 

 

 

Circoscrizione-collegi-elettorali-1946.554-

 

Queste zone erano territorio legalmente italiano, ma dato che  erano occupati da Alleati (per Trieste e dintorni) , Titini (che attuavano un genocidio) ecc, si fece un decreto in cui il voto in quei collegi elettorali venne momentaneamente sospesi, MA CON LA CHIARA INDICAZIONE CHE ESSI AVREBBERO VOTATO IN SEGUITO APPENA RISTABILITO L’ORDINE.

( Clicca sull’immagine del decreto per ingrandirla)

 

 

gazzetta_ufficiale_23_3_1946.554

 

 

Fra i territori che non poterono votare contiamo Bolzano, Udine (con Pordenone), la Venezia Giulia con l’Istria, Zara con la Dalmatia.

 

Ma dopo soli 9 mesi la neonata  Repubblica Italiana  cedette temporaneamente l’ Istria e Dalmatia alla Jugoslavia, e non fece mai votare Bolzano, Udine, Pordenone e Trieste. Era certo infatti che essi avrebbero votato per la monarchia ribaltando il risultato.

 

In pratica, dato che MILIONI DI PERSONE AVENTI DIRITTO NON HANNO POTUTO VOTARE, il referendum del 1946 non è valido internazionalmente, e non può essere usato come scusa per conoscere la volontà del popolo. Il referendum del 1946 E’ NULLO giuridicamente.

 

O meglio, non è ancora “terminato” , ma è oggi  impossibile il suo completamento , per cui e’ nullo , ( a meno che Istria e Dalmatia non tornino italiane e votino).

 

Tutto ciò rivoluziona i rapporti giuridici fra l’attuale Stato e i suoi cittadini.

 

Lo Stato “Repubblica Italiana”non rappresenta i cittadini italiani, anche quelli di Istria e Dalmatia, ma in pratica tutta la Venetia .

 

La stessa Costituzione Italiana non vale, in quanto l’assemblea costituente non era completa dei territori veneti, quindi i costituenti non rappresentavano l’intero popolo.

 

Perciò, la Repubblica Italiana NON ESISTE legalmente, è un mero fatto senza legalità, è un potere di fatto, ma i cittadini sono liberi di pensare ad altre forme di stato.  L’unica certezza è che in base ai decreti legge del 1946, la repubblica italiana non è mai nata legalmente.

 

Scriverò sulle conseguenze giuridiche di questo, ma per intanto e’ costituito nel Tribunale del Popolo Veneto la rappresentanza legale del popolo della Venezia Giulia.

 

Loris Palmerini Tribunale del Popolo Veneto

 

PS: vi consiglio di fare una ricerca in internet con repubblica italiana referendum 1946

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: da L’opinione di Loris Palmerini, del 24 maggio 2007

 

Link: http://www.palmerini.net/blog/le-prove-che-il-referendum-del-1946-e-nullo/

 

 

 

GRANDE VERONA

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La collina di Castel San Pietro con il Teatro Romano e la Chiesa di San Siro e Libera

 

 

O  grande Verona,

città un tempo reputata addirittura seconda

dopo la famosa Atene di Platone per l’abbondanza dei sapienti,

perché non hai esaltato il tuo Santo con potente eloquenza?

Perché non hai divulgato se non in poesia almeno in prosa

i miracoli che Iddio ha operato per mezzo di lui?….

 

Grande Verona addio!

Che tu viva nei secoli per sempre 

E le genti celebrino perennemente nel mondo il tuo nome.

 

(O autem magna Verona, villa quondam Platonica illa Athenis vel altera pre multitudine sapientium estimata, grandisonis sanctum tuum quare non extuleras modis? Cur mirabilia, quae per eum Deus fuerat operatus, etsi non metrico stilo vulgaras saltem prosaico?)

 

 

Raterio (episcopo di Verona dal 931-933; 946-948;  962-968 ).   

(Liegi, intorno all’887 – Namur, 25 aprile 974) è stato un vescovo, predicatore e scrittore belga autore di opere in lingua mediolatina.

 

 

 

 


SOGNO UN VENETO LIBERO, VENEZIA CAPITALE E UN’EUROPA

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statipotenzialiinEuropa

 

 

di MAURIZIO DEL MASCHIO

 

Egregio Direttore, ho letto con attenzione l’articolo il cui incipit costituisce l’oggetto di questa mia e-mail.

Sono fieramente Veneziano, come ha il diritto di sentirsi chi, come me, lo è da sette generazioni per parte di padre e i suoi antenati materni erano già a Venezia nel Quattrocento, essendo stati ascritti nell’Albo d’Argento della Serenissima. Ne condivido il contenuto, in particolare l’affermazione che la pluralità di gruppi indipendentisti non è di per sé né un bene né un male. Peraltro, è un male se si configura come un’accozzaglia di rozzi gruppuscoli l’un contro l’altro armato, che vogliono imporre il proprio punto di vista, che si ritengono depositari della verità, che si sentono portatori del verbo venetista migliore. Con questo velleitarismo non si va da nessuna parte e si fa il gioco della potenza dominante.

 

Per contro, è necessario che i gruppi sinceramente indipendentisti stanino gli autonomisti che dissimulano solo il desiderio di entrare nell’élite di coloro che si spartiscono il potere in conseguenza di una Costituzione catto-bolscevica che ha stretto l’Italia in una camicia di forza apparentemente democratica ma che di fatto ha solo sostituito la dittatura di un partito, il PNF, con quella di una partitocrazia tanto più rivoltante quanto ipocritamente sventolante la bandiera della democrazia di cui fa strame. E’ stata persa l’occasione nel dopoguerra, quando gli sciacalli che pretendevano falsamente di accreditarsi come vincitori, liberatori dell’Italia dal giogo nazi-fascista, si sono limitati a spartirsi la preda di uno Stato accentratore e non hanno voluto seguire l’esempio della Germania che si è data un assetto istituzionale federale.

 

Ora è giunto il momento di fargliene pagare le conseguenze. L’unico obiettivo che deve unire tutti coloro che si sentono autenticamente Veneti e desiderosi di riallacciarsi ad una storia proditoriamente ed illegittimamente interrotta nel 1797 è l’ottenimento dell’indipendenza, l’affrancamento, l’emancipazione dallo Stato italiano. Le diverse visioni dell’assetto dello Stato veneto devono confrontarsi solo nella fase successiva, in una regolare e democratica competizione, lasciando al popolo veneto il potere e il compito di darsi l’ordinamento che ritiene più consono alla tutela della propria dignità e alla realizzazione del suo futuro, memore dei valori e dei principi morali che hanno fatto grande la nostra ultramillenaria Repubblica, lo Stato più longevo che sia mai apparso alla ribalta della Storia dell’umanità. Solo così la Serenissima può risorgere dalle sue ceneri come una nuova Fenice e si intraprende quel cammino che un patriziato rilassato e desideroso solo godersi la propria ricchezza ha illegalmente interrotto. Divisi si perde, si fa il gioco dell’avversario. Uniti si vince.

 

Io sogno un libero Veneto, con Venezia sua naturale capitale, in un’Europa federale, un’Europa dei popoli che spazzi via il giogo di questa burocratico carrozzone al quale hanno voluto dare il nome di Unione Europea, tradendo l’ideale che aveva accomunato i suoi padri fondatori che volevano qualcosa di radicalmente diverso da questo mostro: Conrad Adenauer, Josef Bech, Alcide De Gasperi, Jean Monnet, Robert Shuman, Paul-Henri Spaak, Gualtiero Spinelli.

 

Cordialità

 

W san Marco!

 

 

Fonte: visto su L’Indipendenza del 16 novembre 2013

Link: http://www.lindipendenzanuova.com/sogno-un-veneto-libero-venezia-capitale-e-uneuropa-federale/

 

COME SI CHIAMANO I VENETI ITALIOTI?

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di LUCIO CHIAVEGATO

 

 

Definizione di ITALIOTA

 

Individuo di provenienza diversa nord sud isole comprese, di estrazione politica varia, dx sx centro, che sponsorizza l’unità di taglia ed avversa in tutte le maniere l’indipendenza del proprio popolo al fine di conservare i propri privilegi acquisiti e di continuare a sfruttare il lavoro altrui per scopi privati.

 

Detto questo ora analizziamo la situazione Veneta.

 

Una regione italiana che, malgrado la crisi, il centralismo romano e la politica italiota è riuscita a distinguersi per capacità produttive, benessere sociale e alla competizione economica.

 

Gli ultimi scandali del Mose hanno portato a galla ciò che molti non volevano vedere e hanno fatto capire che anche nella nostra terra la politica del compromesso e del malaffare, legato agli appalti e alla politica, caratteristica tutta itagliana, ha ormai messo radici salde nella società Veneta.

 

Diciamo che si sapeva e che molti, per opportunità di vantaggi personali e politici, hanno sempre taciuto. Si fa prima dare le colpe agli altri che combattere le proprie!

 

Naturalmente non è solo il Mose ma ci sono tante altre situazioni meno importanti che caratterizzano questa lenta assimilazione del sistema itagliano che inevitabilmente porta alla distruzione di quei valori che per anni abbiamo coltivato grazie ai 1.200 anni di storia della Serenissima. Si è in corso una italianizzazione dei nostri usi e costumi.

 

Tutto ciò non è un caso ma un progetto ben definito di lenta invasione, oltre che geografica, anche sociale.

 

Ecco quindi il fulcro del mio discorso.

 

Secondo voi, gli italioti che stanno in Veneto e a Roma, assisteranno incuranti al processo di indipendenza in corso nella nostra regione? Secondo voi cosa avranno in mente?

 

Perché vi pongo queste domande? Per un semplice motivo.

 

Non basta lamentarsi del proprio occupante e continuare a deriderlo per i mille motivi validi che ci offre tutti i giorni, ma va studiato e vanno prevenute le mosse che andrà a fare.

 

Ecco quindi cosa io vedo nel prossimo futuro e vi prego di dire la vostra opinione.

 

La itaglia (in questo caso ci i vertici delle istituzioni occupanti e gli ascari di italioti veneti) sta già procedendo a preparare le difese alla richiesta di indipendenza che è sempre più forte dai Veneti.

 

Le strategie italiche io le ho analizzate e vedo che si stanno muovendo in questa direzione: quando il Veneto diventerà indipendente dovrà essere povero e con gravi danni al tessuto produttivo e sociale per meglio controllarlo. Certo, io credo che la distruzione demenziale messa in atto dagli occupanti sia una tattica prevista da anni! Se ci pensate vi accorgerete che gli ultimi 3 governi nominati hanno lavorato solo per distruggere. Hanno infierito sulle piccole aziende, colpito i risparmiatori e perseguito la politica dell’invasione di prodotti esteri e di immigrazione fuori controllo al fine di creare caos economico e sociale.

 

E quale regione sta soffrendo di più? Quale regione aveva il tessuto economico sociale fatto da migliaia di micro e piccole aziende fuori controllo dai collaborazionisti dei governi centrali?

 

Per collaborazionisti intendo sindacati triplice e associazioni di categoria in primis konfindustria.

 

Che dire poi della scriteriata politica di immigrazione messa in atto in questi ultimi anni?

Ora provate a mettere insieme i vari elementi. Disastro sociale, disastro economico, disastro politico.

 

Dall’altra parte richiesta di indipendenza in vari modi, referendum, manifestazioni di piazza, e percorso politico partitico…

 

La mossa finale, sapendo che c’è in atto questo fermento , sarà questa. Quando arriveremo alla fase ultima decisionale del SI o NO all’indipendenza il Veneto sarà un campo di battaglia con morti suicidi, disperati senza lavoro, problemi di ordine pubblico e mancanza di futuro con conseguente emigrazione dei giovani, ed allora sarà gioco facile offrire la mano romana.

 

Vedo nell’ebetino proprio questo. Il salvatore. Offrirà un po’ di false promesse, di piccoli miglioramenti per comperare facilmente il consenso dei disperati che si faranno abbindolare per l’ennesima volta, MAGARI OFFRENDO UN PO’ DI AUTONOMIA come soluzione di tutti i mali o magari propagandando il fatto che stare uniti è avere forza di trattativa….

 

Offrire un po’ di morfina al malato terminale che soffre …chi ti dirà di no?

 

Quindi cari Veneti, lottare in tutte le direzioni, in tutte le maniere al fine di salvare il salvabile è doveroso per tutti.

 

Ecco quindi il perché della definizione di italiota. Il nemico non è solo a Roma o al sud, come detto per tanti anni, ma lo abbiamo in casa. Burocrati romani e veneti, parassiti italici e veneti, persone che vivono del sistema marcio, legati a filo diretto con i politicanti veneti venduti, industriali ed agricoltori latifondisti che hanno arricchito i propri conti all’estero grazie a piogge di contributi sociali che hanno fatto felici loro e i sindacati che hanno a loro volta creato la loro casta di fannulloni e si sono creati il gregge votante da scambiare con i vari partiti di riferimento, Associazioni no profit (?) che hanno inserito i loro tentacoli in tutti i settori acquisendo privilegi infiniti. Il nemico non è solo il “comunista” (che mai è esistito in itaglia), ma è presente in tutti i partiti che hanno malgovernato la nostra regione per anni. La lista è lunga e questi parassiti faranno di tutto per evitare il cambiamento.

 

Pensate a quante persone conoscete che prendono uno stipendio senza nulla produrre. E quante indirettamente gestite ai politicanti dei comuni, ex province e regioni? Tutti meridionali? Qualche veneto? Tutti comunisti o qualcuno iscritto pure a PDL, NCD, UDC, LEGA?

 

Per questo dobbiamo combattere.

 

Come ho sempre detto io ed il mio gruppo appoggeremo qualsiasi iniziativa volta al raggiungimento della nostra libertà ma altresì non ci faremo trovare impreparati alle votazioni regionali del 2015 e certamente mi auguro che non ci si arrivi nemmeno ma è meglio prevenire che correre con l’affanno.

 

Il messaggio ora che dobbiamo portare ai Veneti e svegliarli da loro torpore è di non farsi illudere dalle false promesse dell’ebetino di turno, messo li apposta per intorbidire le acque e per portare false speranze che mai potrà mantenere.

 

Il Veneto deve diventare indipendente altrimenti sarà veramente la nostra fine. Senza capacità produttiva, invasi da immigrati che porteranno solo problemi sociali e costi da riversare sulla collettività, saremo facile preda per chi proporrà qualsiasi piccolo miglioramento.

 

Ora dobbiamo unire tutte le forze e smetterla di fare le guerre di quartiere. Occorre l’apporto di tutti altrimenti ne usciremo sconfitti.

 

Si faccia finalmente questo tavolo di tutti i gruppi Veneti al fine di condividere i propri percorsi e di batterli tutti. Non sarà certamente attraverso iniziative di bandiera circoscritte a qualche paese che raggiungeremo tutti i Veneti. I mezzi di informazione ci hanno sempre sabotato e di sicuro non ci daranno una mano le TV nazionali itagliane o i giornali in mano a chi non vuole l’indipendenza.

 

Uniamo le forze e tutti i nostri volontari presenti sul territorio, solo così raggiungeremo il nostro obbiettivo.

 

(da www.luciochiavegato.com)

 

 

Fonte: visto su l’Indipendenza del 3 agosto 2014

Link: http://www.lindipendenzanuova.com/veneto-indipendente-unire-forze/

 

L’ESTINZIONE DEI NEANDERTHAL? MOLTE PROVE SONO NELLA GROTTA SOLINAS DI FUMANE

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La Grotta Solinas  di Fumane è uno dei siti archeologici europei più importanti sull’uomo di Neanderthal

 

FUMANE. L’università di Oxford retrodata la scomparsa di questo ominide grazie ai reperti trovati nella Valle dei Progni. La fine di questa specie è stata spostata a 40mila anni fa: «Il sito preistorico ha svolto un ruolo importante per queste indagini»

 

La Grotta di Fumane è uno dei siti archeologici europei più importanti sull’uomo di Neanderthal

 

L’estinzione dell’uomo di Neanderthal è stata retrodatata a 40mila anni fa, in base agli ultimi studi eseguiti da un team dell’università inglese di Oxford, guidato dal professor Tom Higham. La notizia è apparsa in questi giorni sulla rivista britannica «Nature» e ha fatto subito clamore nel mondo scientifico.

 

Gli studi, che si basano sulle analisi al carbonio 14 e ad una tecnica di datazione di altissima precisione che è la spettrometria di massa con acceleratore, hanno preso in considerazione reperti provenienti da tutta Europa, dalla Russia alla Spagna, una quarantina di siti in tutto, compresa la Grotta di Fumane. Quindi, questo robusto ominide dal forte prognatismo (cioè con la mandibola sporgente), vissuto nel Paleolitico medio, evoluto e buon conoscitore della lavorazione della selce, che si agghindava con penne e piume, capace di sostenere temperature molto fredde, i cui resti sono stati trovaati per la prima volta nella Neanderthal, in Germania, si sarebbe estinto definitivamente, per motivi non ancora noti, in Francia 40mila anni fa.

 

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Marco Peresani

 

«L’estinzione è di pochi decenni dopo i 39mila anni fa», precisa il professor Marco Peresani, dell’Università di Ferrara, che da più di 20 anni guida l’equipe di archeologi che scavano nella Grotta di Fumane, «il sito preistorico fumanese ha svolto un ruolo molto importante per queste indagini, grazie ai numerosissimi ritrovamenti in ottimo stato di conservazione e di buona qualità, come ossa di animali macellati, carboni, focolari, amigdale, attrezzi litici».

 

Elementi che hanno consentito di ricostruire l’habitat, l’alimentazione, la flora e la fauna esistenti in quel periodo, come in un puzzle, delinenando la vita di questi ominidi che frequentavano il riparo sopra la Valle dei Progni, zona ricchissima di selce, nel periodo estivo, e si spostavano poi in altre località. Per più di 5.000 anni l’homo Neanderthalensis ha convissuto, più o meno pacificamente, con l’homo Sapiens Sapiens o anatomicamente moderno sopraggiunto da sud, per poi sparire definitivamente dalla scena.

 

Colpa di qualche virus portato dai nuovi sopraggiunti? Competizione, lenta ibridazione, selezione sessuale? L’intelligenza più sviluppata del Sapiens ha giocato un ruolo importante? Chissà. Fatto sta che questi ominidi, che pure avevano massa cranica importante, sono spariti.

 

«La notizia di questa nuova datazione è molto importante», continua Peresani, «per la prima volta abbiamo date precise e accurate sull’estinzione, frutto di una visione di insieme e collaborazione con altre Università, anche quelle italiane di Genova, Trento e Siena e molti reperti provenienti da Puglia, Campania e Liguria. L’estinzione del Neanderthalensis è avvenuta in periodi diversi in Europa e Asia; nella Grotta di Fumane, che testimonia l’avvicendamento e la frequentazione delle due specie, possiamo parlare con certezza di 44mila anni fa».

 

Nell’analisi stratigrafica infatti i reperti successivi sono da attribuire ai primi Sapiens. C’era da aspettarsi una retrodatazione da parte dell’Università di Oxford, che aveva anticipato a 35mila anni fa anche la datazione dello «sciamano», il disegno che rappresenta un uomo con copricapo a forma di corna e animale sacrificale in mano, realizzato in ocra rossa sul soffitto della grotta, poi caduto. In questo caso il disegno, fatto dai Sapiens, è ritenuto il disegno preistorico più antico in ambito europeo.

 

 

 

Fonte: srs di Giancarla Gallo, da L’Arena di Verona di venerdì 22 agosto 2014 PROVINCIA, pagina 30

 

 

Link: http://www.larena.it/stories/4542_fumane/838124_lestinzione_dei_neanderthal_molte_prove_sono_nella_grotta/

 

OLIVETTI NON ERA UN MARXISTA: L’IMPRENDITORE FILOSOFO DI IVREA SI ISPIRAVA AL PERSONALISMO DI MOUNIER E ALL’ANTROPOSOFIA DI STEINER. ERA UN’IDEALISTA PRATICO, NON UN MATERIALISTA DIALETTICO

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ADRIANO OLIVETTI ERA UN IDEALISTA PRATICO: Credeva “nel potere illimitato delle forze spirituali” . Esprimeva un pensare e un agire tutt’altro che marxisti

 

 

 

di Luca Negri

 

Ci piace pensare che vi sia qualcosa di provvidenziale dietro la riscoperta della figura e dell’opera di Adriano Olivetti. Dopo anni di semi oblio questo grande italiano torna finalmente attuale, o meglio ci si accorge della sua mai tramontata ed urgente attualità. Eccolo infilato nel pantheon delle personalità ispiratrici sia da Matteo Renzi che da Giorgia Meloni, dunque da ciò che resta della Sinistra e della Destra, quasi a confermare la decomposizione di quella dicotomia tutta otto-novecentesca.

 

Certo è che le nuove leve della politica italiana non fanno seguire alle parole i fatti, come degni continuatori delle leve ormai rottamate. Il nome di Olivetti, accanto a quelli di un Mazzini, di un La Pira, di un Longanesi, fa, come si dice, fine e non impegna. Non impegna, perlomeno, rampanti quarantenni come Renzi.

 

 

Anche la tv di Stato ha rispolverato Olivetti con uno sceneggiato trasmesso l’anno passato, infilando l’uomo di Ivrea nella lista degli Italiani illustri meritevoli di biografia romanzata, come il santo da Pietralcina e il cantautore Rino Gaetano.

 

L’evento più fausto, sia detto seriamente, è rappresentato però dalla rinascita delle Edizioni di Comunità, fondate da Olivetti e rivitalizzate con nobile intento dagli eredi. Abbiamo così gioito per la ripubblicazione di scritti ormai rari, in particolare per la nuova edizione de L’ordine politico delle Comunità. Opera scritta settant’anni fa, mentre gli ultimi fuochi del secondo conflitto mondiale mettevano in ginocchio l’Europa ed occorrevano nuove e sane idee per rimetterla in piedi.

 

Opera apprezzata da un Luigi Einaudi e che il nostro Presidente del Consiglio dovrebbe studiare con attenzione ed applicare con coraggio, se veramente volesse svolte buone non solo a parole twittate. Ma qualcosa stona, ad esser sinceri, in questa riedizione. Ed è la nota introduttiva del curatore, il professor Davide Cadeddu.

 

Scrive Cadeddu che il testo di Olivetti “dà corpo a un’idea di organizzazione politico-istituzionale che condensa in sé un impianto federalista” (e su questo non avanziamo dubbi), “una profonda preoccupazione elitista nella selezione dei rappresentanti politici” (ed anche qui ci troviamo d’accordo) e “un’ispirazione marxista”.

Ed è su quest’ultimo aggettivo che rimaniamo un po’ sconcertati, anche perché Cadeddu rincara la dose, quasi a sfidarci, mettendo fra parentesi: “sì, marxista”. Bontà sua, ci risparmia almeno il punto esclamativo. Rimane, però, il nostro sconcerto al cospetto di un’affermazione così perentoria.

 

Dove vede Cadeddu marxismo in Olivetti? Nell’aspirazione ad una maggiore giustizia sociale? Se così è, parrebbe più onesto usare l’aggettivo “socialista”.

Il marxismo, Cadeddu lo saprà meglio di noi, dato che insegna Storia delle categorie politiche a Milano, è una corrente di pensiero, una filosofia della prassi, ben strutturata e sistematizzata.

Ammettiamo, senza concederlo, che Cadeddu abbia ragione: Olivetti possedeva un’intelligenza così spregiudicata e sintetica da poter accogliere anche qualche buon impulso dal socialismo scientifico. Venendo alla vera stonatura, diremmo che se riusciamo a cogliere finanche del marxismo ne L’ordine politico, dovremmo trovare ben altro. Ovvero la profonda ispirazione di un pensiero non materialista né positivista, un pensiero dove l’Idea ha sempre la preminenza sulla realtà economica.

 

Cadeddu accenna appena a “principi filosofici personalisti”, se la cava, insomma, con poco. Che Olivetti dichiarasse un debito con il Personalismo di Emmanuel Mounier e Jacques Maritain è noto, ma troppi sono ormai gli indizi del fatto che si limitasse a quei soli nomi per non infastidire ed insospettire le due chiese che negli anni ’50 del secolo scorso si spartivano l’Italia: quella cattolica e quella comunista.

 

Altre erano, con tutta probabilità, o quantomeno con una probabilità che meritava una citazione da Cadeddu, anche solo fra parentesi, le reali fonti del pensiero di Olivetti. Da quando la Fondazione a lui intitolata ha reso noto l’elenco dei volumi presenti nella sua biblioteca personale, abbiamo avuto conferma di ciò che i più accorti avevano intuito dai suoi scritti. Olivetti era infatti un attento lettore di testi esoterici, iniziatici, buddisti, teosofici ed antroposofici, testi che spesso chiedono di non fermarsi alla sola lettura, all’approccio meramente dialettico, ma impegnano in una prassi di meditazione che ha ben poco a che fare con la prassi marxista.

 

Olivetti non era un illuminista ma un illuminato. Leggeva le Upanishad commentate da Sri Aurobindo, i saggi sul buddhismo zen di Suzuki, La dottrina segreta di Helena Petrvovna Blavatsky, volumi di Giuseppe Tucci e di Mircea Eliade, Addirittura affrontava, lui, sincero antifascista e (a sentire Cadeddu) un poco marxista, opere del famigerato Julius Evola e dell’altro maestro del pensiero in rivolta contro il mondo moderno, René Guénon.

 

A questo punto Cadeddu, o chi per lui, potrebbe replicare che un uomo di vaste vedute come Olivetti legge ciò che vuole per hobby ma si lascia ispirare da contenuti più seri ed accademicamente accettati per elaborare una teoria politica. Troviamo però nella biblioteca di Olivetti ben trenta volumi del filosofo ed occultista mitteleuropeo Rudolf Steiner, nome presente più di ogni altro nell’elenco.

 

Chi conosce I punti essenziali della questione sociale, il testo più politico del fondatore dell’Antroposofia, non può fare a meno di cogliere delle analogie significative con L’ordine politico delle Comunità. E giustamente Valerio Ochetto nella sua biografia di Olivetti ricorda quanto quel testo sia stato caro all’imprenditore e politico piemontese fin dalla gioventù.

 

Dunque, la vera ispirazione andrebbe cercata più in Steiner che in Marx, sarebbe ora di dirlo a gran voce e di scriverlo non fra parentesi. Il sottotitolo per l’edizione 1946 de L’ordine politico era Dello Stato secondo le leggi dello spirito. Cadeddu ha preferito non riesumare quel sottotitolo troppo impegnativo per la recente riedizione.

A noi rimane il fondato dubbio che lo “spirito”invocato da Olivetti fosse strettamente imparentato con la “Scienza dello Spirito” antroposofica (sì, antroposofica).

 

 

 

Fonte: da LA CONFEDERAZIONE ITALIANA,  febbraio 2015

Link: http://www.laconfederazioneitaliana.it/?p=350

 

 

LA QUESTIONE VENETA: NASCE GIA’ DAL 1866 E DALLA DISPERAZIONE DELLE CLASSI RURALI

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VENETI POVERTA

La misera realtà del Veneto dopo l’unità d’Italia

 

 

Siccome non siamo padroni della nostra storia, finiamo per vivere, noi veneti, in un continuo presente, dato che pochi di noi sanno quelle che erano le aspirazioni dei nostri Padri, e quindi anche il movimento che promosse la nascita della Liga veneta, lo si ritiene, a torto, privo di radici profonde, mentre, in realtà, l’autonomismo o l’indipendentismo, sono aspirazioni che, come fiumi carsici, corrono sotto terra, per poi riemergere prorompenti.

Quindi dagli anni ’80 del ‘900, possiamo risalire ai giorni susseguenti l’annessione con un referendum farsa (questo bisogna ricordarlo ogni volta).  I quell’epoca intorno a Montagnana, ad esempio, verso Casale, i braccianti si impossessarono delle terre incolte e se le picchettarono, mentre lo stato le aveva cedute ai grossi proprietari fondiari. Ne nacque una rivolta, arresti, con con conseguenti condanne durissime ed espatri forzati.

 

 

Scrisse il Prefetto di Montagnana Giuseppe Madalosso, facendosi interprete dello stato d’animo e della delusione dei veneti più umili (la stragrande maggioranza della popolazione):

 

Al bracciante, il nome d’Italia suona imposte, leva, prepotenza delle classe agiate; dal giorno che di questo nome ha sentito parlare, vede per ogni verso peggiorata la sua sorte; nella classe che sta sopra egli ravvisa gente che abusa dei propri mezzi per opprimerlo e per costringerlo a dare il suo lavoro a sempre minor prezzo. L’esattore e il carabiniere sono i soli propagatori della religione di Patria; è con la bolletta d’esazione, con le pallottole del fucile, con la libertà dell’usura con la disuguaglianza nella politica e con la disuguaglianza di fatto dinanzi alla giustizia che gli si insegna essere l’Italia la grande madre comune“.

 

Parole pesanti e chiarissime: ancora più terribili se si pensa a come siamo ridotti oggi, con uno stato unitario che è impegnato a sottrarre le ultime ricchezze prodotte col nostre sudore, e a far di tutto per fare del Veneto un ammasso di rovine, bagnato di lacrime e sangue.

 

 

Fonte: visto su Facebook 13 febbraio 2015

Link: https://www.facebook.com/notes/milo-boz-veneto/la-questione-veneta-nasce-gia-dal-1866-e-dalla-disperazione-delle-classi-rurali/10155227344740430

 

 

VENETO INDIPENDENTE, SUL CONTO DEL REFERENDUM DONATI 39.000 EURO

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Referendum-Veneto

 

 

Il primo a contribuire era stato il padovano Fabio Miotti, giovane presidente del consiglio comunale di San Giorgio in Bosco: trenta euro. Ma a distanza di dieci giorni langue la sottoscrizione per raccogliere i fondi necessari allo svolgimento del referendum per la secessione del Veneto dall’Italia. L’obiettivo di raccolta è di 14 milioni di euro, necessari per l’organizzazione della consultazione elettorale cara al governatore Luca Zaia.

 

A ieri mattina, il conto corrente aperto nella Banca Unicredit (il numero di IBAN è il seguente: IT 37 C 02008 02017 000103397411) contava su meno di quarantamila euro.

 

Per l’esattezza, a mezzogiorno i soldi sul conto corrente sono 39.741,74, frutto di 456 bonifici da altrettante persone. La media di ogni versamento di poco superiore agli 80 euro. Insomma, siamo molto lontani dall’obiettivo del 14 milioni di euro. Non c’è stata la corsa agli sportelli, che qualcuno proditoriamente annunciava. Insomma, un flop. E i primi a rallegrarsene, a Palazzo Balbi, sono proprio gli assessori che non hanno investito un centesimo del loro tempo per inseguire l’idea della secessione. Né tantomeno quella del referendum previsto dalla legge regionale 16.

 

Di questo passo, se i versamenti continueranno con questa frequenza (una quarantina al giorno) l’obiettivo dei 14 milioni sarebbe raggiunto tra 3500 giorni solari: praticamente tra nove anni e mezzo, nel 2024. Salvo naturalmente l’intervento di un «cavaliere bianco» capace di mobilitare qualche milione in poche settimane. Ma nessuno si affaccia all’orizzonte.

 

Ecco per quali ragioni la Lega sta rapidamente svoltando verso la più generale richiesta di autonomia e di statuto speciale per il Veneto (anche perché il governo ha impugnato entrambe le leggi regionali: quella sull’autonomia e quella sulla indipendenza).

 

Il segretario federale della Lega Matteo Salvini ha detto pochi giorni fa:

«Il Veneto – ha spiegato – è circondato dal Trentino e dal Friuli, che fanno competizione da tutti i punti di vista. Penso che una via graduale all’indipendenza possa passare attraverso l’autonomia. Se ci sono due regioni a statuto speciale di fianco, non si vede perché non possa diventarlo il Veneto e anche la Lombardia».

 

La legge regionale 15 (quella sull’autonomia), a differenza della legge che promuove il referendum sull’indipendenza è finanziata dal bilancio regionale e non deve attraversare la graticola della raccolta fondi popolare. Ecco perché, probabilmente, la Lega si accoderà presto alla questione «autonomia» anziché secessione: un punto sul quale la convergenza è molto più ampia, a sinistra come a destra. I quesiti previsti dalla legge 15, infatti, ruotano attorno alla domanda: «Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?».

 

La svolta di Salvini non è sfuggita al consigliere regionale del Nuovo Centro Destra Costantino Toniolo:

«Mi rallegro per la conferma che viene dal segretario della Lega Nord Matteo Salvini: la strada giusta per il Veneto è quella dell’autonomia, perché la Costituzione non permette l’indipendenza. É la strada aperta con la legge da me proposta e approvata dal Consiglio regionale l’11 giugno scorso».

 

TRATTO DA IL MATTINO DI PADOVA

 

 

 

A ME PARE SIA UN RISULTATO ECCEZIONALE

 

 

noivenetoindipendente

 

Alla data del 15 Ottobre il conto corrente deputato a raccogliere i 14 mil. di euro per poter effettuare il Referendum contava per la precisione € 39741.74, frutto di 465 bonifici ovvero una media di circa € 80,00 a persona. Il dato economico estrapolato in modo asettico è di fatto risibile. Il dato economico estrapolato in modo più analitico è di fatto eccezionale, se si considera che tale cifra è frutto di un semplice passaparola social su FaceBook.

Tale dato è ancor più eccezionale se si considera l’assoluta mancanza da parte dei media che oggi invero s’affrettano a “spernacchiare” in modo meschino un dato di fatto in realtà di grande portata, ovvero la capacità di riuscire a fare a meno di loro per iniziare a smuovere le acque.

 

Il dato economico estrapolato in modo razionale effettivamente deve far riflettere, nel senso che un iniziativa lodevole un iniziativa atta alla conclamazione di democrazia basata sulla volontà popolare, che è stata “concessa” ai Veneti, sia stata comunque in qualche modo mal fruita, volendo da “qualche parte” ( purtroppo ben identificabile ) essere usata a proprio uso e consumo in modo inappropriato, senza una corretta pianificazione, al sol fine d’avere un tornaconto personale di visibilità, tanto da poter serenamente affermare che qualcuno affetto da nemesi narcisistica ha di fatto operato in modo da creare un effetto confusione.

 

Fortunatamente, all’orizzonte (molto prossimo ) si vede quello che una volta era un mare in burrasca, pieno di bicocche, decisamente più sereno, ci sono meno navi ma evidentemente lo stare qualche dì in più in Arsenale, gli ha permesso di strutturarsi al fine di poter spiegare le vele e con il vento in poppa cavalcare le onde in modo più costruttivo.

 

“FORSE” qualcuno credeva che con un conto, “SOLO” i propri accoliti, la comunicazione di Facebook o poco più, si potesse fare “Tombola”, l’approssimazione l’improvvisazione e la buona volontà non bastano… non sono mai bastati!

 

Neppure Davide contro Golia ha improvvisato… si è studiato la strategia quindi ha deciso dove e come colpire…….. VINCENDO!

Lunedì 20 finalmente succederà ciò che ci permetterà di prendere il “volo”, grazie a Pianificazione, Strategia, Costanza, Collaborazione tra Istituzioni e Movimenti ed ovviamente con Capacità!

 

Con questo, invito ed auspico rispettosamente, tutti gli indipendentisti di venire a “Canossa” per condividere in modo partecipativo l’istanza comune, e finalmente dare il giusto impulso all’obiettivo che deve diventare di TUTTI I VENETI.

 

 

Fonte: visto su MIGLIOVERDE del ottobre 2014

Link: http://www.miglioverde.eu/veneto-indipendente-per-referendum-donati-39-000-euro/

 

 

 

REFERENDUM VENETO, IL CONTO CORRENTE APERTO LO CONTROLLA LO STATO ITALIANO

 

 

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di REDAZIONE

 

Qualche giorno fa, abbiamo annunciato la nascita del Conto corrente per la raccolta dei fondi relativa alla realizzazione del referendum, come previsto dalla legge n. 16.

Da subito, qualcuno a storto il naso - lo stesso assessore Ciambetti ci risulta – per via del fatto che quel conto corrente non dà a chi versa le necessarie garanzie di vedersi restituiti i denari devoluti, nel caso in cui il referendum non si dovesse svolgere.

Perché?

Ecco il motivo, stando a quanto riportato su alcuni siti indipendentisti veneti, a firma di Roberto Agirmo:

“Premessa, mi assumo la completa responsabilità di quanto segue:

 

Sebbene sia entusiasta dell’apertura del C/C effettuata in data 30.09.2014 dalla Regione Veneto, ritengo sia doveroso fornire delle informazioni suplettive, in quanto, maggiormente i cittadini sono informati CORRETTAMENTE, migliore sarà il loro discernimento, quindi le decisioni che potranno assumere.

 

Cosi come detto il C/C istituito è appoggiato direttamente alla Regione, indi per cui è subordinato alle norme che vengono determinate per qualunque “cassa economica” regionale.

 

Cosa significa questo?

 

Semplice!
Alle ore 18.00 di ogni giorno i denari in “cassa” alla Regione, riconducibili a qualunque conto corrente della medesima, viene di fatto svuotato e tutti gli importi finiscono nelle casse dello stato, il quale alla bisogna retrocede i soldi alla Regione.

 

Sembra assurdo, ma è cosi!

 

Stante quanto sopra per tanto, esattamente come per tutti i Conti Correnti, anche quello per la Raccolta dei fondi destinati al Referendum segue questo ITER!

 

E Chiaro????
Bene!
Se è chiaro questo proseguiamo……

 

La regione, quindi il Presidente Luca Zaia e l’assessore al Bilancio Roberto Ciambetti, che sono perfettamente a conoscenza di quest’iter, evidentemente messi sotto pressione ( questa è una supposizione; forse ) ( da chi? ) si sono visti costretti ad anticipare l’apertura del C/C, quando invero era già stabilito dopo innumerevoli riunioni organizzative che proprio al fine d’evitare questa discrasia si sarebbe dovuto costituire un COMITATO che la stessa Regione avrebbe appoggiato e proprio quest’organo “super partes” composto da innumerevoli movimenti, partiti ed associazioni, nonché appunto la stessa regione in modo “esterno” avrebbe aperto un Conto Corrente non soggetto a questo “potenziale pericolo”.

 

A quanto mi risulta, il COMITATO è prossimo alla costituzione cosi come l’apertura del Conto Corrente.

 

Personalmente sono pronto non solo a fare il mio versamento, ma anche a raccogliere e promuovere i versamenti da tutti coloro i quali si sentiranno d’appoggiare il Rederendum stesso!

 

L’idea di versare dei soldi su un C/C che alle 18.00 di ogni sera viene svuotato mandando tutti i soldi raccolti a Roma mi terrorizza.
Non so a Voi!

 

Io aspetto la settimana prossima il nuovo C/C quindi verserò il mio “obolo” Volontario e sereno.

 

P.s. Se ritenete queste informazioni interessanti v’invito a condividere.

 

A SCANSO DI EQUIVOCI, E PER ULTERIORE CONFERMA DI QUANTO SOPRA, ECCO ALCUNE ALTRE INFORMAZIONI:

 

Nel 2012 grazie al governo Monti, e’ stata istituita la TESORERIA UNICA CENTRALE ( http://www.lagazzettadeglientilocali.it/pf/testo-news/23240/Tesoreria-unica-Monti-detta-le-istruzioni ).

 

Regioni, Provincie e Comuni con più di 5000 abitanti, non hanno il DIRITTO di trattenere i loro soldi.
Ogni sera ALLE 18.00 i conti correnti dei NOSTRI enti locali vengono SVUOTATI quindi TUTTI i soldi vanno a Roma, quando gli enti necessitano di soldi, lo stato li restituisce ma……all’interesse dell’1%.


 

Ciò che è scritto qui è verificabile ergo per cui, chi dice che si fa disinformazione, è sulla strada sbagliata.

 

Ovviamente c’è il libero arbitrio e ci mancherebbe altro!!!!
 Chi vuole versi pure ci mancherebbe altro!!!!
Io aspetto ancora qualche giorno, poi SICURAMENTE verserò il mio OBOLO e non solo continuerò ( cosa che mai ho smessi di fare ) a battermi per la causa Indipendentista!

 

Io pretendo un C/C di cui possa fidarmi!

Tu ti fidi dell’Italia?

IO NO

 

 

 

Fonte: visto su MIGLIOVERDE del novembre 2014

Link: http://www.miglioverde.eu/referendum-veneto-il-conto-corrente-aperto-lo-controlla-lo-stato-italiano/

 

 

INDIPENDENZA VENETA?

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Un argomento che  leghisti e secessionisti di varia sorta tirano fuori con una certa frequenza è la durata millenaria della Repubblica di Venezia, come se questo dovesse legittimare l’instaurazione di una nuova “repubblica veneta” nel nordest italiano.

 

A tal proposito è opportuno ricordare che  la Repubblica di Venezia fu uno Stato veneziano, non veneto come si vuol far credere. Sotto la Serenissima le città erano amministrate da podestà (per lo più veneziani) scelti a Venezia dall’aristocrazia lagunare. Quindi i veneti complessivamente considerati non si sono mai autodeterminati in un loro governo, non hanno mai avuto un proprio Stato: semplicemente a un certo punto – verso la fine del ‘300 – una città veneta si è imposta su tutte le altre e ha dettato la propria legge fino a quando non arrivò Napoleone (1797). Quale stato “veneto” dunque? A comandare erano i veneziani, mentre in terraferma si prendevano ordini e in larghissima parte si lavorava la terra. Che poi i veneziani fossero amministratori illuminati e liberali è un dato di fatto, ma non si capisce bene perché un tale merito dovrebbe essere esteso a padovani, trevigiani e veronesi. E’ un po’ troppo comodo prendersi meriti altrui, mi sembra.

 

Aggiungo che l’indipendenza di Venezia durò mille anni (come quella di Roma del resto, che nessuno però pensa di ripristinare) ma il suo dominio sulla terraferma veneta durò decisamente meno, qualcosa come quattro secoli. Lo Stato veneziano al massimo del suo splendore andava da Brescia all’isola di Cipro, passando per l’Istria e la Dalmazia. Si capisce dunque come l’omogeneità etnica e culturale dei cittadini della Repubblica non fosse propriamente il suo forte: parlare di uno stato nazionale dei veneti è abbastanza ‘discutibile’, visto c’erano comunque lombardi, ladini, friulani, tedeschi, greci e slavi (questi poi erano tantissimi, basti vedere quanti veneti portano ancora oggi il cognome “Schiavon” e affini, dal veneziano “s’ciavo” che significa appunto “slavo”).

 

E perché i veneziani conquistarono la terraferma veneta nel ‘300? Erano forse spinti da amore fraterno e patriottico per i vicini “connazionali” veneti? No, il motivo fu puramente strategico e militare: da un lato c’era il desiderio di annullare la potenza della vicina e rivale Padova, dall’altro era diventato ormai troppo pericoloso mantenere il confine di Stato a Mestre, e dunque per difendere meglio la laguna si ritenne opportuno conquistare altri territori ad ovest.

E’ giusto ricordare poi che la Repubblica di Venezia poté nascere e svilupparsi per una serie di eventi e condizioni storiche particolarissime: un iniziale rapporto di dipendenza dall’Impero bizantino, i commerci con l’Oriente, la fondamentale importanza del Mediterraneo per l’economia di quei secoli, le crociate (la quarta in particolare), i privilegi concessi dai sovrani orientali nei loro porti…tutto questo cosa c’entra con oggi? sarebbe stato anacronistico per un sistema economico industriale (‘800), figuriamoci per questo sistema economico finanziario! che senso ha paragonare quell’esperienza storica al Veneto attuale? cosa c’è di ripetibile in quella storia?

 

Venezia nel ‘600 finì per perdere tutti i suoi possedimenti orientali, e dopo l’arrivo dei Turchi e la colonizzazione delle Americhe (a cui non partecipò, e già questo dovrebbe far pensare) divenne  – da attivissimo impero mediterraneo qual era – un piccolo Stato sempre meno rilevante nello scacchiere internazionale. Chiusa tra le sponde dell’Adriatico, la Venezia del ‘700 era ormai solo il ricordo sbiadito della potenza che fu, e quando Napoleone arrivò in Italia ci mise ben poco a smembrarla e a venderla subito dopo agli Austriaci col trattato di Campoformio. Questa fu l’ingloriosa fine della Repubblica di Venezia, stretta fra due colossi che se la scambiarono (pacificamente e non) almeno un paio di volte nel giro di quindici anni. Durante il Risorgimento – sotto la guida di Manin e Tommaseo – i veneziani non ebbero nessuna remora nel combattere contro l’Austria nel nome dell’Italia, probabilmente consapevoli che piccoli e da soli – nell’era degli Imperi e degli Stati nazionali – non sarebbero andati da nessuna parte, come la loro storia più recente confermava.

 

Ah, gran parte dei documenti ufficiali della Repubblica di Venezia erano redatti in italiano. Ma questa è un’altra storia.

 

 

Fonte: visto su La Ciarla di Giovanni Pistolato, giovedì 28 marzo 2013

Link: https://pistolato.wordpress.com/2013/03/28/indipendenza-veneta/

 


IN QUESTO MOMENTO È BENE RICORDARE LA TEORIA DI CICERONE

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ieri come oggi cicerone

 

 

1          il povero                     lavora

2          il ricco                         sfrutta il povero

3          il soldato                     li difende tutti e due

4          il contribuente           paga per tutti e tre

5          il vagabondo              si riposa per tutti e quattro

6          l’ubriacone                 beve per tutti e cinque

7          il banchiere                li imbroglia tutti e sei

8          l’avvocato                   li inganna tutti e sette

9          il medico                     li accoppa tutti e otto

10       il becchino                  li sotterra tutti e nove

11       il politico                     campa alle spalle di tutti e dieci

 

 

IL CAPITOLO CANONICALE DELLA CATTEDRALE DI VERONA

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cattedrale-verona.1200

La Cattedrale di Verona

 

 

Origine e significato della parola «Capitolo» e «Canonica»

 

Il Capitolo canonicale viene definito anche nell’attuale Codice di diritto canonico (c. 503)

«il Collegio di sacerdoti al quale spetta assolvere alle funzioni liturgiche più solenni nella chiesa cattedrale…, inoltre adempiere i compiti che gli vengono affidati dal diritto o dal Vescovo diocesano».

 

Il Capitolo trae origine dall’antico presbyterium, dall’insieme cioè del clero locale che fin dai primi secoli costituì il senato del vescovo per quanto concerne la liturgia della cattedrale e l’amministrazione della diocesi.

 

I rapporti tra Capitolo e vescovo furono disciplinati lungo i secoli da varie disposizioni giuridiche di carattere generale e particolare.

 

Il termine «canonica» si riscontra per la prima volta presso San Basilio e nel Concilio di Laodicea per distinguere il chierico, che seguiva i sacri «canoni», dai «clerici vagantes» o addetti a una chiesa privata, ma senza rapporti col vescovo. Secondo Sant’Ambrogio fu Sant’Eusebio, vescovo di Vercelli, il primo a introdurre in Occidente fra il clero della sua diocesi la vita comune dei monaci, da lui conosciuta durante l’esilio in Oriente.

 

Comunque a partire dalla fine del sec. IV, sull’esempio di quanto aveva attuato Sant’ Agostino nella sua sede di Ippona, in molte diocesi il clero aveva adottato la convivenza comune in casa del vescovo, con regole (canones) di chiara ispirazione monastica.

Furono detti canonici coloro che sottostavano a vita comunitaria e capitulum si denominò l’adunanza quotidiana dei medesimi, dedicata alla lettura di un capitolo della regola. Probabilmente i canonici veronesi leggevano ogni giorno un brano dei sermoni di San Zeno. Successivamente il termine capitulum indicò qualsiasi riunione dei canonici, fino ad identificarsi con lo stesso collegio canonicale.

 

 

Origine del Capitolo veronese

 

I cristiani di Verona al tempo di San Zeno sono distinti in tre categorie di persone: chierici, laici e monaci.

 

Il clero (dal greco Klèros = porzione toccata in eredità nel significato del salmo 15,5 e 118,57) a sua volta risulta organizzato in modo gerarchico con preti, diaconi, suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori e ostiari secondo la graduatoria elencata anche da Isidoro di Siviglia, che si richiama a una lettera di papa Cornelio nel 251 e riportata da Eusebio di Cesarea.

 

La più antica testimonianza di una simile strutturazione ecclesiastica a Verona è data dalla celebre sottoscrizione dello scrivano Ursicino che nell’anno 517 (f. 117r del Codice XXXVIII) si dichiara «lettore della chiesa veronese».

 

Una ulteriore, anche se tardiva, conferma della struttura gerarchica del Capitolo veronese emerge da un frammento di lapide rinvenuto durante i lavori di ricostruzione della Biblioteca Capitolare dopo la distruzione provocata dal bombardamento del 4 gennaio 1945. Vi è testimoniata anche una forte vitalità caritativa che si esprime attraverso l’opera del «xenodochio».

 

Si può pensare che San Zeno avesse adottato la vita comunitaria per i suoi sacerdoti. Quando, accennando ad essi, li definisce «operarii qui mecum sunt», richiama certamente la loro collaborazione, ma allo stesso tempo sottintende che i suoi «operai» vivono con lui, condividendo i suoi problemi pastorali e svolgendo tra l’altro anche l’attività di studio e trascrizione di libri in quello scriptorium, da cui scaturirà l’odierna Biblioteca Capitolare.

 

 

Trasformazione della vita del clero

 

La vita comunitaria del clero, che aveva preso come modello la vita degli apostoli con il Signore, favoriva lo svolgimento pratico della liturgia, perché la celebrazione esigeva la presenza, a intervalli frequenti durante la giornata, di parecchi ministri.

 

Il problema della vita comune del clero è complesso e costituisce tutt’ora oggetto di approfondimenti. È comunque assodato che si vollero sempre tener distinti l’ordo monasticus dall’ ordo canonicus.

 

Gregorio I aveva stabilito che la militia clericatus fosse distinta dalla professio monastica (PL LVII, 680), in modo che i monaci potessero vivere in tranquillità e completo isolamento, mentre i chierici della cattedrale avevano varie incombenze come l’amministrazione del patrimonio ecclesiastico, la formazione del clero, l’esercizio del potere giudiziario nei riguardi delle persone soggette e soprattutto l’ufficiatura liturgica quotidiana.

 

La regola di Sant’ Agostino, inizialmente interpretata in modo rigido, almeno per quanto riguardava l’osservanza della povertà individuale, aveva dato origine a congregazioni denominate «canonici regolari».

 

Ma in alcune diocesi, tra cui Verona, fu permesso ai canonici di abitare in una propria casa vicino al chiostro (claustrum) con l’obbligo però del refettorio in comune: il suono della campana della chiesa vicina li convocava alle varie officiature. Un po’ alla volta anche i chierici canonici divennero secolari, adeguandosi al modo di vita dei sacerdoti in cura d’anime, i quali per il loro particolare ministero, non potendo vivere in comune, risiedevano presso la chiesa dove svolgevano la loro attività.

 

Dopo la crisi generale provocata dalle invasioni barbariche, con ripercussioni negative anche nella disciplina del Capitolo, a Verona nel corso dell’ottavo secolo si ha una ripresa della vita liturgica e culturale.

 

Durante l’epoca carolingia viene introdotta nel Capitolo veronese la disciplina canonicale unitaria elaborata intorno al 760 da Crodegango, vescovo di Metz e codificata dal Concilio di Aquisgrana dell’816. La regola ribadiva in particolare l’obbligo per i canonici di cantare l’ufficio corale.

 

Era allora direttore dello Scriptorium il celebre Arcidiacono Pacifico. La sua personalità e la sua poliedrica attività sono descritte nell’epitafio posto sulla sua tomba ed ora murato sopra la porta laterale sinistra del duomo.

 

 

L’esenzione del Capitolo ottenuta con i privilegi di Ratoldo

 

Nell’ambito della riforma carolingia Ratoldo, vescovo di Verona, proveniente dal monastero benedettino di Reichenau sul lago di Costanza, con un documento datato 24 giugno 813 aveva concesso una parte di rendite ai canonici e con un altro documento, datato 16 settembre 813, li aveva sottoposti alla giurisdizione del patriarcato di Aquileia «ut canonici Sanctae Veronensis ecclesiae sint liberi in supradicta ecclesia sub iure et dominio domini patriarchae».

 

Sull’autenticità dei due documenti molto si è discusso. È tuttavia significativo che un diploma di Ludovico il Pio del 23 giugno 820 confermi la donazione di Ratoldo facendo menzione di una Schola sacerdotum et aliorum clericorum (corporazione di chierici), esistente «antiquitus» presso la chiesa di Santa Maria Matricolare (era il titolo della cattedrale).

 

Da qui è facile desumere che il termine «Capitolo», inteso come persona giuridica, sia una innovazione introdotta in epoca carolingia.

 

Anche da altri documenti posteriori si apprende che il Capitolo canonicale è indicato con vari titoli come Canonica Sancte Marie et Sancti Georgii, Schola sacerdotum de ecclesia Sancte Marie Matricularis, Canonica Sancte Dei Genitricis Virginis Marie.

 

I rapporti dei canonici col vescovo Raterio durante il sec. X furono piuttosto tumultuosi, ma non impedirono a quel vescovo assai colto di dimostrare la sua stima e simpatia per lo scriptorium della schola, che egli stesso frequentò e beneficò.

 

 

Dopo il Mille

 

Stefano «cantor» della Cattedrale durante il sec. XI, nel Carpsum (cod. XCIV), sua opera autografa, ci trasmette le usanze liturgiche della Canonica (ossia della comunità canonicale), che si svolgevano parte nel Duomo, parte nelle chiese vicine, parte nelle altre chiese. Dal Carpsum si desume che nell’ambito del Capitolo, termine più volte ricorrente nel testo, esisteva una netta distinzione tra i sacerdoti e i leviti nei confronti dei chierici «inferioris ordinis». Il clero minore conduceva una completa vita comune, mentre il clero maggiore aveva un’abitazione propria e percepiva una porzione delle rendite della Canonica per vivere privatamente.

 

I chierici «maiores» (presbiteri e diaconi) furono detti anche «ordinarii», fino al secolo X. Il termine «cardinalis» non si riferisce, almeno nel Carpsum, ai canonici, ma sembra indicare gli arcipreti delle pievi cittadine, le quali pure erano chiamate «cardinales» dal 908 in poi, per distinguerle da quelle dipendenti dal Capitolo o dai monasteri.

 

Verso la fine del XIII secolo la liturgia subisce una specie di cristallizzazione favorita dall’opera dei frati minori. Le sette ore dell’ufficio sono raggruppate in due o tre momenti della giornata; sono quasi sempre recitate, non più cantate e all’officiatura canonicale sono tenuti solamente coloro che godono un beneficio.

 

Anche a Verona l’attività liturgica non indulge a innovazioni rilevanti e tende invece a una rigida conservazione, come sembra dimostrare un documento dell’Archivio capitolare dell’11 giugno 1226.

 

La liturgia ufficiale diventa sempre più appannaggio di pochi addetti: il clero della Cattedrale. I canonici per salvare un minimo di vita comune, segnata quasi unicamente dalla frequenza nel coro, sentono la necessità di una disciplina espressa dalle costituzioni.

 

Il Capitolo canonicale in questo tempo, forse perché composto molto spesso da elementi di provenienza esterna, è preoccupato di gestire la sua struttura.

 

Parte del patrimonio ecclesiastico, quella non legata alla «comuni canipa» (specie di cassa comune) col passare del tempo venne frazionata in prebende e benefici secondo un regolamento sancito pure dalle costituzioni.

 

Dai documenti del IX secolo si constata che i beni del Capitolo erano amministrati dall’arciprete e dall’arcidiacono e forse erano destinati ai chierici maggiori (cioè ai canonici), mentre i beni del clero minore erano amministrati dal praepositus.

 

Le due autorità più importanti, l’arciprete e l’arcidiacono, sono designati anche con il titolo di custodes et rectores della schola.

 

A quanto si deduce dal Carpsum, il canonico cantor era una dignità, il cerimoniere autorevole della schola, mentre ricadeva sul magister dei «clerici de secretario», cioè i chierici minori, il compito di far eseguire diligentemente le rubriche con l’esecuzione accurata (studere cuncta) di tutto l’ufficio nei giorni non festivi durante l’ottava di Natale, di Pasqua e nel periodo fino all’ Ascensione.

 

Col passare del tempo la vita comunitaria canonicale lentamente veniva meno per vari motivi. Era tuttavia tenuto in considerazione l’obbligo principale del Capitolo, legato all’officiatura corale quotidiana. Per garantirne maggiore efficienza e solennità il 7 novembre 1225 i canonici veronesi ottennero da papa Onorio III la nomina di altri quattro sacerdoti, detti mansionari, uno dei quali aveva l’obbligo specifico di animare il canto.

 

 

Le costituzioni

 

Fin dai tempi antichi il Capitolo si preoccupò di disciplinare la propria vita interna e i rapporti con gli altri enti ecclesiastici e laici per mezzo di regole che vanno sotto il nome di costituzioni.

 

Le più antiche a noi pervenute sono quelle pubblicate nel 1303 da Paolo da Reggio, arciprete del Capitolo, e contenute nel cod. DCCLXV.

 

È facile intuire che questa raccolta di costituzioni rifletta consuetudini e regolamenti più antichi riguardanti la presenza al coro e le corrispondenti distribuzioni, il compito della residenza, la permuta delle prebende e il giuramento dei canonici.

 

 

Giurisdizione dei canonici

 

Con l’autonomia giuridica ottenuta nell’813 dal vescovo Ratoldo il Capitolo veronese si era costituito in ente morale dotato di abitazioni, di ambienti per lo scriptorium, per la formazione del clero e per l’amministrazione, e di una chiesa per le ufficiature proprie. In questo modo venne a formarsi una specie di diarchia, una diocesi nella diocesi. Il Capitolo pretese che anche le chiese in città e fuori città, sulle quali esercitava qualche diritto, fossero sottratte alla giurisdizione del Vescovo. I canonici lungo i secoli esercitarono la loro giurisdizione sulle seguenti chiese:

 

 

In città:

 

Collegiata di San Giorgio detta anche di Sant’Elena

 

Chiesa arcipretale di San Giovanni in Valle detta anche di San Giovanni Battista ad Portam Organi

 

Chiesa arcipretale di San Paolo in Campomarzio con l’ospedale di San Giacomo di Galizia

 

Chiesa dei Santi Pietro e Paolo nell’ospedale della Misericordia

 

San Giovanni in Sacco

 

San Pietro in Castello

 

San Faustino e Giovita di Mondragone con l’oratorio dell’ Algarotti

 

San Giovanni in Fonte

 

Chiesa dell’ospedale della Pietà

 

Santa Maria Consolatrice

 

San Clemente con l’oratorio di San Biagio

 

Santa Cecilia

 

San Fermo e Rustico di Cort’alta detto anche in Capella San Paolo Eremita detto anche San Paolo

 

Vecchio Ospedale di Santa Maria Novella

 

San Pietro Incarnario

 

Sant’Eufemia

 

Sant’ Andrea

 

San Zeno

 

San Procolo

 

 

Fuori città:

 

San Michele in Campagna detta anche in Flexio con l’annesso Monastero

 

Chiesa di San Pancrazio

 

San Leonardo in Montedonico

 

San Giovanni Battista di Quinzano con la chiesa di Sant’ Alessandro, San Valentino e di San Rocco

 

Ognissanti di Marzana

 

San Faustino e Giovita

 

San Michele di Calmasino

 

Santa Maria di Ossenigo

 

Santa Maria di Cinto Padovano

 

San Paolo a Prun

 

San Cassiano con Sant’ Ambrogio di Casale Alto

 

Santa Maria di Turano

 

San Prosdocimo

 

Ognissanti di Novare

 

San Giorgio in Salici

 

San Felice di Arzaré di Valpantena

 

San Vito e Floriano con Monastero a Lusia

 

San Faustino a Lazise

 

Santa Maria di Ronco

 

Cerea

 

 

Riconoscimenti ufficiali

 

La giurisdizione del Capitolo canonicale era innanzitutto di carattere spirituale, ma anche civile e criminale, con tribunali propri e atti giudiziari, come è testimoniato dagli undici mila documenti dell’archivio pergamenaceo e da più di un migliaio di faldoni dell’archivio cartaceo.

 

 

Transazione con i vescovi di Verona e cessazione dell’autonomia del Capitolo canonicale

 

I privilegi concessi da Ratoldo ai canonici veronesi avevano creato un’autonomia economica e giurisdizionale, di cui i beneficiari furono sempre strenui difensori. Era inevitabile che lungo i secoli si determinassero situazioni di tensione con l’Ordinario del luogo.

 

Gli attriti più gravi si composero con compromessi e transazioni, tra cui ricordiamo quella del vescovo Pietro della Scala nel 1376, di Mons. Gianmatteo Giberti nel 1530, del cardo Agostino Valier nel 1597 e dei vescovi Marco Giustiniani nel 1634 e Sebastiano Pisani nel 1654.

 

Erano ormai maturi i tempi per riportare ordine nei rapporti tra il vescovo e coloro che agli albori della chiesa erano i suoi primi collaboratori. La soluzione definitiva dell’annosa controversia venne l’11 maggio 1756, quando Benedetto XIV con la bolla Regis Pacifici ripristinò l’autorità del vescovo di Verona sul Capitolo canonicale.

 

 

Opere e istituzioni realizzate dal Capitolo canonicale

 

Durante la sua storia ultramillenaria il Capitolo veronese ha svolto la sua attività in opere e istituzioni che hanno la loro espressione più completa e significativa soprattutto nella celebre Biblioteca Capitolare, nell’annesso Museo-Pinacoteca e anche nella Scuola degli Accoliti.

 

Quest’ultima, che aveva iniziato a esistere verso la metà del secolo XV, è cessata durante i primi decenni di questo secolo.

 

I documenti della Scuola degli Accoliti sono confluiti nella Biblioteca Capitolare, che, come l’Archivio e il Museo-Pinacoteca, mantiene tutt’ora una intensa attività culturale non solo a dimensioni locali, ma anche europee e internazionali.

 

 

Uomini illustri del Capitolo veronese

 

Le istituzioni culturali realizzate dal Capitolo canonicale sottintendono evidentemente la presenza di uomini intellettualmente dotati e spiritualmente preparati, che le hanno promosse e sostenute.

Diamo un elenco sommario dei canonici più illustri, suddividendoli per categorie, secondo l’ufficio che ricoprivano.

 

Canonici vescovi

 

Arcidiacono Audone o Aldone, vescovo di Verona

 

Notkerio, vescovo di Verona

 

Arcidiacono Lamberto, vescovo di Vicenza

 

Bilongo, vescovo di Verona

 

Cadalo, vicedomino di Verona, antipapa col nome di Onorio II, vescovo di Parma

 

Arciprete Riprando, vescovo di Verona

 

Cardinale Adelardo Cataneo, vescovo di Verona

 

Norandino, vescovo di Verona

 

Manfredo Scaligero, vescovo di Verona

 

Giacomo, conte di Braganza, vescovo di Verona

 

Guido Scaligero, vescovo di Verona

 

Arciprete Bonincontro, vescovo di Verona

 

Arciprete Gregorio di Montelongo, arcivescovo Sipontino

 

Cardinale Pietro Colonna, arciprete

 

Cardinale Annibaldo da Ceccano, arcivescovo

 

Pietro Scaligero, vescovo di Verona

 

Marchese Gabriele Malaspina, vescovo di Luni e Sarzana

 

Cardinale Landolfo Maramauro

 

Arciprete Melchior Bevilacqua, arcivescovo di Palermo

 

Giovanni De Surdis piacentino, vescovo di Vicenza

 

Cardinale Lucido de Conti

 

Cardinale Gabriele Condulmer, papa Eugenio IV

 

Arciprete Gilberto Nichesola, vescovo di San Leone in Calabria

 

Cardinale Giovanni Michiel, vescovo di Verona

 

Valerio Nichesola, vescovo di Belluno

 

Marco Mariperto, vescovo di Curzola

 

Cardinale Bernardino Maffei

 

Celso Pacius bolognese, canonico veronese referendario, vescovo Castrense

 

Bartolomeo Cartolari, vescovo di Chioggia

 

Marco Antonio, conte Verità, vescovo di Auxer

 

Bartolomeo Giera, vicario capitolare, vescovo di Feltre

 

Arcidiacono Marco Antonio Lombardo, vescovo di Crema

 

Gualfardo conte Ridolfi, vicario generale e capitolare, cavaliere della Corona Ferrea, vescovo di Rimini

 

Cardinale marchese Luigi Canossa, vescovo di Verona

 

Giordano Corsini, vescovo di Guastalla

 

Cardinale Bartolomeo Bacilieri, vescovo di Verona

 

Giuseppe Venturi, vescovo di Cagli e Pergola e poi arcivescovo di Chieti

 

Giuseppe Lenotti, vescovo di Bova e poi arcivescovo di Foggia

 

Sennen Corrà, vescovo di Chioggia e poi di Pordenone

 

Andrea Veggio, vescovo titolare di Velia e Ausiliare a Verona.

 

 

Canonici bibliotecari

 

Guglielmo da Monzambano

 

Giampaolo Dionisi

 

Agostino Rezzani

 

Cozza Cozzio

 

Carlo Carinelli

 

Giuseppe Bianchini

 

Francesco Muselli

 

Giuseppe Muselli

 

Giangiacomo Dionisi

 

Gian Battista Giuliari                        1856-1892

 

Paola Vignola                                    1892-1894

 

Don Antonio Spagnolo, superiore dell’Istituto Don Mazza (b)     1894-1916

 

Mons. Giuseppe Zamboni                1916-1922

 

Mons. Giuseppe Turrini                   1922-1969

 

Mons. Guido Santini                         1969-1972

 

Mons. Alfeo Perobelli                       1972-1979

 

Mons. Mario Peruzzi                        1979-1983

 

Mons. Alberto Piazzi                         1983

 

 

Altri canonici celebri

 

Pacifico

 

Stefano Cantore

 

Paolo da Reggio

 

Giovanni de Matociis detto il Mansionario

 

Bonifacio da Cellore

 

Adamo Fumano

 

Pier Francesco Zini

 

Cesare Nichesola

 

 

A conclusione di questo breve itinerario storico ci sembra di poter sottoscrivere ciò che affermò Benedetto VII a riguardo del Capitolo veronese definendolo «honestum magis quam opulentum inter coetera Italiae nobiliora capitula insigne».

 

 

 

 

FONTE: (da “IL CAPITOLO CANONICALE DELLA CATTEDRALE DI VERONA – storia – statuto – regolamento” – Verona 1991)

 

ANNIBALE BUGNINI: “LA RIFORMA LITURGICA, C’EST MOI!”

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Annibale Bugnini: “La riforma liturgica, c’est moi!”

 

 

Rorate caeli ha pubblicato un estratto di un recente libro di P. Anscar Chupungco OSB, ex Presidente del Pontificio Istituto liturgico in Roma, liturgista vecchio stile, quindi, critico fervente di Liturgiam Authenticam (il documento pontificio che ha tentato, con poco successo, di riportare ordine nel novus ordo) e ancor più del motu proprio Summorum Pontificum, nonché indiscusso guru della camarilla liturgistica nelle Filippine (eh sì, ogni paese ne ha una, così come ogni paese ha la propria delinquenza, le proprie calamità naturali, i propri alcoolisti). In questo testo, intitolato What, Then, Is Liturgy? Musings and Memoir, l’unica parte degna di menzione (il resto pare essere la solita risciacquatura di piatti di idee vecchie spacciate per ‘aggiornamento’ ad un mondo che nel frattempo è cambiato) è quella contenente indiscrezioni sul dietro le quinte della riforma liturgica sotto Paolo VI e Giovanni Paolo II, come pure estese riflessioni sulla liturgia mescolata con critiche delle politiche dell’attuale pontificato. Il libro contiene anche proposte di Chupungco per demolire quel che resta del rito romano, onde continuare ciò che egli considera come il programma incompiuto della riforma liturgica post-conciliare. Ecco un estratto dalle pagine 3-4 del testo, edito dalle pubblicazioni claretiane (Padre Augé potrà essere fiero dei suoi confratelli filippini…). Nel leggere di Bugnini, non dimentichiamo che la superbia è il peccato più inviso a Dio e gradito al demonio.

 

Dopo diversi decenni dalla riforma liturgica ci sono ancora contrastanti opinioni su ciò che il Concilio aveva veramente intenzione di realizzare. Ho avuto l’occasione di chiedere al padre Cipriano Vagaggini, un altro dei miei mentori e uno degli artefici della Costituzione liturgica, che cosa significasse “sostanziale unità del rito romano”. La frase è oscura, e tuttavia cruciale per l’inculturazione. La sua risposta è stata assai rivelatrice: “Ho posto la stessa domanda quando stavamo stendendo la Costituzione, ma nessuno in commissione aveva una risposta!” Strane invero sono le vie dello Spirito durante il Concilio e sicuramente dopo il Concilio. Ma a cercar proprio una consolazione, la tensione può essere considerata un segno incoraggiante che l’interesse per la liturgia non è diminuito nel corso degli anni. Quando Gut Benno, Abate Primate della Confederazione Benedettina, fondò il Pontificio Istituto liturgico a Roma nel 1962, i professori di teologia, come profeti di sventura, lo avvisarono che la liturgia era una moda che non avrebbe superato la durata della loro vita.

 

Nel suo libro postumo, La riforma della liturgia, 1948-1975 Annibale Bugnini descrive la grande opposizione alla riforma conciliare e postconconciliare. Tra i gruppi più antagonistici che egli ha identificato, i seguenti chiaramente affiggono una mentalità di controcultura. Il primo è Una Voce, un gruppo internazionale, per la difesa del latino, del canto gregoriano e della polifonia sacra contro la musica moderna e in vernacolo. I secondi sono gruppi indipendenti che spesso erano ostili ai cambiamenti liturgici avanzati dalla Santa sede. Tra loro Bugnini nomina l’American Catholic Traditionalist Movement, e individui come il giornalista italiano Tito Casino [sic], che nel suo libro la tunica stracciata attaccò aciamente l’uso del vernacolo; il Cardinale Alfredo Ottaviani e il Cardinale Antonio Bacci, che hanno sostenuto strenuamente l’opposizione contro il nuovo Messale a causa dei suoi elementi asseritamente “eretici”, “psicologicamente distruttivi” e “protestanti”; e il francese abbé Georges de Nantes, che chiese l’estromissione di Papa Paolo VI, accusato di eresia, di scisma e di scandalo. Anche alcuni dei fedeli devoti che frequentavano la Messa erano contrari all’uso del vernacolo. Nella Chiesa di Sant’Anselmo, un’anziana signora mi corresse mentre le stavo offrendo la comunione: “non dicitur ‘ Il corpo di Cristo,‘ sed ‘Corpus Christi’!” (In latino perfetto lei mi esortò a dire “Il corpo di Cristo” in latino, non in italiano.)

 

Bugnini stesso, allora Segretario della Congregazione del culto divino, non è stato risparmiato. Era una persona sistematica che ha programmato la riforma liturgica e ha coraggiosamente spinto la sua attuazione contro tutte le opposizioni. Ricordo che in una delle sue visite al Pontificio Istituto liturgico ha dichiarato, “Io sono la riforma liturgica! In più di un modo la sua autovalutazione era corretta. La riforma postconciliare non avrebbe progredito con passi da gigante se non fosse stato per il suo spirito intrepido e la sua tenacia. A coronamento delle sue realizzazioni liturgiche il Vaticano lo promosse al rango di delegato papale in Iran, dove divenne famoso nel mondo secolare per aver negoziato con successo il rilascio degli ostaggi americani.

 

L’autore spaccia come un’effettiva promozione al merito la cacciata a Teheran, che l’interessato stesso, ossia l’arcivescovo Bugnini, considerò nelle sue Memorie come un esilio dovuto al fatto che Paolo VI si era convinto della sua affiliazione massonica. Questo Ciupaciup filippino si spinge talmente nell’agiografia di sant’Annibale da oltrepassare ogni soglia del ridicolo e, soprattutto, della buona fede: è credibile che non abbia letto le Memorie del suo Maestro? Quanto al ruolo del pro-nunzio nel condurre quelle trattative con Komeini, la cosa ci giunge affatto nuova.

Comunque, una cosa da meditare che traspare da questo pur breve estratto è che la riforma liturgica fu l’opera di una ristrettissima minoranza, agguerrita e organizzata, sulle spalle dell’ecumene cristiana (il liturgista filippino non a caso menziona l’opposizione nelle parrocchie, o il ruolo decisivo dell’interventismo di Bugnini; e non dimentichiamo che la cosiddetta messa normativa, ossia il primo tentativo di nuova messa sottoposto al giudizio dei padri conciliari, a concilio finito, fu respinta, per poi entrare in vigore tal quale). La storia è mossa dalle minoranze: in questo, il marxismo-leninismo ha visto giusto. E allora, tradizionalisti di tutto il mondo, unitevi; e, per parodiare il Manifesto del partito comunista, aggiungiamo pure che uno spettro si aggira per l’Europa, quello del ritorno alla Liturgia di Sempre. E tutte le potenze ecclesiali della Vecchia Europa (e non solo) si sono coalizzate in una santa caccia alle streghe contro questo spettro…

 

Enrico

 

 

 

ALCUNI COMMENTI

 

 


LDCaterina63 (16 ottobre 2010)


Purtroppo non si finirà mai di girare il coltello in questa piaga, difficilmente estirpabile se non dall’Alto, dal momento che dal Concilio si decise che fosse giunta l’ERA DELLA MISERICORDIA DI DIO e della tolleranza del peccato….come se Dio in questi Duemila anni avesse usato la Chiesa esclusivamente per condannare….e come se la Liturgia della Chiesa fosse stato così e da sempre il CAPRO ESPIATORIO di tutte le inquietudini umane da scagliarsi contro quella Chiesa “Maestra” di vita e di costumi….

A quanto detto sopra è bene menzionare un altro sacerdote, padre Josè-Apeles Santolaria de Puey y Cruells (Barcellona 1966).

Sacerdote, avvocato e giornalista è laureato in Giurisprudenza e Diritto Canonico e presso la Scuola Diplomatica spagnola si è diplomato in Studi Internazionali.

E’ inoltre Cappellano dell’Ordine di Malta ed è collaboratore di Radio Vaticana ed è inoltre autore di notevoli studi e articoli sulla storia della Chiesa e sulla storia dei Pontefici.

Che ha scritto il libro: “Papi in libertà” dove possiamo leggere questo passo:

In verità, come è facilmente dimostrabile, Paolo VI non era di queste intenzioni, eppure lasciò fare e finì egli stesso per adeguarsi alle iniziative di Bugnini….

E’ scandaloso apprendere che nel 1967 il Concilium che stava ancora lavorando, diede alla luce un formulario che chiamò “Missae normativa”, elaborato con la collaborazione di ben sei protestanti, e che fu portato ai vescovi per l’approvazione….
Il bello è che i vescovi infatti NON accettarono questo formulario e che anzi, scatenò come era giusto che fosse, molte reazioni contrarie che alla fine esso venne ritirato ma non gettato, bensì tenuto nel cassetto in attesa di “tempi migliori”…

Con astuzia luceferina il testo venne ritoccato qua e là senza modificare la sostanza che aveva invece ottenuto la negazione dei Padri, e portato davanti a Paolo VI il quale, incredibilmente, lo approvò con il nome di “Novus Ordo Missae”…

Era il trionfo dell’ala progressista-modernista, ce l’avevano fatta, avevano vinto la loro battaglia!

Di conseguenza nella Nuova Messa abbiamo il contributo dei protestanti che guarda il caso NON credono nella Presenza Reale!

La nascita di questa Riforma resterà inspiegabile ed incomprensibile nella storia della Chiesa.

 

 

don Camillo16 ottobre 2010

Per la precisione “la Messa Normativa” 1965 era la Messa di San Pio V senza l’Introibo e il Vangelo di San Giovanni con le orazioni maggiori (colletta, secrete, post communio) e letture recitate in italiano ma la “parte sacrificale” in latino… con qualche piccolo ritocco nel

E poi la riforma di Bugnini incomiciò con al nefasta riforma della Settimana Santa di Pio XII che neanche Giovannone utilizzo a san Pietro, dove il Sacerdote PER LA PRIMA volta incominciò a dare, in alcuni momenti liturgici, le spalle al Santissimo Sacramento; e con la ritraduzione dei salmi detti di BEA del breviario.

 

 

LDCaterina6316 ottobre 2010

Scriveva così Tito Casini:

I protestanti, ho detto (dimenticando che dovevo dire i «fratelli separati», e di quale fraternità si tratti è palese presentemente in Irlanda), per dire appunto i padri e maestri di questi nostri riformatori da cui essi, come il paggio Fernando della famosa partita, si riconoscono di gran lunga superati, e ricordare ciò che il santo pontefice pur ora citato diceva e prediceva, in quella sua prima enciclica alle soglie del secolo: «L’errore dei protestanti diè il primo passo su questo sentiero; il secondo è del modernismo; a breve distanza dovrà seguire l’ateismo».

Siamo prossimi a questo, all’ultimo stadio, la «morte di Dio», e la Riforma, la «nostra», n’è la propellente: il principio protestante, cuius regio illius et religio, ogni regione la sua religione, ha nel «pluralismo liturgico» – nella legge del culto autonoma, regionale, lingua e riti, rispetto a quella del Credo – il suo equivalente, con la conseguenza che la religione, la vera, la buona, langue in ogni regione, che il pluralismo si risolve in nullismo, avverandosi in tutte, anche in quelle dove il volgare è meno volgare, meno barbaro, ciò che il Marshall scriveva, per i cattolici riformisti, dell’Inghilterra riformata: «Non c’illudiamo: non sarà la liturgia in volgare a far venire gl’invitati al festino di nozze. La Chiesa anglicana canta il più bell’inglese davanti ai banchi più vuoti, mentre il (cattolico) più ignorante in latino intende benissimo ciò che fanno i monaci di Solesmes».

e ancora scriveva profeticamente negli anni ’70:

Risorgerà, vi dicevo… [la Santa Messa Tridentina] risorgerà, come rispondo ai tanti che vengono da me a sfogarsi (e lo fanno, a volte, piangendo), e a chi mi chiede com’è che io ne sono certo, rispondo (da «poeta», se volete) conducendolo sulla mia terrazza e indicandogli il sole… Sarà magari sera avanzata e là nella chiesa di San Domenico i frati, a Vespro, canteranno: Iam sol recedit igneus; ma tra qualche ora gli stessi domenicani miei amici canteranno, a Prima: Iam lucis orto sidere e così sarà tutti i giorni.

 

 


Areki16 ottobre 2010

La riforma di Bugnini è un “vulnus” nella Chiesa attuale, una sorta di “peccato originale” che inficia ed ottenebra tutta la dimensione del culto e anche della fede…… non ci sarà niente da fare finchè non si riconoscerà ufficialmente il male immenso che è stato fatto e non si cercherà di porvi rimedio con tempo e determinazione.

Ancora oggi nei paesi dell’Est usciti dal comunismo si osservano le conseguenze velenose di quella rivoluzione satanica che fu il comunismo.

Il “Summorum Pontificum” è stato un primo coraggioso passo, ma bisogna avere il coraggio di aprire gli armadi che nascondono tanti scheletri e fare veramente pulizia.

Anche se venisse un angelo dal cielo a dirmi che la riforma di Paolo VI è buona, non è possibile credere, la mia coscienza si sentirebbe violentata come mi sento violentato da quelli che dicono che il divorzio e l’aborto sono “diritti civili”……

don Bernardo

Solo la Madonna Immacolata potrà risolvere questo pasticcio

 

 


Cantore16 ottobre 2010

La riforma liturgica fu l’opera di una ristrettissima minoranza, agguerrita e organizzata, sulle spalle dell’ecumene cristianaLa storia è mossa dalle minoranze: in questo, il marxismo-leninismo ha visto giusto.

I comunisti sono abituati a fare le cose in questo modo; non rassegnandosi al fatto che nemmeno la maggioranza dà ragione a loro, ma bramando di comandare, agiscono da dittatori spacciandosi da democratici. Ecco perché la “Chiesa parlamentare” del post Concilio è in realtà molto più totalitaria di quella pre-Concilio.

 

 


don gianluigi16 ottobre 2010

Ciò che mi sconvolge è l’ignoranza di mons. Bugnini che mette mano al cuore della liturgia, la consacrazione, con le seguenti motivazioni: (“La Riforma Liturgica” C.L.V. Ed. Liturgiche, 1997, pp.447-448)

 

«Questi cambiamenti sono dovuti essenzialmente a ragioni di completezza e di chiarezza pastorale. La cosa si spiegava così:

1° nella Scrittura non vi è un’unica formula, ma ve ne sono quattro….

2° Nella liturgia bisogna dunque o scegliere uno di questi testi a preferenza degli altri, o fare delle formule composte. …. (e chi l’ha detto? Forse che l’eucarestia non è stata celebrata prima della redazione dei Vangeli?)

3° La formula del canone romano per la consacrazione del pane (Hoc est corpus meum), accettata anche dal canone ambrosiano del giovedì santo:… È per se stessa notevolmente incompleta dal punto di vista della teologia della messa. (!!!!)

4° L’aggiunta “Mysterium fidei” nella formula del canone romano per la consacrazione del vino: non è biblica, si trova solo nel canone romano, è di origine e di significato incerti…. (!!!!!)»

Capito il Nostro liturgo per eccellenza quale finezza aveva nei confronti del canone romano. Egli, Bugnini, è il vero metro di discernimento della vera liturgia, altro che il Canone di Roma, egli sedet super Canonem. Che tristezza di riforma ci siamo dovuti sorbire.

 

 


Francesco B.16 ottobre 2010

Buon Enrico, nel 1967 la grande maggioranza dei vescovi e dei sacerdoti cattolici era contraria alla messa nuova, in quanto rivoluzionaria e simil-protestante, appartenente ad un’altra e diversa religione. Ma quarant’anni dopo, grazie al lavaggio del cervello perpetrato proprio dalla messa nuova nei cuori dei cattolici, la situazione si è totalmente ribaltata e oggi quasi più nessun vescovo e sacerdote rinuncerebbe alla comoda messa di Bugnini per tornare indietro. Il progetto demoniaco e satanico di cambiare la religione cattolica in qualcos’altro si è ormai silenziosamente compiuto e siamo diventati protestanti senza manco essercene accorti. E’ troppo tardi, ormai, per recuperare ciò che andato perduto. I buoi sono usciti dalla stalla e non basterà un semplice motu proprio per modificare sostanzialmente le cose. Il bilancio del Summorum Pontificum, a distanza di tre anni, può ritenersi fallimentare: qualche Messa tradizionale in più rispetto a prima non ha cambiato assolutamente nulla. Per il 99 per cento dei sacerdoti e dei vescovi cattolici niente è cambiato rispetto a prima e la messa di Bugnini continua a regnare sovrana e incontrastata nel 99,9 per cento delle chiese. Anzi, dopo un iniziale entusiasmo da parte dei tradizionalisti prima oppressi, la situazione si è ormai stabilizzata e non dobbiamo più aspettarci balzi clamorosi in avanti: il numero delle Messe antiche resterà più o meno stabile, purtroppo. Se a ciò aggiungiamo le deludentissime nomine episcopali che Benedetto XVI dispone (vedi quel pover’uomo di Nosiglia a Torino), già si può prevedere che neanche i nuovi cardinali residenziali promuoveranno mai la Messa tradizionale, anzi, la ostacoleranno. E, dopo Benedetto XVI, chi raccoglierà la sua eredità? Quale Papa avremo? Betori, Nosiglia, Romeo, Ravasi, Rylko, Marx? Cari amici della tradizione, l’illusione della rinascita cattolica può dirsi già definitivamente esaurita. Prepariamoci ad una nuova riforma luterana dentro la Chiesa, ad un concilio vaticano III, ad un papa Paolo VII, o Giovanni XXIV, o Giovanni Paolo III. Vogliamo scommettere che il prossimo pontefice prenderà uno di questi tre nomi? Potrei giurarlo! Vedrete se avrò avuto ragione! Quanto a Palombella, non fasciamoci la testa: le cose non muteranno sostanzialmente rispetto ad ora e non sarebbero cambiate di molto neanche se, al suo posto, fosse stato nominato un maestro eccelso della scuola romana. La situazione generale della Chiesa è mediocre, se non pessima, e papa Benedetto dimostra di adagiarsi comodamente sullo status quo.

 

 

Anonimo26 settembre 2011

“La Costituzione sulla liturgia rende evidente il passaggio dello Spirito Santo sulla Sua Chiesa in questo tempo benedetto del Concilio”:

 

 

 

Fonte: da MESSA IN LATINO.IT del 16 ottobre 2010

Link: http://blog.messainlatino.it/2010/10/annibale-bugnini-la-riforma-liturgica.html

 

 

 

 

LA SINISTRA DEGLI OPERAI È ANNEGATA NEL TRATTO DI MARE CHE SEPARA IL DIRE DAL FARE

SUL “MASSONE” ANNIBALE BUGNINI

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Annibale  Bugnini

 

 

di Francesco Colafemmina

 

La notizia della certa affiliazione di Bugnini alla Massoneria, emersa da Inside the Vatican, sta suscitando nella rete diffidenze e interrogativi. Anzitutto quelli di persone esperte che non hanno mancato di evidenziare la “debolezza” della “tesi della valigetta”. Sono in molti infatti a domandarsi come fosse possibile che dei monsignori affermati se ne andassero in giro per il Vaticano con delle lettere firmate dal Gran Maestro della Massoneria Italiana.

Ebbene qui si rendono necessarie due precisazioni.

 

Anzitutto sul caso Bugnini ed il suo esilio in Iran. La tesi di “Via col vento in Vaticano” pare sia la più probabile e documentata:

 

All’epoca postconciliare del Vaticano II, molti indagarono a fondo per appurare da dove potesse provenire l’ordine di sconquassare le antichissime tradizioni liturgiche, patrimonio intoccabile della Chiesa, le cui radici secolari prendevano origine fin dai tempi apostolici e questi dall’Antico Testamento del popolo eletto. Seguirono le mosse dell’artefice principale di gran parte delle rimanipolazioni liturgiche, l’arcivescovo Annibale Bugnini, segretario del Dipartimento pontificio per il culto divino.

 

Dopo lunghi pedinamenti e appostamenti, le tracce portavano nei pressi del Gianicolo verso la sede massonica del Grande Oriente d’Italia a palazzo Il Vascello.

Risultò che l’Annibale s’era messo a disposizione del gran maestro, che gli passava un assegno mensile molto sostanzioso; uno di questi assegni fu fotografato e pubblicato su una nota rivista nell’estate del 1975.

 

Nell’ottobre seguente, trafiletti di stampa avvertivano che Bugnini era scomparso dalla scena di curia e nessuno sapeva dove s’era andato a rintanare. La speditezza con cui monsignor Bugnini era stato dalla sera alla mattina defenestrato dal suo incarico, voleva essere una lezione di cinismo diplomatico e anche un esempio di nevrosi politica.

 

I prelati massoni della curia tenevano i due congregati Bugnini e Baggio (quest’ultimo allora prefetto del dicastero dei vescovi) al riparo dall’ira di Paolo VI, informato dai servizi segreti di massima sicurezza al comando del generale dell’Arma Enrico Mino, circa un complotto ai suoi danni. Sbollita l’ira montiniana, il 4 gennaio dell’anno appresso Bugnini si ritrovò spedito nunzio in Iran, dove rimase fino a luglio 1982, quando morì di morte naturale procurata.

 

Monsignor Bugnini aveva espletato alla perfezione il compito affidatogli dal grande architetto dell’universo massonico, satana, sulla deflorazione della sacra liturgia. Uscito ormai allo scoperto, il prolungamento della sua esistenza sarebbe stato d’impiccio e d’impaccio a sè e all’ordine, che in circostanze del genere ha facoltà di decidere al riguardo, stando al giuramento che ogni apprendista massone fa quando entra nel primo grado della ‘luce’ iniziatica.”(pp.210-211).

 

Ecco spiegata la storia! Nell’estate 1975 la rivista dell’affiliato alla P2, Mino Pecorelli, OP (Osservatorio Politico), pubblica la foto di un assegno del gran maestro Salvini a Bugnini, con tanto di matrice. Non è così difficile riscontrarne l’autenticità. D’altra parte per “convertire” un arcivescovo alla massoneria servono delle buone ragioni e il denaro è un’ottima ragione!

 

Così la questione delle lettere potremmo definirla un corollario, delle prove suppletive a conferma di un fatto ormai assodato. D’altra parte che quelle lettere siano in fotocopia non vuol dir nulla. Stando a chi le ha viste in quelle occasioni esse provenivano direttamente da una “Loggia Massonica“, erano più probabilmente lettere d’archivio del GOI  (Grande Oriente d’Italia). Perché scrivere delle lettere del genere? La ragione è logica.

 

Se voi foste il gran maestro del GOI  e riusciste a far affiliare un importante vescovo, vorreste prima di tutto renderlo vostro complice. Avreste la necessità di legarlo a voi in maniera esplicita e palese. Quelle lettere servivano a ciò. Ed infatti sono state la concausa della naturale “epurazione” di Bugnini.

Ma per restare ai nostri giorni anche nel caso Wielgus è emersa una simile attitudine della Polizia Segreta che dopo aver adescato il sacerdote mantenne un canale di scambio di informazioni scritte e firmate da lui, all’origine delle sue dimissioni.

Notate poi quanto afferma Mons. Marinelli (il ghost writer di Via col vento…): Bugnini sarebbe morto di “morte naturale procurata”, ovvero sarebbe stato assassinato dai suoi “fratelli” per evitare che una sua “conversione” o un suo “pentimento” lo rendessero in grado di spiattellare l’incredibile architettura della riforma liturgica.

 

A margine di questa vicenda francamente mi stupisce come ancora oggi fatti di una tale evidenza possano esser messi in discussione o accantonati con sarcastico scetticismo. Nè d’altra parte è accettabile pensare che le infiltrazioni allogene di questo stampo non possano mai intaccare la Chiesa – tanto c’è il buon Gesù! -.

Gesù non ci ha fatti incapaci di discernere il grano da loglio, non ha parlato a dei minus habentes, ma a uomini di retta coscienza e retta distinzione del bene dal male, quindi ha parlato a uomini che hanno responsabilità.

E la rinuncia dell’uomo alla responsabilità di creare chiese che in realtà sono templi massonici o riti impastati con materiale allogeno, comporta una colpa nei confronti di Cristo, una colpa collettiva!

 

Credo inoltre che dopo 40 anni i danni ci siano eccome e sono danni materiali e spirituali sotto gli occhi di tutti. Chiudersi nel pietismo caritatevole e monotono del “tutto va bene, madama la marchesa” lo reputo un modo un po’ cinico di allontanare dalla propria considerazione episodi che meriterebbero la massima attenzione e che rischiano ancora – se esaminati correttamente – di assumere proporzioni colossali in ambito liturgico, dottrinale ed ecclesiale.

 

 

Fonte: visto su FIDES ET FORMA del 24 luglio 2009

Link: http://fidesetforma.blogspot.it/2009/07/sul-massone-bugnini.html

 

 

 

ALCUNI COMMENTI

 

Francesco Colafemmina ha detto… (7/24/2009)

D’altra parte, chiedo scusa se aggiungo questa postilla, ma lei conferma che nessuno l’ha visto morire, ma è stato trovato morto.

 

 

Anonimo ha detto… (7/24/2009)

Mi permetto di intervenire ancora sul tono generale di questo post. Il titolo “Sul Massone Bugnini” sembra indicare che il Vostro blog accoglie ormai come prova provata che Bugnini era massone. Anch’io, nel mio blog (“liturgia opus trinitatis“) parlo di questa vicenda, ma in forma interrogativa, e indico alcuni aspetti che non sono chiari. Vi consiglio di leggere anche il primo intervento che tale notizia ha provocato nel blog “Papa Ratzingerblog [2]”, che si esprime in questi termini: “Quando il Sommo Pontefice Paolo VI approvò la riforma liturgica, si dovette scontrare anche con diversi esponenti del mondo della cultura laica massonica che consideravano la liturgia cattolica come un’opera d’arte. Questa gente considerava la liturgia cosa da museo e non accettavano il fatto che il popolo di Dio potesse entrare nel Santuario di Dio con una partecipazione più consapevole e attiva. Bugnini era una persona integerrima. Non si può accanirsi contro una persona con fatti non provato e evanescenti. Non è civile, non è cristiano!” (firmato da una tale Fabio). Queste affermazioni non sono campate per aria; hanno un riscontro nella letteratura di quel tempo in cui, personaggi di cultura che non si dichiaravano cattolici, criticavano la riforma liturgica proprio partendo dai concetti indicati da Fabio.

Matias Augé

 

 

Francesco Colafemmina ha detto…( 7/24/2009 )

Caro Padre,

grazie, ho aggiunto le virgolette. Tuttavia le faccio notare che l’autorevole Inside the Vatican dà come certa l’affiliazione massonica di Bugnini. Capisco che questa vicenda sia discriminante in merito alla questione liturgica, ma non può essere ricacciata via come una fandonia o una calunnia.

Ci sono delle vecchie prove, ci sono testimonianze di sacerdoti e monsignori. Allora la domanda da porsi è: possibile che tutti costoro siano affetti da una forma di allucinazione collettiva o dal vizio del dileggio calunnioso?

E comunque il punto non a caso è sempre quello annoso della riforma liturgica. Anche chi non crede nella affiliazione di Bugnini (veda Tornielli sul suo blog) non esita ad affermare che nella Chiesa è “entrato un certo pensiero massonico” e che alcuni membri della curia di Paolo VI fossero chiaramente massoni.

Concordo comunque con lei sul fatto che l’accusa nominatim non sia sufficiente o utile.

La questione è più ampia. E forse sarebbe bello e costruttivo aiutare a comprendere come il “pensiero massonico” possa infiltrarsi nella Chiesa, quali istanze possano essere ad esso confacenti, perchè questa accusa a Bugnini è in piedi da trent’anni!

Allora, liquidare gli amanti del rito antico come degli “esteti” atei mi sembra altrettanto grossolano del puntare il dito sul “massone” per screditare la riforma.

Nel nostro blog ci sono dettagliate spiegazioni di come la Massoneria tenti di infiltrare il cattolicesimo (si veda ad esempio il caso San Giovanni Rotondo). Non credo siano divagazioni oziose, ma utili strumenti alla conoscenza dell'”inimica vis” di leoniana memoria.

Altrettanto andrebbe fatto in merito al caso Bugnini. Andrebbero cioè analizzate le ragioni di questo accostamento alla Massoneria con equanime senso storico e spirituale devozione.

Personalmente cercherò di portare qualche contributo se possibile, dal mio modesto angolo di informazione.

Quanto a quello che afferma Fabio su paparatzinger blog si commenta da sè, visto che tenta di attribuire al significato di “fumo di satana” quello di ribellione dei tradizionalisti con l’anello al naso, ancorati ad un estetismo devoto e despiritualizzato.

 

 

Max ha detto… (7/24/2009)

Che la massoneria fosse di casa in Vaticano, ai tempi di Paolo VI, è una cosa assodata. Come ha testimoniato don Luigi Villa, lo stesso Paolo VI era molto vicino ai massoni, ed era influenzato dalle loro idee. Quindi io sono convinto, che mons. Bugnini appartenesse alla massoneria e, che perseguì il piano massonico, che era quello di distruggere la Chiesa. E il modo migliore per distruggere la Chiesa, era quello di fare a pezzi il vecchio rito e, farne uno completamente nuovo, possibilmente simile a quello dei luterani, come infatti avvenne.

 

 

Paolo Gori ha detto… (7/24/2009) 1

Mi permetto un’altra considerazione, al di là della reale o presunta affiliazione del Bugnini alla Massoneria e dell’influenza di quest’ultima sulla Riforma della Liturgia. La storia della Chiesa ci insegna che alla base dei grandi eventi che l’hanno caratterizzata in questi 2000 anni ci sono sempre stati dei “grandi santi”. Figure bellissime che con la loro “opera” e “ispirazione” hanno permesso che l’azione dello Spirito Santo si attuasse, modellando quegli eventi, rendendoli veicoli della Verità ed inserendoli nel solco della Santa Tradizione della Chiesa. Se alla base dell’ultima riforma liturgica le “figure” invece che bellissime sono oscure e tetre e rispondono ai nomi di Bugnini, Baggio e Villot, io penso che il male che essa ha generato nella Chiesa sia immenso e quel male è sotto gli occhi di tutti. Si dice che l’albero si riconosce dai frutti ma siccome l’albero produce i frutti grazie alle radici è a quelle che dovremmo andare a vedere, ad esaminarle a capire le ragioni e le cause del perché i frutti prodotti siano tutti avvelenati.

 

 

by Tripudio ha detto… (7/24/2009)

Conosco personalmente qualcuno (vivente), a suo tempo alquanto legato a Bugnini, che sebbene abbia perplessità su certe affermazioni assolute (incluso il cosiddetto esilio di Bugnini in terra infidelium), non ha argomenti solidi per negare quel filo di ambiguità di quei personaggi e di quegli ambienti.

“Bugnini massone” è un’affermazione assoluta che può ispirare perplessità ai cosiddetti moderati ed a coloro che non hanno abbastanza chiari i termini della questione; ma “Bugnini in qualche modo stipendiato dalla massoneria” pare proprio un’ipotesi difficile da respingere. Anche perché l’esistenza di quinte colonne massoniche in Vaticano risale almeno ai tempi del Sillabo (di cui la versione fatta firmare dal Papa – contenente espliciti condanne alla massoneria – non fu poi quella fatta pubblicare).

Su queste faccende si discorre ormai da diversi decenni e quindi è dubbio che possa magicamente venir fuori all’improvviso la soluzione definitiva all’enigma. Ma mi se proprio qualcuno ci vuol convincere di un Bugnini “santo subito”, non dovrebbe usare gli argomenti dei detrattori dell’antica liturgia…

 

 

Orsobruno ha detto… 7/25/2009 9:30 AM

Caro Francesco,

pur non essendo giovanissimo (47 anni) non ho alcun ricordo delle liturgie passate; quelle attuali non mi sembra mortifichino la Presenza del Signore nel Santissimo Sacramento dell’Altare ma, ripeto, non so cosa ci fosse prima.

Quello che invece vedo bene è lo sfacelo a livello di architettura.

Se la mia sensazione è corretta (e se non lo è, fammelo pure presente) perchè le liturgie eucaristiche sembrano, tutto sommato, essersela cavata, mentre l’architettura, la scultura, la pittura, la musica, sono precipitate nel baratro?

Con stima

Aurelio

 

 

Francesco Colafemmina ha detto.. (7/25/2009)

Carissimo Aurelio,

condivido quello che dici, sebbene in parte. Personalmente ritengo, infatti, che sia un fatto incontrovertibile la netta dipendenza fra riforma liturgica e degrado artistico-architettonico.

Basta leggere l’incipit di questa pregevole tesi di laurea sull’argomento:

http://www.tesionline.it/__PDF/844/844p.pdf

e rileggere le norme per l’adeguamento liturgico cei

http://www.celebrare.it/documenti/adeguam_chiese/m257-001.htm

Chiaramente non si vuole intaccare il novus ordo, ma è innegabile che vi sia una diretta connessione fra la sua promulgazione ed il decadimento artistico ed architettonico delle chiese.

Lo spazio di una chiesa è infatti specchio del rito che si celebra al suo interno.

Se partiamo da questa consonanza fra liturgia e spazio sacro, è ovvio che gli elementi di discrimine fra un rito e l’altro, per quanto fondamentalmente poco incidenti sulla vita religiosa del fedele (la Santa Messa è infatti in entrambe le forme un unico rito ai fini della salvezza), incidono profondamente sulla trasformazione del contesto nel quale esso prende forma. Un rito appunto “prende forma” si esprime in gesti, in spazi, musica, attraverso forme espressive umane.

Perciò la questione Bugnini sebbene sia un fatto di “cronaca” che mi interessa particolarmente e che ho voluto render noto ai lettori nei suoi dettagli, credo sia comunque collegata a tutto il resto.

E pur non mettendo in discussione il rito nella forma ordinaria (il Novus Ordo), mette in discussione i criteri applicativi di quel rito.

Sappiamo benissimo che il nuovo rito ha infatti anzitutto la necessità di un altare orientato verso il popolo.

Che non deve esistere una barriera fra popolo e presbiterio, che l’ambone deve avere ruolo preminente.

Così cominciamo a togliere il limes tra spazio propriamente sacrale (il presbiterio – sancta sanctorum) e spazio per l’assemblea.

Demoliamo le balaustre, uniamo la chiesa in una forma più consona all’unione fra celebrante e fedeli.

Quindi facciamo chiese circolari o quadrate o ovoidali, con l’altare al centro.

Demoliamo poi anche l’altare maggiore, perchè lì deve andarci la sede del celebrante. Mettiamo così un trono dietro l’altare e vari tronetti per i concelebranti.

La custodia eucaristica va spostata in un altro spazio, quindi costruiamo una cappelletta laterale e mettiamola lì.

Chi entra in chiesa non si inchina più dinanzi al centro, ma dinanzi all’altare e al trono del sacerdote.

Poi eliminiamo troppe opere d’arte e altari devozionali, la chiesa deve essere spoglia e sobria (SC cap. VII).

E visto che non c’è più la custodia eucaristica, eliminiamo gli inginocchiatoi (come se nella messa non ci fosse la Presenza Reale).

Avrai notato infatti che molte chiese hanno gli inginocchiatoi dinanzi alla cappella eucaristica, ma non nell’aula liturgica. Una schizofrenia notevole!

Eliminiamo poi il latino. Passiamo alle lingue volgari, il canto gregoriano lo mettiamo in soffitta, cancelliamo secoli e secoli di musica sacra da Palestrina a Mozart a Bruckner etc. Passiamo ai canti di Kiko Arguello…

Credo quindi che ci sia una profonda consequenzialità nell’attività demolitrice che nasce in quei tempi.

Ciò non toglie però e mi corregga chi non la pensa come me, che il rito nuovo possa essere celebrato mantenendo alcune caratteristiche formali tipiche di quello antico. In fondo sono o non sono due forme dello stesso rito?

 

 

Fonte: visto su FIDES ET FORMA del 24 luglio 2009

Link: http://fidesetforma.blogspot.it/2009/07/sul-massone-bugnini.html

 

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