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BUGNINI ERA MASSONE! LO CONFERMA UN MONSIGNORE A INSIDE THE VATICAN

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Bugnini_Annibale

Bugnini Annibale

 

 

Sull’ultimo numero della principale rivista cattolica in lingua inglese “Inside the Vatican“, il giornalista Robert Moynihan racconta della sua intervista con un “monsignore” anonimo indicatogli dal Cardinal Gagnon poco prima che quest’ultimo morisse. Il “monsignore” è il depositario del mistero relativo all’affiliazione massonica di Bugnini (noto anche agli addetti ai lavori come nome in codice “BUAN”).

 

Ma non solo! Sappiamo infatti anche dal libro di Mons. Marinelli (Via col vento in Vaticano) che Gagnon fu redattore di un dettagliatissimo dossier sui Massoni in Vaticano (vedi pagg.57-59). Commentano “i Millenari”: “Il materiale raccolto fu interessante e rivoluzionario. Il presidente della commissione monsignor Gagnon stette per tre mesi impegnato a stendere una voluminosa relazione che alla massoneria vaticana apparve subito scottante e pericolosa: si facevano i nomi e le attività occulte di certi personaggi di curia.”

 

Questo dossier fu rubato fra il 31 maggio ed il 1 giugno del 1974 dalla scrivania di Mons. Mester (collaboratore di Gagnon). Il Cardinale così rifece il dossier di suo pugno e chiese udienza. Non gli fu accordata, capì l’antifona e dopo qualche anno se ne tornò in Canada.

 

Ma la questione di Bugnini è fondamentale. Le lettere qui citate e indirizzate a Bugnini dal Gran Maestro furono pubblicate da “30 Giorni” nel 1991 in un articolo a firma di Andrea Tornielli. Non riuscendo a recuperare l’edizione italiana vi segnalo un articolo in cui sono tradotte in inglese ed un altro in cui sono leggibili in portoghese (entrambi provengono da autori un po’ estremi e molto duri riguardo alla riforma, ma sono le uniche fonti sulla rete riguardo alla pubblicazione di 30Giorni).

 

Il reportage-intervista di Inside the Vatican preannuncia ulteriori sviluppi e comunque afferma con ulteriore certezza che Bugnini, l’autore della Riforma Liturgica, era stipendiato dalla Massoneria Italiana. Libertè, Egalitè, Fraternitè!

 

di Dr. Robert Moynihan

 

 

Ho cominciato la mia conversazione con il monsignore indicatomi dal Cardinal Gagnon dopo la sua morte nell’agosto del 2007. Questa conversazione ebbe luogo sul finire del 2007.

 

“Sono rimasto molto rattristato dalla morte del Cardinal Gagnon” dissi.

 

“Si, anch’io” disse il monsignore. “E’ stato un valido servo della Chiesa. Ha sofferto molto.”

 

“Lo conoscevo”, dissi. “Mi ha sempre aiutato, specialmente agli inizi”.

 

“Era un uomo gentile”.

 

E quindi abbiamo cominciato la nostra solita conversazione sullo stato della Chiesa, le ultime notizie dal Vaticano e così via. La nostra conversazione si è così concentrata naturalmente sulla pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, che promuoveva un più ampio uso del rito antico della Messa.

 

“Sono confuso” dissi.

 

“Perchè?” fece lui.

 

“L’intera questione. Ciò che è accaduto nel Concilio Vaticano II, la Costituzione sulla Liturgia, la Commissione stabilita per rivedere la Messa, Monsignor Bugnini… ed ora, 40 anni dopo, sembriamo ancora in uno stato di confusione. Sembra come se tutte le cose che consideravamo sacre – tutte le cose che amavamo – fossero state calpestate.”

 

“Tu sei troppo cupo” disse, facendo ondeggiare le mani come a voler respingere le mie conclusioni. “Si, molte cose sono state calpestate, ma l’essenziale rimane. Non si è perso il cuore.”

 

“L’essenziale rimane? Si guardi intorno. Abbiamo alcuni che non si interessano affatto ad alcuna tradizione, guardano la ‘Chiesa Antica’ con senso di colpa e farebbero di tutto per non tornare indietro. E abbiamo molti tradizionalisti che sembrano focalizzarsi soltanto sulle cose esteriori – e ciò talvolta somiglia ad una idolatria del rituale…”

 

“Non la vedo così in bianco e nero. Stai tralasciando del tutto gli individui, tutti i loro atti di sacrificio, il loro buon umore, le loro preghiere. Sei caduto nella trappola. Nella battaglia per la verità, non dimenticare la grazia. Ricorda c’è Dio, lo Spirito Santo, la Vergine…”

 

“Ma perchè così tanti sembrano indifferenti?”.

 

“Alcuni non hanno un’opinione, alcuni sono persuasi che la Chiesa doveva essere cambiata. Alcuni semplicemente hanno seguito la marea. Alcuni sono motivati dal denaro. E poi ci sono quelli che servono altri padroni. Questo era il caso di Bugnini…”

 

Così cominciammo. Non per ciò che disse, visto che si tratta di una antica accusa, ma per il modo in cui lo disse, come se fosse una cosa fuori discussione e ormai assodata.

 

“Naturalmente, ho udito di ciò” dissi, “ma perchè lei lo dice così schiettamente, come se ne fosse certo? Pensavo fosse solo un’accusa?”

 

“E’ certo” mi disse “almeno certo come lo sono le cose di questo mondo. Lui si recò ad un incontro dal Segretario di Stato con la sua valigetta. Era il 1975. Più tardi quella sera, quando tutti erano andati a casa, un monsignore trovò la valigetta che Bugnini aveva lasciato. Il monsignore decise di aprirla per vedere chi ne fosse il proprietario. E quando la aprì, trovò lettere indirizzate a Bugnini definito ‘fratello’, da parte del Gran Maestro della Massoneria Italiana…”

 

“Ma è possibile che queste lettere fossero dei falsi?” domandai. “Qualcuno poteva aver aperto la valigetta, visto che era di Bugnini, e quindi infilatoci le lettere false, per diffamarlo?”

 

“Beh, teoricamente, suppongo che sia possibile. Ma Paolo VI, almeno, non lo pensava. Quando gli fu portata questa prova, giunse alla conclusione che Bugnini dovesse essere rimosso immediatamente dal suo posto. Così Bugnini fu nominato nunzio apostolico in Iran. Dopo più di 25 anni alla guida della riforma liturgica fu licenziato bruscamente e inviato in una nazione in cui non ci sono affatto cattolici. Era una forma di esilio.”

 

“Ciò è davvero triste”.

 

“No,” disse, “è davvero umano… E oggi, 35 anni dopo, appartiene al passato. E’ qualcosa per cui non possiamo fare nulla.”

 

“Ma se è realmente vero,” dissi “allora Paolo VI avrebbe potuto approvare la Nuova Messa sotto false pretese, così com’era? Ciò non avrebbe dobuto sollevare domande sull’intera riforma liturgica? E perchè allora Paolo VI non risalì all’intera commissione preparatoria, se credeva che quanto lei mi sta dicendo fosse vero?”

 

“Guardi, ” disse il monsignore “non è importante quante sconfitte subisca la Chiesa, non è importante quanti tradimenti, ma che ci sia sempre la speranza…”

 

“Ma le perdite sono immani” dissi, “è come se il nostro legame col passato fosse stato interrotto…”

 

“No!”. Mi guardò con fierezza: “Tu stesso sei la prova che questo legame non è stato rotto. E lo sono anch’io. E ti dico che anche se dovessi cadere e tradire la fede, e anche se dovessi farlo io, ed anche se tutti nel mondo dovessero cadere, la Chiesa non sarebbe sconfitta. Essa prevarrà! Non praevalebunt!”

 

E lo guardai meravigliato per la sua fede. Ma non gli domandai ancora del dossier Gagnon. (continua).

 

 

Traduzione: Francesco Colafemmina – Tratto da Inside the Vatican 19.07.2000

  

 

Fonte: visto su FIDES ET FORMA del 21 luglio 2009

Link: http://fidesetforma.blogspot.it/2009/07/bugnini-era-massone-lo-conferma-un.html

 

 

 

 

NOME IN CODICE: BUAN

 

 

PaoloVI 

Papa Paolo VI

 

 

Il Concilio Vaticano II, monsignor Bugnini, la massoneria, e la Babele dell’informazione

 

La questione dell’influenza massonica sui lavori del Concilio Vaticano II è stata ampiamente dibattuta: qui vorrei solo proporvi uno spunto – che lascio ai vostri approfondimenti- su un personaggio che è stato al centro della riforma liturgica e di cui tutt’oggi permangono dubbi sulla sua appartenenza massonica.

 

Districarsi fra notizie e contro-notizie non è semplice, specialmente in vicende così complesse: ed è proprio questa confusione uno dei mezzi utilizzati dalla massoneria, ma anche dai servizi segreti, per fare in modo che le persone si stanchino di cercare e non si pongano domande. Cosa che dovremmo invece fare molto più spesso e con molta più ostinazione.

 

Monsignor Annibale Bugnini, di cui potete trovare informazioni biografiche su Provincia Romana e su Wikipedia, fu nominato da papa Paolo VI segretario della Commissione per la Liturgia per il Concilio Vaticano II. Questo cruciale evento prese avvio nel 1962 sotto il pontificato di Giovanni XXIII e terminò nel 1965 sotto Paolo VI. I risultati furono tanto imponenti quanto radicali su molti aspetti: da riforma che riguardava inizialmente più gli aspetti formali della dottrina e la modernizzazione della Chiesa, si trasformò in una riforma che mutava passaggi fondamentali della liturgia stravolgendone spesso il significato.

 

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Mons. Annibale Bugnini

 

Un video documentario che tratta questo punto è per esempio “Ciò che abbiamo perso”, che offre ancora spunti interessanti sebbene un po’ datato e dal taglio molto tradizionalista, visibile in streaming con RealPlayer.

 

Protagonista del Concilio fu proprio Mons. Bugnini, che apportò le modifiche principali alla liturgia definendo le “linee-guida” per il nuovo rito della Messa, da cui scaturì il Missale Romanum del 1969 (Novus Ordo Missae, Nuovo Ordinario della Messa), che è la riforma vera e propria della liturgia, sempre pubblicata da papa Paolo VI.

 

Non si tratta, come spesso si dice, di soli cambiamenti di forma, per esempio l’abbandono del latino e l’adozione delle lingue nazionali, ma anche di riforme sostanziali del rito, tra cui l’avvicinamento alle idee protestanti con l’abolizione o la modifica di varie frasi-chiave del rito eucaristico, per cui il dogma della transustanziazione, caposaldo della messa cattolica, diviene qualcosa di evanescente e “interpretabile”: da qui il decentramento del tabernacolo (che conserva le ostie consacrate e quindi sottolinea la presenza reale di Cristo in mezzo ai fedeli), tolto dalla posizione centrale e relegato sempre più ai margini della chiesa. Le chiese post-conciliari sono riconoscibili anche per questo aspetto, oltre che per un ambiguo concetto di “creatività architettonica”.

 

chiesa_postconciliare

Chiesa post-conciliare (Irlanda)

 

Una disamina della nuova liturgia post-conciliare è il “Breve esame critico del Novus Ordo Missae” presentato a Paolo VI dai cardinali Ottaviani e Bacci, respinto dall’allora Prefetto della Fede, cardinale Seper.

 

Durante i lavori della Commissione Liturgica, diversi gruppi esternarono le proprie rimostranze (tra questi per esempio la Fraternità San Pio X fondata da Marcel Lefebvre, i cui sacerdoti furono poi sospesi dalle loro funzioni): essi criticavano in particolare le eccessive concessioni al Protestantesimo in nome dell’ecumenismo e il divieto di celebrare la messa secondo l’antico rito tridentino, in vigore fino al Concilio Vaticano II.

 

Ma torniamo a mons. Annibale Bugnini e al suo ruolo di promotore della riforma liturgica.

 

La sua vicenda si intreccia strettamente con quella del Concilio, perciò ho deciso di spendere due parole su di esso e far capire cosa vi fosse in gioco.

 

E qui inizia anche la parte più nebulosa di tutta la faccenda. Cerchiamo quindi di chiarirne i punti principali seguendo un ordine cronologico.

 

 

Gagnon

Mons. Gagnon

 

Secondo quanto affermato in “Via col vento in Vaticano”, fra il 31 maggio e il 1 giugno del 1974 un voluminoso dossier sulla presenza massonica in Vaticano viene rubato dalla scrivania di mons. Mester, collaboratore dell’autore del dossier, il cardinale Gagnon.

Mons. Gagnon non si perde d’animo: riscrive di suo pugno l’intero dossier e chiede udienza. Non gli viene accordata.

 

E’ l’estate del 1975 quando Mino Pecorelli, affiliato alla P2, pubblica sulla rivista “Osservatorio Politico” la fotografia di un assegno, con tanto di matrice, del Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Lino Salvini. L’assegno è in favore di Annibale Bugnini.

 

Lo stesso Mino Pecorelli riporterà in seguito gli estremi dell’affiliazione di Bugnini al GOI (Grande Oriente d’Italia): iniziato il 23 aprile 1963 con il numero 1365/75 e il nome in codice BUAN.

 

Consiglio questa pagina web per approfondire i ruoli dei prelati presenti sulla “lista Pecorelli” e le oscure vicende che le fecero seguito.

 

Nell’aprile del 1976 lo scrittore cattolico Tito Casini pubblica un articolo in cui sostiene che Paolo VI avrebbe ricevuto informazioni sull’affiliazione di Bugnini alla massoneria. Queste accuse emergono all’indomani dell’allontanamento di Bugnini dal Vaticano, essendo stato da poco nominato nunzio apostolico in Iran.

 

Bisogna aspettare fino a ottobre del 1976 per una smentita da parte del Vaticano, dopo che a giugno altri cento prelati vengono accusati di far parte della massoneria (la “lista Pecorelli” compare sulla rivista Panorama).

 

 

Salvini

Lino Salvini

 

Passano quindici anni. Siamo nel 1991: la rivista “30 Giorni” pubblica un articolo a firma di Andrea Tornielli e riporta due lettere che, si dice, vennero trovate in una valigetta lasciata in Vaticano da mons. Bugnini:

la prima lettera, datata 14 luglio 1964, comincia con “Caro Buan” e sarebbe a firma del G.M. Salvini;

la seconda invece, del 2 luglio 1967, sarebbe dello stesso Bugnini.

 

Il Gran Maestro della massoneria italiana espliciterebbe il compito affidato al monsignore di “diffondere la de-cristianizzazione tramite la confusione dei riti e dei linguaggi” e di “mettere vescovi e cardinali l’un contro l’altro”.

La lettera continua dichiarando che “tutto deve avere luogo entro un periodo di 10 anni” e sottolinea:

la Babele linguistica e rituale sarà la nostra vittoria”.

 

La lettera di risposta di mons. Bugnini rassicurerebbe sul fatto che “la de-sacralizzazione prosegue rapidamente” e annuncia:

possiamo già cantar vittoria, poiché la lingua volgare è già sovrana in tutta la liturgia, incluse le parti essenziali”.

La lettera proseguirebbe ringraziando per i fondi ricevuti e auspicando un incontro a breve.

 

Le lettere, fotocopie prive di intestazione, si possono leggere in inglese e in portoghese sul sito Tradition in action.

 

 

30dias

La rivista 30giorni (vers. portoghese)

 

Passa un’altra ventina d’anni prima dell’ennesima rivelazione: nel numero del 19 luglio 2009 di “Inside the Vatican” il dr. Robert Moynihan pubblica una conversazione avvenuta nell’autunno del 2007 con un anonimo monsignore indicatogli dal cardinale Gagnon.

 

E’ possibile leggerne la traduzione in italiano sul blog Fides et Forma.

 

Nella conversazione, il monsignore dà per assodata l’affiliazione di Annibale Bugnini alla massoneria

(“Alcuni non hanno un’opinione, alcuni sono persuasi che la Chiesa doveva essere cambiata. Alcuni semplicemente hanno seguito la marea. Alcuni sono motivati dal denaro. E poi ci sono quelli che servono altri padroni. Questo era il caso di Bugnini” …

“Lui si recò ad un incontro dal Segretario di Stato con la sua valigetta. Era il 1975. Più tardi quella sera, quando tutti erano andati a casa, un monsignore trovò la valigetta che Bugnini aveva lasciato. Il monsignore decise di aprirla per vedere chi ne fosse il proprietario. E quando la aprì, trovò lettere indirizzate a Bugnini definito ‘fratello’, da parte del Gran Maestro della Massoneria Italiana”).

 

A seguito di questa pubblicazione si scatena di nuovo la bagarre, come si può leggere per esempio sui blog di Francesco Colafemmina e di Padre Giovanni Scalese, che torna sulla vicenda a seguito di critiche mossegli da Padre Matias Augé.

 

Ora.

Immagino sarete un filo confusi.

Se non lo siete, permettetemi di esporre alcuni fra i motivi per cui ritengo naturale sentirsi confusi dopo un simile profluvio di date, eventi e personaggi.

 

(Se avete anche la sensazione che i vostri neuroni siano prossimi a fare harakiri, è il momento giusto per prepararvi un buon thè prima di proseguire la lettura!)

 

Ci sono alcune domande a cui non è facile rispondere con i pochi e incerti elementi in nostro possesso. E ogni domanda sembra contraddire qualunque punto fermo acquisito in precedenza.

 

1) La questione della valigetta

 

E’ questo il punto più nebuloso dell’intera faccenda. Sembra anzi un tipico elemento inserito ad hoc per depistare e confondere.

 

Innanzitutto: se io fossi un alto prelato affiliato alla massoneria e stessi lavorando per sovvertire la tradizione cattolica, mi porterei appresso lettere compromettenti? E se fossi così sciocco, sarei anche così sbadato da dimenticare la mia valigetta col suo prezioso contenuto proprio nella “tana del lupo”, così che chiunque possa scoprirmi? Peraltro, le due lettere sono talmente brutali nella loro chiarezza da risultare grottescamente ingenue. Se non puzza di bruciato questo, non so che altro potrebbe farlo.

 

In secondo luogo: perché le lettere sono fotocopie prive di intestazione? Se avessi voluto portarmi appresso un documento che potesse provare la mia affiliazione, avrei scelto -se non gli originali- almeno una copia fedele. (Ma torniamo al punto: perché portare con sé in Vaticano documenti così scottanti?)

 

E infine: perché mons. Bugnini venne spedito a fare il nunzio apostolico in un paese come l’Iran? Se Paolo VI si convinse della sua affiliazione alla massoneria, avrebbe dovuto scomunicarlo. Altrimenti avrebbe potuto mantenerlo in Vaticano, come segno evidente che riteneva infondate tutte le accuse.

 

2) La “lista Pecorelli”

 

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Mino Pecorelli

 

Vero o no, l’elenco contiene i nomi dei più alti prelati vaticani, cardinali della cerchia papale che avevano in mano la direzione della Chiesa. Se Paolo VI riteneva infondate le accuse, perché non c’è stata alcuna querela nei confronti di chi pubblicò la lista, nemmeno da parte dei singoli prelati, e nemmeno in forma di richiesta di indagine giudiziaria? Se invece le accuse erano vere, come sembra almeno nel caso di alcuni cardinali, perché non vi è stata una “epurazione generale” nelle file della cerchia papale?

 

Eppure, che “il fumo di Satana” si fosse infiltrato in Vaticano era chiaro allo stesso Paolo VI già da tempo (“Attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa”, 29 giugno 1972).

 

E il suo successore, papa Luciani, che dichiarò di voler fare pulizia dei prelati massoni, morì dopo 33 giorni di pontificato in quel terribile settembre del 1978.

Ma sono coincidenze…

 

3) La riforma liturgica

 

E veniamo al punto fondamentale. Se papa Paolo VI si convinse delle accuse contro Bugnini (ricordiamo che nel ’76 lo spedì in Iran), perché non rigettò la riforma che era palesemente una sua creatura? Perché non rimetterla in discussione, riaprendo il dibattito? Se l’impianto della riforma liturgica era stato ideato da un massone, sarebbe stato doveroso nei confronti dei fedeli e della stessa Chiesa tornare sui propri passi e rivedere tutto. D’altra parte era in gioco l’essenza stessa del rito della Messa e il futuro della religione cattolica.

 

E se Paolo VI ritenne mons. Bugnini un massone, perché spedirlo in Iran e non scomunicarlo, come avrebbe dovuto fare? Le prove della sua affiliazione sembravano piuttosto solide, dopotutto. I riferimenti alle date e ai codici di iniziazione avevano almeno l’apparenza di essere qualcosa più che una montatura (e se montatura era, a che pro?).

 

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Chiesa post-conciliare (Foligno)

 

Certo se consideriamo l’atteggiamento nei confronti del cardinale Gagnon e del suo dossier sulla massoneria in Vaticano, a cui non venne concessa udienza, l’intero operato di Paolo VI viene illuminato da una nuova luce.

Pensiamo anche a quanto doveva essere ben infiltrata la massoneria in Vaticano se fu in grado di sottrarre il dossier dalla scrivania di Gagnon quando esso iniziò a diventare troppo corposo…

 

Certo la storia della valigetta sembra inventata appositamente per gettare discredito su mons. Bugnini. Ma le circostanze in cui la sua vicenda è immersa sono senza dubbio torbide. Teniamo presente inoltre che quelli erano gli anni dello IOR, di Marcinkus, Calvi e Sindona: di massoneria in Vaticano si parlava già da tempo.

 

Forse si è riusciti a zittire tutto prima che a qualcuno venisse in mente di fare davvero le “pulizie di primavera” in Vaticano. O forse, la parte più legata alla tradizione cristiana è sempre stata una minoranza, in quegli aurei lidi…

 

Nel mare di informazioni ambigue che intesse questa vicenda, emerge chiaro forse solo un punto: è essenziale porsi domande, chiedersi sempre i “perché” delle cose. Spesso la risposta è semplice, a fronte di un caos informativo messo a bella posta: bisogna cercare le giuste connessioni logiche.

 

 

Fonte: visto su NUOVO ORDINE MONDIALE del 2 gennaio 2012

Link: http://novoordo.blogspot.it/2012/01/nome-in-codice-buan.html

 


RENZI ROTTAMA MONTESQUIEU

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La divisione dei poteri dello Stato sembrava un principio cardine, scontato oramai e indiscutibile, indispensabile ai fini della legittimità dello Stato, un’acquisizione definitiva e irreversibile della democrazia occidentale; ma evidentemente non era così, almeno in Italia: con le riforme del Senato e della legge elettorale, il nostro premier è riuscito a rovesciare il lavoro di Montesquieu, a ritornare a una struttura statuale come prima della rivoluzione francese. Ora infatti il premier unisce in sé il potere esecutivo, il potere legislativo, e un’ampia parte del potere di controllo. Inoltre, non vi sono contrappesi indipendenti da lui al suo strapotere.

 

La tesi fondamentale esposta da Montesquieu nel suo celebre trattato Lo spirito delle leggi, pubblicato nel 1748, è che può dirsi libero solo quell’ordinamento in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato.

Per prevenire tale abuso, occorrono contrappesi e controlli, occorre che “il potere arresti il potere”, cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a persone od organi differenti, in modo che ciascuno di essi possa impedire all’altro di esorbitare dai suoi limiti e degenerare in tirannia.

La riunione di questi poteri nelle stesse mani, siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perché annullerebbe quella “bilancia dei poteri” che costituisce l’unica salvaguardia o “garanzia” costituzionale in cui risiede la libertà effettiva.

Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”: è partendo da questa considerazione, che Montesquieu elabora la teoria della separazione dei poteri. Per evitare che si conculchi la libertà dei cittadini, il potere legislativo e quello esecutivo non possono mai essere accentrati in un’unica persona od organo costituzionale.

 

Tecnicamente, Renzi perciò ha restaurato lo stato assolutista pre-rivoluzione francese. Infatti con le sue riforme il premier domina il partito e ne forma le liste elettorali; domina la camera con un terzo circa dei suffragi; domina l’ordine del giorno dei lavori; domina il Senato; sceglie il capo dello Stato; nomina direttamente cinque membri del consiglio superiore della magistratura e cinque attraverso il capo dello Stato; nomina o sceglie i capi delle commissioni di garanzia e delle authorities; da ultimo, quasi dimenticavo, presiede il Consiglio dei Ministri. E gestisce molte altre cose. Si è fatto controllore di se stesso. Questo intendo dire quando affermo che è stato superato il principio della divisione dei poteri dello Stato.

 

In ciò, Renzi batte Mussolini, perché l’espansione dei poteri del Duce incontrava la limitazione data dalla presenza del re a capo dello Stato,  il quale non era scelto, ovviamente, dal Duce ed era al di sopra del suo raggio d’azione, tanto è vero che il Re lo fece arrestare nel 1943. Rispetto questo, Renzi è più simile a Hitler, perché anche in Germania non c’era la monarchia.

 

L’abolizione della separazione dei poteri dello Stato è un salto costituzionale tanto lungo e radicale quanto sarebbe il salto per passare alla legge islamica. Eppure, chi se ne accorge? Il popolo è scusato, dato che le stime ufficiali rilevano un 47% di analfabetismo funzionale e solo un 18% capace di capire testi un po’ complessi.

Ma dove sono i liberali, i democratici, i costituzionalisti, i filosofi, i politici, gli intellettuali, che fino a ieri si riempivano la bocca di antifascismo, costituzione, resistenza, garanzie?

E i magistrati che dimostravano con la Costituzione sotto il braccio togato?

Perché tacciono di fronte alla concentrazione dei poteri in un’unica persona, di fronte all’abolizione dei controlli e dei bilanciamenti?

Perché non insorgono come facevano in passato per molto, molto meno? Se non ora, quando, vostro Onore?

O sono cambiati gli ordini di scuderia?

 

Forse voi, maliziosi lettori, pensate che siano tutti diretti sul carro del vincitore, alla mensa del principe.

Ma che male ci sarebbe, a questo punto?

I poteri forti, la cosiddetta Europa del Bilderberg e di altri simili organismi, hanno capito che le inveterate caratteristiche sociologiche italiane non consentono il risanamento morale, la legalità e l’efficienza. Non provano nemmeno a metterci le mani. Sì sono convinti che per governare e spremere questo paese ci vuole invece proprio il suo autoctono, tradizionale regime buro-partitocratico, con i suoi poteri collegati. Attraverso Renzi e Berlusconi lo hanno perfezionato, stabilizzato, costituzionalizzato, ponendo tutto nelle mani del segretario del partito forte, controllore di se stesso.

Honni soit qui mal y pense. Adieu, Montesquieu. Vive le renzien régime!

 

Marco Della Luna

 

 

 

Fonte: Visto su Marco Della Luna del 29 gennaio 2015

Link: http://marcodellaluna.info/sito/2015/01/29/renzi-rottama-montesquieu/

 

 

CORTE CONTI ASSOLVE RENZI PERCHÉ ‘INCAPACE DI INTENDERE E DI VOLERE’

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SPASSOSA LA SENTENZA CHE ASSOLVE RENZI PER LE ASSUNZIONI ILLEGITTIME

 

Le motivazioni della sentenza della Corte dei Conti che assolse in appello Renzi, in primo grado condannato a pagare 14mila euro per le assunzioni illegittime quand’era presidente della Provincia di Firenze, sono peggio di una condanna.

 

Lo hanno assolto, spiegano i giudici, perché il “Collegio ritiene di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un ‘non addetto ai lavori’”.

 

In sintesi: è troppo scemo per capire di avere frodato i contribuenti.

 

Con Renzi, la legge non solo, ammette ‘ignoranza’, ma anche la stupidità.

 

Quando era presidente della Provincia di Firenze, l’incapace di ‘intendere e volere’ secondo la Corte, assunse nel suo staff ‘quattro persone esterne all’amministrazione come funzionari’.

 

Una qualifica, questa, che richiede la laurea, ma i quattro non la possedevano.

A dare il via alle indagini una denuncia anonima sull’assunzione di Marco Carrai, renzista convinto, all’epoca 29enne, assunto nella segreteria del presidente nonostante fosse privo del titolo necessario. Così per un quinquennio, i quattro avrebbero beneficiato di uno stipendio maggiorato. Una violazione che avrebbe prodotto un danno per l’amministrazione stimato in oltre 2 milioni di euro.

 

Inutile dire che, ora, il principio aperto con la ‘incapacità di intendere e di volere’ rischia di causare altre sentenze a cascata con assoluzione nei giudizi di responsabilità i politici di vertice i quali, essendo “non addetti ai lavori” non possono essere ritenuti responsabili degli atti da loro adottati.

 

Ladri perché non capiscono di esserlo.

 

 

Fonte: visto su VoxNews del 25 febbraio 2015

Link: http://voxnews.info/2015/02/25/corte-conti-assolve-renzi-perche-incapace-di-intendere-e-di-volere/

 

 

ECCO COME PUTIN TUTELA DEI LAVORATORI: RENZI, LA COSIDETTA SINISTRA ITALIANA LO FAREBBE MAI?!?

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Renzi, il PD e la sinistra italiana criticano Putin, viene definito un “dittatore”…

Ecco un aneddoto che fa invece capire come mai il popolo russo lo sostenga a spada tratta…

Putin tutela con fermezza i lavoratori russi, mentre Renzi e la sinistra italiana si sono solo preoccupati di rendere licenziabili quelli italiani…

Secondo voi Renzi farebbe mai qualcosa di simile a questo?

 

 

Vladimir Putin viene messo a conoscenza del fatto che migliaia di operai, che non ricevevano stipendio da mesi, stanno per essere licenziati e la loro fabbrica chiusa da quegli stessi dirigenti che ne avevano tratto profitti milionari.

 

Il Presidente russo saputo della cosa va ad occuparsi personalmente della faccenda: convoca immediatamente Padroni e Oligarchi responsabili dell’ondata di licenziamenti, che con la loro avidità ed incompetenza, stavano per mandare in mezzo ad una strada migliaia di famiglie e li affronta uno per uno, facendogli un cazziatone memorabile! Esigendo le loro dimissioni immediate e concludendo il discorso con la frase: “Il termine ultimo per il pagamento degli stipendi arretrati, È OGGI !”.

 

Nelle successive 4 ore vengono pagati 40 milioni di dollari di stipendi arretrati e gli unici licenziamenti sono quelli dei padroni.

 

 

RENZI BAMBINO, LO CHIAMAVANO “MAT-TEORIA”

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Giugno 2004: Matteo Renzi presidente della Provincia di Firenze

 

 

Firenze, 17 dicembre 2013 – Com’era Matteo Renzi da piccolo? Se mai vi siete posti questa domanda il settimanale “Oggi” ha raccolto alcune testimonianze che vi aiuteranno a farvi un’idea. A raccontare il piccolo Renzi Federica Morandi, compagna di banco delle elementari e oggi presidente del Consiglio comunale di Rignano, il suo ex capo scout, Roberto Cociancich, poi presidente nazionale dell’Agesci e oggi senatore del Pd, e monsignor Giovanni Sassolini, ex parroco di Rignano sull’Arno.

 

“Era il più sveglio già da bambino”, racconta Federica Morandi. “Matteo ha doti da leader. Lo vedremo crescere”, scriveva negli Anni ’90 Cociancich nella sua relazione sul giovane scout. “Era molto devoto. Fin da piccolo era abituato a coordinare i suoi coetanei: era lui che spiegava a tutti come e cosa dovevano fare. E se c’era lui, io ero tranquillo che tutto sarebbe stato a posto. Insomma, era già un piccolo manager”, racconta il parroco di allora di Rignano sull’Arno, dove Renzi è cresciuto con babbo Tiziano, mamma Laura e i tre fratelli.

 

A svelare i retroscena dell’infanzia di Renzi l’articolo pubblicato sul settimanale Oggi racconta un ragazzino così sveglio da saltare la prima elementare per finire direttamente in seconda, appassionato di calcio e chierichetto affidabile e stimato. Fin da ragazzino non amava perdere, tanto che quando scendeva sul campo di calcio capitava che si portasse via il pallone perché non gli andava bene come erano state fatte le squadre. Unico neo del brillante futuro segretario, il fatto che pare avesse più voglia di dirigere che di fare: i suoi compagni scout l’avevano soprannominato “MatTeoria” riferendosi alla spigliatezza di Renzi nell’organizzare e nel dare disposizioni, salvo poi scansare la faticosa messa in pratica.

 

Fonte: visto su LA NAZIONE del 17 dicembre 2013

Link: http://www.lanazione.it/firenze/politica/2013/12/17/998160-renzi-bambino-pd.shtml#4

 

 

 

MATTEO STORY: RENZI, IL CHIERICHETTO GIÀ LEADER, SOGNÒ DI AVERE I PIEDI DI BAGGIO

 

 

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Matteo Renzi, sindaco di Firenze (Infophoto)

 

 

Chi è Matteo Renzi, l’uomo del momento? Vi raccontiamo i suoi primi 37 anni, attraverso la testimonianza di compagni di scuola, amici, ex insegnanti e di chi lo conosce bene.

 

Firenze, 19 settembre 2012 – Nato per vincere. Sempre. “Se le partite non si mettevano per il verso giusto, addio. Si andava avanti finché la sua squadra non vinceva“, racconta l’ex compagno di giochi Riccardo.

 

Nel Renzi di ‘Adesso’ c’è la traccia incancellabile di un’infanzia da Renzino la peste, un bambino che “da grande voglio fare il giornalista“, sognando però di avere i piedi di Antognoni o Baggio. Il calcio, una monomania. Con tutti quegli Almanacchi zeppi di informazioni da mandare a memoria. E poi il tifo per la Fiorentina: cuore viola forever.

Ci ha anche provato, sulla via del pallone, ma non era cosa: dopo una lunga trafila in tutti i settori giovanili della Rignanese, ha deciso di fare l’arbitro. Da piccolo, giocava con gli amici sotto casa: alla pista (da pattinaggio) della chiesa.

 

“Quando nella conta per la scelta dei giocatori gli capitava di discutere o di non trovarsi d’accordo con qualcuno, lui, che quasi sempre portava il pallone, lo prendeva e si smetteva di giocare. Fine”. Paolo Nannoni descrive Matteo bambino, come vederlo: praticamente un riassunto del candidato senza paura alle primarie del centrosinistra per correre da premier.

Nannoni è il braccio destro di babbo Renzi, Tiziano, che, a dispetto del nome, è sempre stato democristiano: un gran signore della Dc, poi trasmigrato nel Pd (di cui ora è segretario di circolo), in un paese arcirosso della rossa Toscana, a 30 chilometri a Sud di Firenze, puntando verso Roma: Rignano sull’Arno.

 

Il paese della Renzi’s family conta 3.500 abitanti nel centro abitato, 8mila e tot su tutto il territorio comunale. Non è cresciuto in una metropoli il giovane Obama italiano. Sempre Nannoni, ai tempi di Renzino arbitro che non aveva ancora la patente, lo accompagnava alle partite e restava allo stadio per riportarlo a casa: “Gli arbitri rischiano di beccarsi parecchie offese alla mamma. Non mi pareva il caso”.

 

Siamo nel 1993, in Italia qualcosa si muove, anzi molto si è già mosso. Tra l’anno di Mani pulite e l’anno della più famosa discesa in campo della storia politica contemporanea: comincia l’era Berlusconi. Matteo Renzi ha diciott’anni, li ha compiuti l’11 gennaio: a giugno ha ottenuto la maturità al liceo classico Dante, a Firenze, in piazza della Vittoria. Un anno prima rispetto ai compagni. Perché Renzino la peste ha fatto tutto prima. “Ha imparato a leggere il giornale a cinque anni e lo leggeva a voce alta, per tutti – dice Nannoni -. Quando ha fatto la primina, e allora non era una moda, sapeva già leggere e scrivere e tenere di conto”.

 

A scuola, all’elementare De Amicis, era il pupillo della maestra Eda Caldini Buonamici: ora lei non c’è più, ma Matteo è stato il suo orgoglio. Lo ha sempre detto. “Prendeva voti altissimi, era bravo, il primo della classe“, racconta Riccardo. Ci tiene però a dire che Matteo non era un secchione. “Studiava il giusto, gli piaceva molto leggere, e sapeva già difendersi molto bene a parole: usava un linguaggio appropriato, forbito, insomma sapeva parlare. Una caratteristica che gli è rimasta. Ma a quel tempo soprattutto ci piaceva giocare e giocavamo a tutto. E lui voleva sempre e solo vincere“.

 

Già, vincere. “Giocavamo a calcio, anche in casa, con il pallone di gommapiuma. A casa di Tiziano, che aveva un corridoio lungo lungo – dice Riccardo -. Poi giocavamo a subbuteo, a tappini, facevamo interminabili tornei di ping pong, gare in bicicletta”.

 

Non solo la scuola, i giochi, il calcio e l’amore per la Fiorentina. Nell’infanzia di Renzino la peste c’è la parrocchia e la formazione da boy scout.

 

“Era un leader, un leader per natura“, racconta don Giovanni Sassolini, il parroco che ha preso per mano Renzino la peste. Serviva messa, Matteo. “Un bravo chierichetto“, dice don Giovanni che ora è vicario generale della Curia di Fiesole.

 

“Approfittavo della sua disponibilità anche perché abitava di fronte alla chiesa e a me non piaceva fare il don Camillo da solo, a portare la croce ai funerali”. Poi uno sketch da morire dal ridere: “Aveva dieci anni e il ciuffo, si divertiva a buttare i capelli indietro con la mano: nello spettacolo parrocchiale fece l’imitazione di Vittorio Sgarbi. Quanto ci siamo divertiti”.

 1. 

 

 

 

 

MATTEO STORY: RENZI STUDENTE ROTTAMAVA I PROFESSORI,

 

GLI AMICI SVELANO: “VOLEVA SEMPRE VINCERE”.

 

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Il sindaco di Firenze Matteo Renzi alla Festa Democratica a Firenze (Ansa)

 

 

di Ilaria Ulivelli 


 

Firenze, 20 settembre 2012  – Questa è bella. Ai tempi del liceo, a Matteo Renzi davano del comunista. Del cattocomunista, per la precisione. Chissà se qualcuno lo ha detto a quella parte del Pd che lo immagina un po’ un Berlusconi in salsa pop contemporanea. Studiava al classico Dante, a Firenze. Era uno dei migliori della classe, sezione A. Il testimone è Giuseppe Cancemi, professore di storia e filosofia: «Chi, quel fascistone?», ci scherzava su Renzi. Posizioni diverse, andava così. Era già un rottamatore (di professori) quando si è diplomato, nel ’93: Berlusconi si scaldava per scendere in campo e il Pci aveva già svoltato nel Pds. «Anche se io non votavo da tempo, e non si poteva dire che fossi fascista, Matteo mi era congeniale: contrastandomi con la sua forza dialettica, creava l’atmosfera migliore per fare bene il mio lavoro — racconta il prof —. Per parlare due o tre ore con trenta ragazzi di storia e filosofia, ci vuole animazione, e lui sì che sapeva farla». «Senza dubbio era già un leader — sentenzia il prof —. Un leader comunista, anzi, catto-comunista. Il maggiore esponente della lista della sinistra studentesca». La faccenda del leader è una costante della Renzi story. Lo hanno detto anche gli amici dell’infanzia e dei giochi: «Matteo era un capo e voleva vincere sempre, sennò portava via il pallone e tutti zitti». E questo, con la dialettica, checché ne dica il prof Cancemi, magari ha meno a che fare.

 

Dalla parrocchia ai lupetti tutti per uno il passo è stato men che breve per Renzino la peste, un passaggio quasi naturale: in casa, mamma Laura e babbo Tiziano, erano capi scout. La filosofia di vita era indicata. «Lui ha seguito con entusiasmo tutto il percorso da lupetto a capo: lo hanno iniziato i genitori che erano i capizona di Rignano — racconta il parroco don Giovanni Sassolini con cui Matteo ha fatto comunione e cresima, ora vicario generale della Curia di Fiesole —. Ci furono delle discussioni nel gruppo di Rignano, i genitori di Matteo finirono in minoranza e si spostarono di zona a Pontassieve. Lui era ancora un lupetto e li seguì. Conobbe a Pontassieve, tra gli scout, Agnese: ora è sua moglie».

 

Anche se altri biografi renziani raccontano che Agnese, Matteo l’avesse già conosciuta prima, sicuramente negli anni degli scout, del noviziato e del clan, il loro rapporto si è solidificato. «Onestà, lealtà, sincerità ed essenzialità», la filosofia scout insegna a vivere, spiega don Sassolini: «Ti puoi perdere ma ritroverai sempre la strada, perché c’è sempre una soluzione, basta cercarla». Mica poco. Tra l’altro, un Renzi poco più che ventenne, divenuto capo scout, proprio a una riunione dei capi del Valdarno, rottamò in pubblico le idee del babbo Tiziano. Due volte rottamatore prima del tempo, di prof e di babbo. «Ai tempi degli scout Matteo era una persona molto appassionata, faceva tutto con gioia, ma portava sempre spunti di riflessione utili a tutto il gruppo», racconta Matteo Spanò, presidente della Banca Credito Cooperativo di Pontassieve e presidente, designato dal sindaco e amico Matteo Renzi, del Museo dei Ragazzi di Firenze. «Aveva una grande capacità di mettersi in cammino», dice Spanò. Una caratteristica che ha portato con sé nell’età adulta.

 

Non potendo fare una carriera da calciatore al top, come le mezzale del suo cuore, abbandonata la scena da Renzino la peste e poi anche quella della pista da pattinaggio della chiesa, e infine la rosa under della Rignanese, scelse di fare l’arbitro. Un incubo per il babbo Tiziano. Che temeva per la sua incolumità fisica, insulti a parte. «Le regole erano il pallino di Matteo, le ha sempre fatte valere», racconta don Giovanni. Con Renzi, che quattro anni dopo mollò, cominciò anche il fischietto fiorentino Gianluca Rocchi, arbitro di serie A.

(ha collaborato Antonio Degl’Innocenti)

2.

 

 

 

MATTEO STORY: RENZI, LO SCOUT CHE STUDIAVA DA SINDACO. MA LA PRIMA VITTORIA FU IN TV CON MIKE.

 

CALCIATORE, ARBITRO, CAMPIONE DI QUIZ, LA TESI DI LAUREA SU LA PIRA.

 

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Benvenuti in casa Renzi: scene famigliari a Rignano (foto presa da Facebook)

 

 

Firenze, 21 settembre 2012 – Ci siamo quasi. Renzino la peste cresce. Se a undici anni aveva due convinzioni: scendere in campo da capitan Tsubassa (la serie manga giapponese Holly e Benji ha forgiato la generazione Ottanta) e da

grande fare il giornalista; a sedici, il giornalista lo fa sul serio; dopo qualche intervista sul foglio ‘dissidente’ La Linguaccia di Rignano sull’Arno, firmato dal padre Tiziano, dirige con la firma ‘Zac’ il mensile nazionale Camminiamo Insieme della comunità scout che alla fine di tutto il percorso lo eleggerà capo. Aveva imparato presto a rottamare: identica sorte era toccata al prof ‘fascista’ del liceo e al babbo capo scout con idee diverse dalle sue.

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Si sta avviando alla carriera politica. E le avvisaglie c’erano dal principio. “E’ un abile oratore che parla senza fermarsi mai”, dice di Matteino chierichetto il parroco don Sassolini. “L’arte della dialettica l’ha fatta sua da subito, declinandola nelle varie forme dell’argomentare”, racconta il prof di storia e filosofia ‘rottamato’ Cancemi.

“E’ nato leader”, conferma il pensiero di tanti e tanti, dai compagni di giochi a quelli di scuola, Paolo Nannoni, politico e amico di famiglia.

Leggeva il giornale a cinque anni, comandava col pallone, non teneva mai ferma la lingua. Ma Matteo Renzi è stato anche un bambino come tutti, goloso del gelato (il duetto: vaniglia e cioccolato tra due biscotti) con un debole per la pizza: l’avrebbe mangiata a colazione, pranzo e cena. A merenda, non ci stava male un occhio di bue alla marmellata d’albicocche dal Feroci, il bar in piazza, a Rignano.

Decide di fare l’arbitro così, di punto in bianco: aveva sedici anni. Per la disperazione del babbo: “Temevo a ogni partita per la sua incolumità”. I campi di calcio tra i giovanissimi possono essere teatro di assurde guerre. “L’ho tenuto a

battesimo, se non avesse smesso avrebbe fatto una carriera importante, aveva grande personalità“, dice Alberto Lazzerini, al tempo responsabile tecnico degli arbitri di Firenze. Due episodi sono rimasti nella sua mente marchiati a fuoco.

Lazzerini, anche sindacalista Uil, conosceva bene lo zio di Matteo, Mario Renzi. “Perché sei venuto da solo alla selezione? Perché non ti sei fatto presentare? ‘Non ne vedevo la necessità’. Mi bruciò con la sua risposta”, racconta. E poi, la sua capacità di zittire tutti: “Con un coraggio ammirevole, convalidò un gol alla Cattolica Virtus mentre gli avversari protestavano per un fuorigioco inesistente. La contestazione fu pesantissima: spedì fuori quattro calciatori col
cartellino rosso“.

A quel tempo Matteo è già all’università. Lascia l’arbitraggio. Folgorato dalla politica. Senza disdegnare la tv. Nel 1994, per cinque puntate consecutive, partecipa alla Ruota della fortuna del grande Mike Bongiorno, vincendo 48 milioni di lire.

La Pira, il sindaco santo di Firenze, è il suo faro.

Si laurea nel 1999 in giurisprudenza, con la tesi, manco a dirlo, ‘Amministrazione e cultura politica: Giorgio La Pira Sindaco del Comune di Firenze 1951-1956’ con relatore il prof Bernardo Sordi. Voto, ahi, 109. Per un punto Martin perse la cappa e Renzi la lode. Il ricercatore Giulio Conticelli, docente di storia del diritto italiano, presidente della commissione ministeriale delle opere di La Pira, gli consigliò il lavoro da fare e lo seguì lungo il percorso. “E’ stupefacente e singolare, credo che sia il primo caso di sindaco che da studente è stato a scartabellare nell’archivio storico del palazzo che poi è andato a governare“, dice Conticelli.

“Non c’erano in ballo le ideologie politiche, c’era da studiare cinque anni di delibere di un sindaco decisionista che faceva quasi tutto in giunta, portava in consiglio comunale pochi e grandi temi. Cinque anni di delibere per capire l’efficacia e l’efficienza dell’azione di governo ispirata dagli ideali costituzionali”.

E qui si chiude la carriera misconosciuta di Matteo Renzi, l’uomo del momento, anzi di Adesso. Tutto il resto è cronaca.

3 – fine

 

di Ilaria Ulivelli

 

 

Fonte: srs di Ilaria Ulivelli, visto su LA NAZIONE del 17 dicembre, 19-20-21 settemrbe 2012,

 

PRIMO DI MARZO, È ARRIVATO IL CAPODANNO VENETO

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CAO ANNO

CAO DE L’ANO VENETO

 

 

di ETTORE BEGGIATO

 

Il primo marzo è sempre stato considerato nella storia della Repubblica Veneta il capodanno veneto;  nei documenti e nei libri di storia si trovano le date relative ai mesi di gennaio e febbraio seguite da “more veneto” per sottolineare questa peculiarità veneta: incominciando l’anno veneto il primo di marzo, gennaio e febbraio erano gli ultimi mesi dell’anno passato (si veda, come esempio, la data del comunicato).

 

Il capodanno veneto originariamente era stato fissato al 25 marzo, giorno della fondazione di Venezia (421),  per i credenti giorno dell’annunciazione del Signore,  e, secondo una leggenda greca, giorno della creazione del mondo; in un secondo tempo fu anticipato al primo marzo per comodità di calcolo. Emblematico quanto successe il 9 marzo 1510 nel luogo ove adesso sorge il Santuario della Madonna dei Miracoli a Motta di Livenza (Tv), la Madonna apparve a un contadino del posto e gli disse “Bon dì e bon ano!”

 

Per la verità nelle tradizioni delle nostre comunità un ricordo del capodanno veneto ha continuato, magari inconsciamente, ad essere presente: pensiamo al “bati marso”, al “brusar marso”, ai botti prodotti spontaneamente con il carburo… Un altro tassello della nostra storia e della nostra identità che va valorizzato, anche per onorare il Serenissimo Bepin Segato che più di ogni altro si era impegnato per riproporre questa festa.

 

Recentemente  è stato festeggiato in diverse città venete  il capodanno cinese (è l’anno del Cavallo); l’ 11 febbraio gli amici tibetani hanno festeggiato il loro capodanno (Losar) e per tutti noi è stato un momento per ribadire la nostra solidarietà alla  nazione del Tibet  vergognosamente calpestata dalla Cina;  non parliamo poi delle ricorrenze e delle celebrazioni  di altri popoli, di altre religioni  (si pensi solo al Ramadan): e allora un bel “Viva San Marco”  per ricordare e festeggiare l’arrivo del nuovo anno veneto.

 

 

Fonte: visto su Miglioverde.

Link: http://www.miglioverde.eu

 

 

 

BUON CAPODANNO….VENETO!

 

calendario-culturale-del-millennio.481

 

 

Domani, domenica 1° Marzo, secondo il calendario in uso nella Repubblica di Venezia, comincia il nuovo anno.

Per il calendario vigente nell’Impero Romano, e nella Serenissima, fino al 1582, il 1° Gennaio non corrispondeva al primo giorno dell’anno: questo era sì suddiviso in 12 mesi, ma il primo e l’ultimo corrispondevano a Marzo e Febbraio rispettivamente.

Il capodanno inizia il 1° Marzo come nell’uso indoeuropeo, di cui ci resta testimonianza nei nomi dei mesi di Settembre (settimo mese a partire da Marzo ), Ottobre (ottavo mese a partire da Marzo), Novembre (nono mese dell’anno) e Dicembre (decimo mese), seguiti dai mesi di rinnovamento e morte (Gennaio e Febbraio).

Però, i veneziani, a cui non passava nemmeno per il capo di abbondonare le proprie tradizioni, trascrissero negli atti ufficiali sia la vecchia che la nuova datazione.

Per esempio, se con il calendario gregoriano fossimo il:

28 Febbraio del 2015

ecco che in quello giuliano (quello in cui Venezia si è riconosciuto per secoli) l’indicazione corretta sarebbe il:

28 Febbraio del 2014 “More Veneto” (ovverosia, secondo uso veneto) poichè per i veneti il nuovo anno comincia solo domani

 

Insomma: tiriamo fuori lo spumante questa sera!

CESSIONE DEL VENETO ALL’ITALIA. ECCO COSA OTTENNERO I FRANCESI NEL 1866 DALL’ITALIA IN CAMBIO DEL VENETO

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GIAMPAOLO BORSETTO

 

 

Il professor Giampaolo Borsetto, studioso e storico della Serenissima, è giunto alla conclusione che nel 1866 Parigi cedette il Veneto all’Italia senza consultare le popolazioni in cambio di una promessa di Roma:

L’ITALIA NON AVREBBE MAI CHIESTO ALLA FRANCIA LA RESTITUZIONE DI QUANTO NAPOLEONE AVEVA RUBATO A VENEZIA.

 

Perché?

Semplice:

SI TRATTAVA DI UN BOTTINO COLOSSALE!

 

GLI STATI UNITI SONO STATI IN GUERRA 222 ANNI SU 239 CHE ESISTONO COME STATO

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bandiera-americana

 

 

di Gianfrasket

 

Siamo un popolo di guerra. Noi amiamo la guerra perché siamo molto bravi a farla. In realtà, è l’unica cosa che possiamo fare in questo cazzo di paese: la guerra.

Abbiamo avuto un sacco di tempo per fare pratica e anche perché è sicuro che non siamo in grado di costruire una lavatrice o una macchina che vale un coniglio da compagnia; per contro, se avete un sacco di abbronzati nel vostro paese, dite loro di stare attenti perché noi verremo a sbattere una bomba sul loro viso… ”

 

(George Carlin)

 

 

Gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, dalla loro creazione nel 1776, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza

 

Gli anni di pace sono stati solo 21 dal 1776

 

Qui sotto è riportata una cronologia anno per anno delle guerre degli Stati Uniti, che rivela qualcosa di molto interessante: dal 1776 gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza

 

Gli anni di pace sono stati solo 21.

 

Per mettere questo in prospettiva:

 

* Nessun presidente degli Stati Uniti è mai stato un Presidente di pace. Tutti i presidenti degli USA che si sono succeduti sono stati tutti, in un modo o nell’altro, coinvolti almeno in una guerra.

 

* Gli Stati Uniti non hanno mai passato un intero decennio, senza fare una guerra.

 

* L’unica volta che gli Stati Uniti sono rimasti 5 anni senza guerra (1935-1940) è stato durante il periodo isolazionista della Grande Depressione.

 

 

Ecco la cronologia delle guerre in cui gli Stati Uniti sono stati coinvolti (1776-2015)

 

 

1776 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamagua Guerre, Seconda Guerra Cherokee, Pennamite

 

1777 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre, Seconda Guerra Cherokee, Pennamite

 

1778 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1779 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1780 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1781 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1782 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1783 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1784 – Chickamauga Guerra Guerre Pennamite, Guerra Oconee

 

1785 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1786 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1787 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1788 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1789 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1790 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1791 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1792 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1793 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1794 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1795 – Guerra indiana del Nord-Ovest

 

1796 – 1800 – Nessuna guerra

 

1801 – Prima guerra Barbary

 

1802 – Prima guerra Barbary

 

1803 – Prima guerra Barbary

 

1804 – Prima guerra Barbary

 

1805 – Prima guerra Barbary

 

1806 – Sabine Expedition

 

1807 – 1809 – Nessuna guerra

 

1810 – Stati Uniti occupano West Florida spagnola

 

1811 – La guerra di Tecumseh

 

1812 – La guerra di Tecumseh, Guerre Seminole, gli Stati Uniti occupano East Florida spagnola

 

1813 – La guerra di Tecumseh, Guerra Peoria, Creek War, gli Stati Uniti espandono territorio nel West Florida spagnola

 

1814 – Creek War, US espansione territorio in Florida, la guerra anti-pirateria

 

1815 – Guerra del 1812, seconda guerra Barbaresca, guerra anti-pirateria

 

1816 – Prima guerra Seminole, la guerra anti-pirateria

 

1817 – Prima guerra Seminole, la guerra anti-pirateria

 

1818 – Prima guerra Seminole, la guerra anti-pirateria

 

1819 – Yellowstone Expedition, la guerra anti-pirateria

 

1820 – Yellowstone Expedition, la guerra anti-pirateria

 

1821 – la guerra anti-pirateria

 

1822 – la guerra anti-pirateria

 

1823 – la guerra anti-pirateria, Guerra Arikara

 

1824 – la guerra anti-pirateria

 

1825 – Yellowstone Expedition, la guerra anti-pirateria

 

1826 – Nessuna guerra

 

1827 – Guerra Winnebago

 

1828 – 1830 – Nessuna guerra

 

1831 – Sac e Fox guerra indiana

 

1832 – Guerra di Falco Nero

 

1833 – Guerra indiana Cherokee

 

1834 – Guerra indiana Cherokee, Pawnee Campagna territorio indiano

 

1835 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Seconda Guerra Creek

 

1836 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Seconda Guerra Creek, Missouri-Iowa Border guerra

 

1837 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Seconda Guerra Creek, Osage Guerra indiana, Guerra Buckshot

 

1838 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Guerra Buckshot, Heatherly Guerra indiana

 

1839 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole

 

1840 – Guerre Seminole, Forze Navali USA invadono Isole Figi

 

1841 – Guerre Seminole, Forze Navali USA invadono McKean Island, Isole Gilbert, e Samoa

 

1842 – Guerre Seminole

 

1843 – Le forze americane si scontrano con la Cina, le truppe statunitensi invadono costa africana

 

1844 – Guerre indiane Texas-

 

1845 – Guerre indiane Texas-

 

1846 – Guerra messicano-statunitense, guerre Texas-indiane

 

1847 – Guerra messicano-statunitense, guerre Texas-indiane

 

1848 – Guerra messicano-statunitense, guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse

 

1849 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, indiano Guerre Southwest, Guerre Navajo

 

1850 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerra Yuma,

 

1851 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerre Apache, Guerra Yuma, indiano Guerre Utah, California Guerre indiane

 

1852 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerra Yuma, indiano Guerre Utah, California Guerre indiane

 

1853 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerra Yuma, indiano Guerre Utah, Guerra Walker, indiano Guerre California

 

1854 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Skirmish entre 1 ° Cavalleria e indiani

 

1855 – Seminole Guerre, guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane, Guerra Yakima, Winnas Expedition Guerra Klickitat, Puget War Sound, Rogue River guerre, le forze americane invadono Isole Figi e Uruguay

 

1856 – Guerre Seminole, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo,

 

1857 – Guerre Seminole, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerra Utah, Conflitto in Nicaragua

 

1858 – Guerre Seminole, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerra Mohave, California guerre indiane, Spokane-Coeur d’Alene Guerra-Paloos, Guerra Utah, le forze americane invadono Isole Fiji e Uruguay

 

Guerre 1859 Texas-indiani, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, California guerre indiane, Pecos Expedition Antelope Hills Expedition, Bear River Expedition, incursione di John Brown, le forze americane lanciano attacchi contro il Paraguay e invadono Messico

 

1860 – Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California indiana Guerre Guerra Paiute, Kiowa-Comanche guerra

 

1861 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane, Campagna Cheyenne

 

1862 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Campagna Cheyenne, Guerra Dakota del 1862

 

1863 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Campagna Cheyenne, Colorado Guerra, Guerra Goshute

 

1864 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Campagna Cheyenne, Colorado Guerra, Guerra Snake

 

1865 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane, Guerra Colorado, Guerra Snake, Black War Hawk Utah

 

1866 – Guerre Texas-indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Skirmish entre 1 ° Cavalleria e indiani, Guerra Snake, Guerra Black Hawk di Utah, Guerra di Nuvola Rossa, Franklin County War, ci invade Messico conflitto con la Cina

 

1867 – Texas-Guerre Indiane, lunga passeggiata dei Navajo, Apache Guerra Skirmish , Guerra Snake, guerra Black Hawk di Utah, guerra di Nuvola Rossa, guerra Comanche , Franklin County War, le truppe statunitensi occupano il Nicaragua e attaccano Taiwan

 

1868 – Texas-Guerre Indiane, Long Walk dei Navajo, Apache Guerra Skirmish, Guerra Snake, guerra Black Hawk di Utah, guerra di Nuvola Rossa, guerra Comanche, Battaglia del Washita, Franklin County War

 

1869 – Guerre Texas-indiane, Guerre Apache, guerra Black Hawk di Utah, guerra Comanche , Franklin County War

 

1870 – Guerre Texas-indiane, Guerre Apache, guerra Black Hawk di Utah, Comanche Guerre, Franklin County War

 

1871 – Guerre Texas-indiane, Guerre Apache, guerra Black Hawk di Utah, Comanche Guerre, Franklin County War, Kingsley Cave strage, le forze americane invadono la Corea

 

1872 – Guerre Texas-indiane, Apache Wars, La guerra di Utah Black Hawk, Comanche Guerre Guerra Modoc, Franklin County War

 

1873 – Guerre Texas-indiane, Comanche Guerre Guerra Modoc, Guerre Apache, Cypress Hills Massacre, guerra col Messico

 

1874 – Guerre Texas-indiane, Guerre Guerra Comanche Red River, Mason County Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1875 – Conflitto in Messico, Guerre Texas-indiane, Comanche Guerre, Nevada orientale, Mason County War, Colfax County War, le forze americane invadono Messico

 

1876 – Guerre indiane, Texas-nero Guerra Hills, Mason County Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1877 – Guerre Texas-indiane, Nero Guerra Hills, Nez Perce Guerra, Guerra Mason County, Lincoln County War, San Elizario Salt guerra, le forze americane invadono Messico

 

1878 – Paiute conflitto indiano, Guerra Bannock, Guerra Cheyenne, Lincoln County War, le forze americane invadono Messico

 

1879 – Guerra Cheyenne, Sheepeater Guerra indiana, Bianco Guerra Fiume, le forze americane invadono Messico

 

1880 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1881 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1882 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1883 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1884 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1885 – Guerre Apache, Orientale Nevada Expedition, Forze invadono Messico

 

1886 – Guerre Apache, Pleasant Valley Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1887 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1888 – US dimostrazione di forza contro Haiti, Forze invadono Messico

 

1889 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1890 – Sioux Guerra indiana, Ghost Dance Guerra, Wounded Knee, Forze invadono Messico

 

1891 – Sioux Guerra indiana, Ghost Dance Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1892 – Johnson County War, le forze americane invadono Messico

 

1893 – Stati Uniti invadono Messico e Hawaii

 

1894 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1895 – Le forze americane invadono Messico

 

1896 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1897 – Nessuna guerra

 

1898 – Guerra ispano-americana, Battaglia di Leech Lake Chippewa

 

1899 – Guerra filippino-americana, guerra delle banane

 

1900 – Guerra filippino-americana

 

1901 – Guerra filippino-americana

 

1902 – 1912 – Guerra filippino-americana, guerra delle banane

 

1913 – Guerra filippino-americana, guerra della banane, guerra Navajo

 

1914 – Guerra delle banane, Stati Uniti invadono Messico

 

1915 – Guerra delle banane, invasione del Messico Messico, guerra Paiute

 

1916 – Guerra delle banane, Stati Uniti invadno Messico

 

1917 – Guerre delle banane, prima guerra mondiale

 

1918 – Guerre della banana, la prima guerra mondiale

 

1919 – Guerra delle banane, Stati Uniti invadono il Messico

 

1920 – 1934 – Guerre delle banane

 

1935 – 1940 – Nessuna guerra

 

1941 – 1945 – Seconda guerra mondiale

 

1946 – USA occupano Filippine e Corea del Sud

 

1947 – le forze di terra americana in Grecia nella guerra civile

 

1948 – 1949 – Nessuna guerra

 

1950 – 1953 – Guerra di Corea

 

1954 – Guerra in Guatemala

 

1955 – 1958 – guerra del Vietnam

 

1959 – guerra del Vietnam: Conflitto in Haiti

 

1960 – guerra del Vietnam

 

1961 – 1964 – guerra del Vietnam

 

1965 – Guerra del Vietnam, occupazione americana della Repubblica Dominicana

 

1966 – Guerra del Vietnam, l’occupazione americana della Repubblica Dominicana

 

1967 – 1975 guerra del Vietnam

 

1976 – 1978 – nessuna guerra

 

1979 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan)

 

1980 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan)

 

1981 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), primo incidente del Golfo della Sirte

 

1982 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), Conflitto in Libano

 

1983 – Guerra Fredda (invasione di Grenada, guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), Conflitto in Libano

 

1984 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), Conflitto in Golfo Persico

 

1985 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua)

 

1986 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua)

 

1987 – Conflitto in Golfo Persico

 

1988 – Conflitto in Golfo Persico, l’occupazione americana di Panama

 

1989 – Seconda Golfo della Sirte incidente, l’occupazione americana di Panama conflitto nelle Filippine

 

1990 – Prima guerra del Golfo, occupazione americana di Panama

 

1991 – Prima guerra del Golfo

 

1992 – Conflitto in Iraq

 

1993 – Conflitto in Iraq

 

1994 – Conflitto in Iraq, Stati Uniti invadono Haiti

 

1995 – Conflitto in Iraq, Haiti, bombardamenti NATO della Bosnia-Erzegovina

 

1996 – Conflitto in Iraq

 

1997 – Nessuna guerra

 

1998 – Bombardamento di Iraq, Afghanistan e missili contro il Sudan

 

1999 – Guerra del Kosovo

 

2000 – nessuna guerra

 

2001 – Guerra in Afghanistan

 

2002 – Guerra in Afghanistan e Yemen

 

2003 – Guerra in Afghanistan e in Iraq

 

2004 – 2006 – Guerra in Afghanistan, Iraq, Pakistan e Yemen

 

2007 – Guerra in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Somalia e Yemen

 

2008 – 2010 – Guerra in Afghanistan, Iraq, Pakistan e Yemen

 

2011 – Guerra al Terrore in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Somalia e Yemen; Conflitto in Libia (libica guerra civile)

 

2011 – 2015 – Guerra in Afghanistan, Iraq. Guerra civile in Ucraina e Siria

 

 

Nella maggior parte di queste guerre, gli Stati Uniti erano all’offensiva, in alcune sulla difensiva ma abbiamo tralasciato tutte le operazioni segrete della CIA con rivolte, ribaltamento di regimi e altri atti che potrebbero essere considerati atti di guerra.

 

Il 95% delle operazioni militari lanciate dalla fine della seconda guerra mondiale, sono state degli Stati Uniti, la cui spesa militare è maggiore di quella di tutte le altre nazioni del mondo messe insieme. Nessuna meraviglia quindi che il mondo pensi che gli Stati Uniti sono la prima minaccia del mondo per la pace.

 

Eppure ci sono ancora alcuni nord americani (più di quello che sembra) che fanno ancora la domanda:Perché tutte queste persone nel mondo ci odiano?”

E la risposta della propaganda USA è sempre, invariabilmente, la stessa “…perché sono gelosi di noi, della nostra libertà, della nostra grandezza. Gelosi della nostra cultura…”

 

Ecco, soprattutto della loro cultura e del loro squisito modo di rapportarsi col prossimo.

 

 

 

Fonte: visto su INFORMARE, i Il Blog di Gianni Fraschetti del 26 febbraio 2015

Link: http://informare.over-blog.it/2015/02/gli-stati-uniti-sono-stati-in-guerra-222-anni-su-239-che-esistono-come-stato.html

 


LA “STAMPA”, UNO DEI MOTIVI PER CUI L’ITALIA È IRRIFORMABILE

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di GIANLUIGI LOMBARDI CERRI

 

Sembra che debba attribuirsi a G.B.Shaw l’episodio in cui essendo per l’ingresso ad una cena di gala  privata richiesto il biglietto di invito il celebre scrittore, ha tentato di sostituire il richiesto con una parola pomposamente pronunciata: “Stampa!” E questo la dice lunga sul carattere di molti giornalisti, ma l’atteggiamento ironizzato non raggiunge mai i livelli italioti.

 

Infatti ai “ vizietti” tipo quello ironizzato da G.B.Shaw si aggiungano vizi ben più importanti, il primo dei quali è quello dell’appartenenza ad uno schieramento politico scrivendo quasi esclusivamente in funzione di una ideologia. Non è un mistero che, specie in certi settori specializzati della pubblicistica o sei “…figlio di un padre potente” o sei “ ….appartenente alla sinistra”, diversamente ti scordi di lavorare. Questo fa sì che tutte le notizie provenienti dalle agenzie di stampa vengono politicamente interpretate.

 

A tutti, ad esempio, era ed è nota la pochezza di Renzi, ma gran parte della stampa lo ha salutato come novello salvatore della patria. Messi davanti ai risultati di tale scarsità hanno invocato: “… ma bisogna lasciargli il tempo necessario ad esprimersi…”. Sino a pochi giorni fa regnava  un silenzio assordante, mentre ora sta ritornando sugli altari avendo ricevuto la maggioranza del 50% dei votanti (si cerca sempre di farlo dimenticare). Oltre ai commenti chiaramente di parte, è raro vedere commenti su sul chi come e perchè è stato preso un certo provvedimento o varata una certa Legge. Sappiamo chi fa difficoltà serie al varo di una certa Legge o ha bocciato un certo provvedimento che i cittadini si sarebbero aspettati. Esempio eclatante: Chi e perchè è contrario all’abolizione del Senato?

 

Chi ( persona fisica) e perchè è contrario alla organizzazione (non alla riorganizzazione perchè quello che c’è ora non ha niente di organizzato) della sanità meridionale, adottando , gli standard della Lombardia? La vera spiegazione non si sa se non sottobanco, attraverso mormorii. E neppure viene spiegato “ al popolo” perchè esistono certe Leggi assurde, come quelle che prevedono l’iter tortuoso e inutile del rinnovo patenti. Per qualunque provvedimento in un mondo civile vengono preliminarmente illustrati obbiettivi e costi. Nel caso di cui sopra quanto è costata l’attuazione e, sopratutto, quanti feriti e morti sono stati risparmiati ?

 

Poichè se non si è in grado di valutare obbiettivamente i risultati un qualsiasi provvedimento ha solo un esito certissimo: l’aumento del costo. Cito un caso significativo della disinformazione politica . In valle Camonica ed in Valtellina ( parlo di queste valli perchè sono in grado di verificare direttamente) c’ un’assistenza ospedaliera di prim’ordine ( badate che non ho nessun parente medico o paramedico!), anche dal punto di vista umanitario. Chiunque voglia accertarsene basta che interpelli un campione piccolo, ma casuale di cittadini.

 

Report ha fatto, non molto tempo fa, un sondaggio (si fa per dire) dal quale si aveva la sensazione che si fosse davanti ad un sistema ospedaliero da terzo mondo. Nessuno, dico nessuno ha registrato e pubblicato l’indignazione dei cittadini per una simile considerazione. Questo è il giornalismo d’assalto. Nessuno nega che vi sia, specie tra chi è interessato alla poltrona, qualche dissenso, anche aspro, ma da un caso farne una Legge ci sembra che sulla verità sia prevalsa la politica in maniera schiacciante.

Un’altra grave e voluta carenza è quella di non fornire ai cittadini lo stato di avanzamento di un certo provvedimento governativo. Viene battuta abbondantemente la grancassa per una IDEA di Legge che ha il governo. Viene battuta un po’ meno quando la Legge è approvata, ma nessuno dice, dopo un po’ di tempo , che fine ha fatto. Per cui le balle rimangono tali!

 

Insomma, mentre nei paesi civili la stampa fa paura ai potenti in Italia la stampa fa tanta paura ai deboli, NEMICI dei potenti.

 

In compenso, e finisco, si sa tutto sino nei minimi dettagli, chi va a letto e con chi, specie se si tratta di un nemico politico, mentre gli amici sono persone in attesa di beatificazione.

 

Ricordo solo che il primo che ha fatto salire la propria amante sino al posto di Presidente della Camera è stato Togliatti.

Ma questo non si deve ricordare perchè “viola la privacy”.

 

 

 

 

Fonte: visto su L’Indipendenza del 2 giugno 2014

Link: http://www.lindipendenzanuova.com/la-stampa-uno-dei-motivi-per-cui-litalia-e-irriformabile/

 

 

 

NON C’È ALCUNA CORRELAZIONE TRA USO DEL CONTANTE ED EVASIONE FISCALE

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Lo abbiamo detto, ridetto, scritto, riscritto, ripetuto, ribadito in mille modi. Finalmente, qualcuno lo ha capito!

 

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di REDAZIONE

 

Riportiamo la notizia così come l’ha lanciata l’agenzia di stampa AGI:

«Nonostante l’Italia abbia il limite all’utilizzo del contante più basso d’Europa, l’evasione fiscale non sembra averne risentito; anzi, c’è pochissima correlazione tra la soglia limite all’uso di cartamoneta imposta per legge e il rapporto tra la base imponibile Iva non dichiarata e il Pil, vale a dire l’evasione fiscale».

E’ quanto emerge da un’analisi elaborata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre.

 

“Tra il 2000 e il 2012 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), a fronte di una soglia limite all’uso del denaro che è rimasta pressoché stabile fino al giugno 2008, l’evasione ha registrato un andamento altalenante fino al 2006 per poi scivolare progressivamente fino al 2010″, si legge nella nota della Cgia, “se tra il 2010 e l’anno successivo l’”asticella” del limite al contante si è ulteriormente abbassata (passando da 5.000 e 1.000 euro), l’evasione, invece, è salita fino a sfiorare il 16 per cento del Pil, per poi ridiscendere nel 2012 sotto quota 14 per cento”.

“Alla luce di questa comparazione”, prosegue la Cgia, “possiamo affermare che non c’e’ una stretta correlazione tra l’uso della carta moneta e l’evasione fiscale; anzi, il minor utilizzo del contante può diminuire le possibilità di riciclaggio di denaro proveniente da attività illegali che, come sappiamo, non venivano però incluse nelle statistiche ufficiali riferiti all’evasione fiscale”.

Tra i principali membri dell’Unione europea, ben 11 Paesi non prevedono alcun limite all’uso del contante.

La Francia e il Belgio hanno una soglia di spesa con la cartamoneta di 3.000 euro, la Spagna di 2.500 euro e la Grecia di 1.500 euro.

 

L’Italia e il Portogallo, invece, manifestano la situazione più restrittiva: la soglia massima oltre il quale non si puo’ piu’ usare il contante e’ pari a 1.000 euro.

 

“Il diffusissimo uso del contante è correlato al fatto che in Italia ci sono quasi 15 milioni di unbanked”, dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia, “ovvero di persone che non hanno un conto corrente presso una banca. Un record non riscontrabile in nessun altro paese d’Europa. Non avendo nessun rapporto con gli istituti di credito, milioni di italiani non utilizzano alcuna forma di pagamento tracciabile, come la carta di credito, il bancomat o il libretto degli assegni.

Questa specificità tutta italiana va ricercata nelle ragioni storiche e culturali ancora molto diffuse in alcune aree e fasce sociali del nostro Paese”. “Non possiamo disconoscere”, conclude Bortolussi, “che molte persone di una certa età e con un livello di scolarizzazione molto basso preferiscono ancora adesso tenere i soldi in casa, anziche’ affidarli ad una banca.

 

Del resto, i vantaggi economici non sono indifferenti, visto che i costi per la tenuta di un conto corrente sono in Italia i più elevati d’Europa.” Cresce intanto l’ammontare di banconote in circolazione nel nostro Paese. Nel 2014, ricorda la Cgia, la massa monetaria complessiva ha sfiorato i 164,5 miliardi di euro. Negli ultimi 7 anni di crisi, fa sapere la Cgia, l’incremento percentuale e’ stato del 30,4 per cento, a fronte di una variazione dell’incidenza delle banconote sul Pil del +2,4 per cento e di un aumento dell’inflazione che ha sfiorato il 10 per cento».

 

Lo abbiamo detto, ridetto, scritto, riscritto, ripetuto, ribadito in mille modi. Finalmente, qualcuno lo ha capito!

 

 

FONTE_ DA MIGLIO VERDE DEL 1 marzo 2015

Link: http://www.miglioverde.eu/non-ce-alcuna-correlazione-tra-uso-del-contante-ed-evasione-fiscale/

 

LA VERA STORIA DELLA FINE DI CRAXI E L’EURO-ROVINA DELL’ITALIA

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Bettino Craxi

 

 

L’Italia si radicalizza, nel dopoguerra, intorno a due poli: un polo cristiano e un polo di sinistra, che si scinde in più realtà. E poi ha delle forze storiche – liberali, repubblicani – che provengono dalla storia risorgimentale. In questo quadro l’Italia resiste finché non crolla il Muro di Berlino.

Fino ad allora, gli americani finanziano la Dc, i russi finanziano il Pci, gli altri si procurano da vivere un po’ come possono. E il sistema politico va avanti, in una specie di benessere garantito dai finanziamenti esteri su cui si modellano i due grossi partiti, mentre gli altri partiti hanno campo libero nel finanziamento illecito, cioè nel finanziamento che ipocritamente veniva considerato illecito, cioè sottobanco.

Cosa succede nel 1989? Crolla il Muro. E nel momento in cui vengono meno i due blocchi e gli americani non hanno più paura dei russi, pensate che diano ancora soldi alla Dc? I russi a loro volta non esistono più, ma le strutture dei partiti rimangono uguali: dipendenti da mantenere, sedi, palazzi, giornali, volantini da distribuire. Dove prenderli, i soldi? In più, finché c’era solo una emittente televisiva il costo della politica era di un certo importo; una volta nata la Tv commerciale, che gli spot se li fa pagare, e non c’è più solo la “Tribunale elettorale” di Jader Jacobelli, il costo aumenta ancora.

 

Tutto questo costo dove viene trasferito? Nel finanziamento illecito. Che invece di essere un fenomeno sopportabile perché residuale al grosso del finanziamento della politica, diventa un dramma, perché tutto costa il triplo.

E come reagisce il sistema  italiano a tutto questo? Non reagendo. Cioè, invece di capire che deve correre ai ripari, si fa cogliere di sorpresa. Da che cosa? Da una casta, che era stata toccata nei suoi interessi, e reagiva: era la casta dei magistrati.

Dopo il caso Tortora, e dopo aver cercato più volte di prendere il sopravvento sulla politica – ma non ci riusciva, perché allora c’erano delle garanzie come l’immunità parlamentare, dei limiti al suo potere – i magistrati sferrano l’attacco di Tangentopoli avendo diversi obiettivi. Il primo, la reazione di casta al referendum che Craxi gli aveva fatto, sulla responsabilità dei magistrati – referendum vinto ma non eseguito, perché in quel referendum si aboliva il fatto che i magistrati non rispondessero nei loro errori. E i magistrati allora hanno preteso, tramite i due maggiori partiti e mettendo in minoranza Craxi, che invece, pur riconosciuti responsabili dei loro errori, non li pagassero – né sul piano della carriera, né sul piano economico.

 

L’attacco sferrato con Tangentopoli aveva un primo obiettivo: far cadere l’immunità parlamentare, che aveva sempre frenato l’attacco della magistratura. Bisognava poterli arrestare, i politici. Bisognava poter adoperare la carcerazione preventiva, in quella maniera, per poi stabilire il predominio, l’abuso. La carcerazione preventiva (obbligatoria per reati come omicidio e rapina) è prevista se c’è pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Viceversa, la carcerazione preventiva non si può applicare, perché “nulla pena sine condanna”, niente pena senza prima una condanna, non del pubblico ministero ma del giudice.

Pensate che nel 1994 la Cassazione, per salvare tre mandati di cattura assolutamente illegittimi di Di Pietro, fece una sentenza di questo tipo, a sezioni unite: la custodia cautelare è sempre giustificata se l’imputato non confessa. 

E’ come il famoso comma 22 del codice militare tedesco nazista, che diceva: chi è pazzo può chiedere di essere esentato dal servizio militare, ma chi chiede di essere esentato non è pazzo. E’ la legge perfetta, perché il cerchio si deve chiudere.

 

La custodia cautelare sempre giustificata se l’imputato non confessa? Di fronte a una sentenza di questo tipo, uno si deve chiedere qual è l’utilità del processo. In Italia, la custodia cautelare viene adoperata per scopi istruttori o per anticipare la pena. Ormai, il reato del politico che ruba è diventato odioso, agli italiani.

Tant’è vero che gli italiani, da decenni, accettano dei politici incapaci, purché non rubino. Pensate a quanto stareste meglio se aveste dei politici capaci, che rubano.

Il problema di uno che fa un lavoro è che sia bravo, non che sia onesto. Onesto è una conseguenza dell’essere bravo. Scipione l’Africano fu condannato per corruzione.

In ogni posto del mondo vedo politici che vanno sotto processo: è giusto che vengano condannati, è giusto che vadano in galera. Quello che non è giusto è che vengano utilizzati dalla comunicazione per far passare sotto silenzio delle altre cose.

Il problema di uno Stato che non funziona non è la corruzione. Non è il politico disonesto: è l’incapacità. Perché una persona anche onesta, ma incapace, lo Stato lo fa andare a rotoli lo stesso. Oggi pretendono che non ci siano pregiudicati. Io la metterei in altri termini: non devono esserci persone condannate che non hanno scontato la pena.

 

In uno Stato laico, una volta che hai scontato la pena, tu il debito con la società l’hai pagato. Devi scindere il piano etico, pure importante, dal piano pratico: la giustizia deve funzionare. E la giustizia non va avanti sulla verità, va avanti su un fatto convenzionale che si chiama verità processuale, che non è necessariamente la verità.

Ma l’azione di Mani Pulite aveva un bersaglio principale, che era Craxi, perché Craxi aveva detto di voler fare parecchie cose. Per esempio, nazionalizzare la Banca d’Italia. E di chi è la Banca d’Italia? E’ delle banche. E le banche di chi sono? Finanza massonica e finanza cattolica.

Ma c’è un altro problema: la Banca d’Italia, all’epoca, era il controllore delle porcate che facevano questi, che erano controllati e controllori: erano i proprietari della Banca d’Italia, che avrebbe dovuto controllarli. Quindi, Craxi si mette contro un bel po’ di  nemici. Si mette contro il potere bancario, forse il potere tout-court. Si mette contro i preti, perché vuole riformare pure i Patti Lateranensi – sapete come sono i preti: finché uno gli bestemmia davanti, gli danno 25.000 pater noster, ma gli vuoi far pagare le tasse s’incazzano.

 

Dopodiché si scopre, tramite il caso Gelli, che Craxi finanziava Arafat. Perché i famosi 2 miliardi che Craxi dice a Martelli di prendere da Gelli e di versare sul “Conto Protezione”, cosa che non vi dicono, un minuto dopo sono stati presi da Craxi per darli ad Arafat, cioè ai palestinesi.

E’ sottile il confine tra terrorismo e insurrezione: Pietro Micca che fa saltare mezza Torino mettendo le bombe nei sotterranei per noi è un patriota, mentre un terrorista palestinese è un terrorista. Pietro Micca lottava per la sua terra, perché l’Italia fosse unita; i palestinesi perché esista una Palestina: uno ha messo le bombe ed è un eroe, quegli altri mettono le bombe e per noi sono dei mascalzoni.

 

Ricordiamoci dell’Achille Lauro, e qui c’è un’altra cosa che non vi dicono: l’operazione Achille Lauro era mirata a colpire il Mossad decapitando il “B’nai Brit”, la massoneria ebraica, che ha le caratteristiche di tutte le massonerie: come la massoneria americana funziona in stretta alleanza con la Cia, il “B’nai Brit” è la parte segreta dei servizi israeliani, cioè del Mossad. Il capo dei “B’nai Brit” – e questo è quello che non vi dicono – era quel signore sulla sedia a rotelle che i palestinesi buttarono giù dalla  nave. Si chiamava Leon Klinghoffer. I giornali scrissero che la vittima era un povero paralitico, ma non dissero chi era veramente.

 

Tornando a Craxi: fin qui si è inimicato le banche, i cattolici, gli ebrei; poi dà parere negativo al riconoscimento dei comunisti nell’Internazionale Socialista; poi Reagan gliela giura, perché a Sigonella ha mandato i carabinieri a puntare le armi sui marines (per proteggere il commando palestinese dell’Achille Lauro), quindi ha contro anche gli americani, e parte della massoneria: perché Spadolini, che era uno dei capi della massoneria italiana, era dell’opinione che bisognasse aiutare Reagan, e quando chiese alla massoneria ufficiale di prendere posizione, e la massoneria non lo fece, Spadolini si mise “in sonno”, e trasformò Craxi in un problema anche per la massoneria.

A quel punto, Craxi era uno che non poteva attraversare la strada neanche sulle strisce pedonali. Per cui, nel momento in cui la magistratura fa sapere che sta per fottere Craxi – e qui trovate traccia di quei famosi incontri dei servizi segreti con Di Pietro e gli americani – ognuno ci mette del suo per darle una mano. Così, Craxi finisce ad Hammamet.

 

Ad Hammamet, Craxi ci finisce anche per un ulteriore motivo: era antipatico. La sua principale sconfitta? Non essere riuscito a superare il 15%. Alla gente stava sulle palle. Qui non c’erano complotti: Craxi non sfondava sul piano del consenso popolare – poi bisognerebbe interrogarsi sulla qualità di un popolo che vota Berlusconi e non Craxi. In ogni caso, visto che più del 12-13% non otteneva, Craxi ha perso anche per colpa sua: se fosse stato più forte, questa facilità nel farlo fuori non ci sarebbe stata.

 

Resta però un fatto: c’era stata una riunione su una bellissima barca inglese parcheggiata vicino a Roma, ad Anzio, in cui si erano incontrate dieci, quindici, venti persone, e avevano deciso che l’Italia stava diventando troppo forte, con Craxi.

L’Italia era arrivata tra i primi 5 soggetti economici del mondo. Aveva fatto la richiesta ufficiale per fare il G5; esisteva il G7 e adesso c’è il G4, fatto apposta per escludere l’Italia che voleva il G5. Soprattutto, siccome era stata decisa dalla finanza internazionale  l’operazione euro, in Italia serviva una persona che avesse un’ampia disponibilità a “mettersi a 90 gradi”, e questa persona non era Craxi.

 

Un minuto dopo che hanno fatto l’euro, Craxi ha dichiarato alle telecamere che l’euro sarebbe stato una sciagura. Lo sapeva anche prima. Ma lo sapevano anche loro, che se andava Craxi – e non Prodi – a rappresentare l’Italia, non sarebbe mai passato quel tasso di cambio euro-lira. Non ce l’avrebbero mai fatta, a imporcelo. Mai.

Dunque il problema era questo, e l’operazione è andata a buon fine. E, facendo l’operazione Craxi, sono stati regolati anche altri conti: i vecchi conti Sindona, Gelli, Calvi. Soprattutto, tutti quei paraculi della Dc che pensavano che facessero fuori solo Craxi e non anche loro, hanno dovuto pagare dazio.

Chi non ha pagato? I comunisti, che hanno fatto passare la teoria che Greganti fosse un ladro, e loro non c’entrassero niente. Sapete chi l’ha fatta, quell’operazione? Un magistrato che è morto, Gerardo D’Ambrosio, che poi è diventato senatore dell’ex Pci. Siccome un altro giudice, Tiziana Parenti, voleva mettere in galera mezzo Partito Comunista, come vice-procuratore generale D’Ambrosio ha avocato a sé l’indagine e l’ha chiusa così, con Greganti unico colpevole. Poi è diventato senatore del Pd.

 

Perché Craxi si è lasciato distruggere senza difendersi, cioè senza svelare all’opinione pubblica italiana tutti questi retroscena?

All’inizio a dire il vero ha provato a difendersi, in Parlamento. Disse: «Chi di voi può dire di non aver fatto tutto quello che ho fatto io, si alzi in piedi». E non si è alzato nessuno, neanche i leghisti. Poi, però, a Craxi sono stati minacciati i figli. Craxi aveva già deciso di andare in televisione e di tirar fuori tutta una serie di carte. Tra queste c’era un famoso “Dossier Di Pietro”, che riteneva la carta vincente finale, perché dimostrava che Di Pietro era il prodotto di quel tipo di organizzazione. Per fare questa operazione chiamò Mentana, al Tg5, ma lo chiamò direttamente, senza passare per Berlusconi, perché Mentana tempo prima era stato collocato a Rai2 da Craxi. Poi chiamò Paolo Mieli per fare un’intervista di due pagine sul “Corriere della Sera”.  Dopodiché chiamò la Rai per un’intervista che avrebbe dovuto fare prima con Giancarlo Santalmassi, poi con Minoli, e che poi invece non fece. Perché quella notte successero tre cose.

 

 

A casa della figlia Stefania si introdussero delle persone che bruciarono tutti i suoi vestiti.

A casa di suo figlio Bobo si recarono delle persone che razziarono tutto quello che c’era.

E nella sua casella della posta trovò un messaggio con scritto che, se avesse fatto quelle interviste, avrebbero pagato i suoi figli.

Una delle cose che nessuno vi dice, che non sono mai state pubblicate e che vi dico io, è che era lo stesso messaggio che avevano ricevuto altri personaggi di Tangentopoli, che avevano deciso di parlare e si sono suicidati.

A quel punto, Craxi decise di telefonare a Cossiga, il quale aveva un grosso complesso di colpa nei suoi confronti, perché sapeva cosa stava accadendo, tant’è vero che si era precipitato a fare senatori a vita Giulio Andreotti e Gianni Agnelli, per evitare che in Tangentopoli ci finissero dentro anche loro, ma non si era premurato di avvisare Craxi. Cossiga a sua volta contattò il capo della polizia dell’epoca, che si chiamava Vincenzo Parisi, il quale fece un’abile opera di mediazione tra Di Pietro, il pool di Mani Pulite e Craxi, per concordare la latitanza: Craxi se ne sarebbe andato ad Hammamet normalmente, non avrebbe parlato, e solo tre mesi dopo ci sarebbe stato l’ordine di carcerazione.

 

I magistrati sapevano benissimo che Craxi sarebbe andato ad Hammamet col suo passaporto, e il ministero degli esteri concordò con Ben Alì – che era il dittatore della Tunisia – che l’Italia non avrebbe mai avviato una richiesta di estradizione. Craxi si tenne la libertà di parlare una volta ad Hammamet, ma in Italia no: la minaccia verso i figli l’aveva ritenuta concreta.

Molta gente si era ammazzata, attorno a Mani Pulite. O forse era stata ammazzata. Io ero coinvolto nel processo a Raul Gardini e, come avvocato, avevo accesso a documenti non pubblicati.

Era la prima volta che vedevo qualcuno che si suicida  sparandosi due proiettili mortali alla tempia. Due, capite? Non possono essere entrambi mortali. Se uno si spara un colpo in testa, come può spararsi anche un secondo colpo?

Forse Gardini stava per rivelare il nome di chi portò il famoso miliardo a Botteghe Oscure? Chi lo sa.

 

Il potere è astratto, è automatico. Ci sono meccanismi nei quali entri e magari ti ammazza il nemico che meno ti aspetti: tu non sai che calli stai pestando, di chi sono, perché, da dove vengono quei soldi, chi è in affari con chi. Magari pensi di fare uno sgarbo a Tizio, e s’incazza Caio, che non sapevi fosse in affari con quello. I meccanismi del potere sono di una complessità inaudita. Non è una vita facile, quella di chi sceglie di stare nel potere. Certo, sai sempre come pagare le bollette, però non sai mai da dove ti arrivano le coltellate.

Quando Craxi ha accettato di deporre al processo Cusani, quando già l’accordo l’avevano fatto, Di Pietro è stato criticato perché l’interrogatorio era mite, era troppo rispettoso. In realtà era il segnale che aveva chiesto Craxi a Parisi per non fare le interviste.

Disse: «Io le interviste non le faccio. Ma, a parte il fatto che lasciate in pace i miei figli, non voglio finire in galera. Perché se finisco in galera, e so come sono fatto, poi m’incazzo, parlo, e m’ammazzano i figli. O ammazzano me». Una tazzina di caffè: com’è morto Sindona? Com’è morto Papa Giovanni Paolo I? Ti portano una camomilla le monache: è perfetto.

 

Con Craxi, è stato eliminato chi era capace. La disonestà? Bettino Craxi non era ricco. Il famoso tesoro di Craxi non l’hanno trovato perché non è mai esistito. I 13 miliardi che gli hanno trovato sul famoso conto svizzero erano i soldi del partito.

Mentre i grandi partiti i conti del finanziamento illecito li intestavano ai segretari amministrativi, i piccoli partiti li intestavano ai segretari politici – il conto del Pri era intestato a Giorgio La Malfa, che ha avuto i suoi guai, come Renato Altissimo del Pli. Craxi, quando passò le consegne a Del Turco, cercò di passargli anche i conti; ma Del Turco, che era un po’ fifone, disse “no,  non li voglio”, non scordandosi che un conto simile l’aveva quand’era segretario generale della Uil, perché anche i sindacati facevano i finanziamenti illeciti.

 

 

Siamo un paese strano: ci colpevolizzano col debito pubblico, senza tenere conto del fatto che abbiamo il massimo risparmio privato europeo e il più alto numero di proprietari di case. Questo dovrebbe contare, per la solidità del sistema, e invece quando vanno a trattare in sede Ue si calano le brache, compreso l’ultimo, Renzi, che sembra un pretino, un seminarista di trent’anni fa.

Un leader forte, l’Italia non se lo può permettere, perché una delle caste italiane se lo sbrana. Questi pretini spretati hanno paura di fare la fine dei Craxi. Meglio calarsi le brache e tirare a campare, poi si vedrà. C’è questo cortocircuito, in cui il nostro sistema non difende più l’istituzione.

Quando hanno scoperto un sacco di magagne su Kohl, i tedeschi l’hanno mandato a casa, non in galera: perché era Kohl. E quando sono state scoperte un sacco di magagne su Mitterrand, i francesi – compresa l’opposizione – non l’hanno mandato in galera, l’hanno mandato a casa.

 

Da noi, Craxi è stato mandato ad Hammamet, senza tener conto che aveva rappresentato un’istituzione.

E lo stesso sta succedendo a Berlusconi – che a me non è simpatico, non l’ho mai votato, però non posso immaginare che uno, quando fa il presidente del Consiglio, abbia i carabinieri appostati alla porta per vedere con chi scopa, perché non c’è rispetto – non verso ciò che uno è, che sono fatti suoi – ma ciò che uno rappresenta, che sono anche fatti miei.

E se uno mi rappresenta indegnamente io lo mando a casa, non in galera, perché mandandolo in galera sputtano anche me, indebolisco la  mia economia, il mio sistema.

Invece qui, pur di prenderne il posto e farsi la guerra(non vale solo per Berlusconi, l’ha fatto anche lui agli altri) vige questa mentalità, per cui oggi magari l’idea è quella di fottere Renzi per mettersi al posto suo, e per fottere Renzi o Berlusconi o D’Alema ci si allea con i nemici dell’Italia, con la stampa estera per sputtanarli, con i parlamentari europei per attaccarli.

Ma che logica è? Che popolo siamo?

 

(Gianfranco Carperoro, estratti delle dichiarazioni rese il 13 maggio 2014 alla conferenza pubblica dell’associazione “Salusbellatrix” a Vittorio Veneto, ripresa integralmente su YouTubeStudioso di simbologia, esoterista, già avvocato e magistrato tributario, giornalista e pubblicitario, Carpeoro è autore di svariati romanzi ed è stato “sovrano gran maestro” della comunione massonica di Piazza del Gesù).

 

 

 

 

 

Fonte: da LIBRE del 27 febbraio 2015

Link: http://www.libreidee.org/2015/02/la-vera-storia-della-fine-di-craxi-e-leuro-rovina-dellitalia/

 

SPARARONO SULLA FOLLA A KIEV, ERANO CECCHINI DELLA CIA

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Aleksandr Yakimenko

Aleksandr Yakimenko

 

 

Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania: sarebbero le “pedine” utilizzate dagli Usa per destabilizzare sanguinosamente l’Ucraina, fino alla caduta del regime di Yanukovich.

 

«L’Europa, in quanto tale – dice Giulietto Chiesa – sprofonda più che nella vergogna, nel ridicolo, trovandosi guidata da quattro repubbliche ex satelliti o ex sovietiche (anche se con l’autorevole copertura di Berlino, Londra, e Parigi) in un’avventura che non era stata nemmeno discussa. E che non è europea, ma americana».

Dirompenti le dichiarazioni di Aleksandr Yakimenko, capo dell’intelligence ucraina con Yanukovic, ora riparato in Russia. Secondo Yakimenko, sarebbe stata la Cia a manovrare i cecchini che il 20 febbraio hanno fatto strage di dimostranti in piazza Maidan per poi poter accusare il regime. A dirigere l’operazione, uomini della Cia coordinati dall’ambasciata Usa di Kiev. Complici, il rappresentante a Kiev dell’Unione Europea ed emissari polacchi come Jan Tombinsky.

 

Le drammatiche “rivelazioni” di Yakimenko, rilasciate alle televisioni russe? «Probabilmente non tutte innocenti, ma certo molto credibili», scrive Chiesa sul “Manifesto”. Tanto più che combaciano perfettamente con la famosa telefonata del ministro degli esteri estone Urmas Paet alla signora Catherine Ashton, capo della diplomazia europea: il ministro dell’Estonia disse che a sparare «anche» contro i dimostranti non fu la polizia ucraina, bensì i cecchini «assoldati dalle opposizioni». Le accuse, osserva Giulietto Chuiesa, «sono una più grave dell’altra, una più infamante dell’altra». E se le televisioni russe le riproducono con tanta ampiezza, «ciò vuol dire soltanto una cosa: che Vladimir Putin non solo non intende retrocedere di un millimetro, ma intende contrattaccare politicamente, diplomaticamente e anche dal punto di vista della comunicazione».

 

Yakimenko ha chiamato in causa l’ex presidente ucraino Viktor Yushenko, il vincitore – con Julia Tymoshenko – della ormai sfiorita rivoluzione arancione. Sarebbe stato lui a «lasciar moltiplicare i campi paramilitari in cui si sono allenati al golpe i nazisti e gli estremisti nazionalisti seguaci di Stepan Bandera», l’uomo che nella Seconda Guerra Mondiale collaborò con Hitler, e la cui effigie è tornata – dopo tanti anni – sulla piazza Maidan. Quando arrivò Yanukovic, sempre secondo Yakimenko, i “campi paramilitari” non furono chiusi, ma spostati – in Polonia, Lettonia e Lituania. Neppure Yanukovic decise di chiuderli, osserva Chiesa: «Continuava il doppio gioco di un colpo al cerchio e di uno alla botte, per tenere buoni russi e americani», perché evidentemente «l’influenza degli Stati Uniti e dell’Europa erano già troppo forti per poter essere contrastate».

 

Insomma, l’ex capo della polizia politica ucraina sostiene che l’eversione in Ucraina abbia origini lontane: non è stata né spontanea, né improvvisata.

«Ha fatto parte di un piano strategico nato negli Stati Uniti e che ha avuto come esecutori materiali un gruppo di paesi dell’Unione Europea». Certo, continua Chiesa, «in piazza c’erano migliaia e migliaia di persone. Ma a guidarle e a imprimere una svolta eversiva sono stati uomini armati e bene addestrati da tempo, scatenati da una serie di comandi molto precisi. Fino alla tremenda sceneggiata, costata quasi un centinaio di morti e oltre 800 feriti, che servì a coprire di infamia il presidente Yanukovic, lordato di un sangue che non aveva voluto e saputo provocare, ma la cui fuga fu applaudita da tutto il “mondo libero”, indignato per la sua ferocia».

 

Yakimenko sostiene che quei cecchini furono individuati: sparavano dal palazzo della Filarmonica, erano una ventina, «bene armati, bene equipaggiati, con fucili di precisione dotati di cannocchiale». Gli uomini della sicurezza ucraina erano nella piazza, mescolati alla folla e – dice Yakimenko – videro tutto e riferirono.

Ma «non furono gli unici a vedere»: anche i leader di alcuni gruppi estremisti videro che quei cecchini sparavano sulla folla, e si allarmarono al punto da contattare lo stesso Yakimenko, «chiedendogli di porre fine alla mattanza facendo intervenire la sue “teste di cuoio”, il famoso o famigerato “Gruppo Alfa”». Yakimenko, continua Giulietto Chiesa, parla dunque di una trattativa che si svolse tra lui e i rappresentanti di “Svoboda” e di “Settore Destro”. Forse – dice – lo fecero per «crearsi un alibi». O forse perché non erano loro, ma altri, ad avere organizzato la mostruosa operazione diversiva.

E nel frattempo un gruppo di persone, tutte decisive nel controllo delle forze di sicurezza, visitavano l’ambasciata Usa «tutti i santi giorni». Sono gli uomini che oggi incarnano il nuovo potere di Kiev.

 

 

Fonte: da LIBRE del 15 marzo 2014

Link: http://www.libreidee.org/2014/03/spararono-sulla-folla-a-kiev-erano-cecchini-della-cia/

 

L’EX UOMO CIA RAYMOND MCGOVERN: GIORNALISTI, VI BEVETE PROPRIO TUTTE LE BUFALE

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RAYMOND MCGOVERN

Raymond McGovern

 

 

Giornalisti, ma perché ve le bevete proprio tutte, le bufale che vi propina il potere?

 

La notizia è che a domandarlo non è un reporter d’inchiesta, ma un ex dirigente della Cia, Raymond McGovern, per anni a capo del “National Intelligence Estimates”, uno dei massimi organismi dell’agenzia di Langley. Marcello Foa lo ha incontrato in un recente dibattito pubblico a Firenze. Oggi, McGovern «è uno dei più arcigni difensori delle libertà civili e implacabile critico delle politiche della Casa Bianca, sia di George W. Bush sia di Barack Obama».

 

Foa condivide al 100% la sua analisi: «Oggi la stampa non svolge il proprio ruolo di cane da guardia della democrazia, semmai è vero il contrario: troppo compiacente, troppo schierata, troppo pavida nei momenti in cui bisognerebbe essere coraggiosi. Si beve tutte le bufale degli spin doctor».

 

Ovvio che l’opinione pubblica sia sempre più indifesa: non viene solo disinformata, viene anche puntualmente depistata non appena il Palazzo teme che qualche verità scomoda possa venire a galla.

 

Viviamo immersi in un mare di notizie false, di mezze notizie manipolate, di notizie taciute.

Nel suo blog sul “Giornale”, Foa ricorda come la Troika abbia appena «piegato la Grecia anche grazie alle sottili pressioni di Sarkozy». L’ex presidente francese, avendo avuto accesso alla lista dei clienti “Hsbc” trafugata a Ginevra da Hervé Falciani, sapeva che la madre dell’allora premier Papandreu, socialista, possedeva un conto non dichiarato da 500 milioni di euro. «Diciamola tutta: fu un complotto, di cui naturalmente nessuno era a conoscenza».

 

L’ex ministro del Tesoro americano, Tim Geithner, ha ammesso che nel 2011 Berlusconi fu disarcionato in seguito a una cospirazione.

 

In Ucraina, continua Foa, un anno fa la verità sulla cosiddetta rivolta di Piazza Maidan

«è stata ampiamente aggiustata a fini mediatici, oltre che ovviamente politici, presentando quello che di fatto era un golpe sotto le sembianze molto più confortevoli della commovente e pacifica rivoluzione di piazza e tacendo sul pesante, decisivo coinvolgimento di forze paramilitari neonaziste».

 

Scandalosa, poi, la vicenda di “Charlie Hebdo”, che «presenta ancora oggi numerosi aspetti non chiariti», alcuni dei quali molto imbarazzanti per la stampa internazionale.

«Uno su tutti: quando i leader mondiali si sono ritrovati per capeggiare l’immensa marcia popolare in difesa della libertà di stampa».

Peccato, però, che i leader «non abbiano mai guidato il corteo, ma si siano fatti filmare in una strada chiusa al pubblico».

Attenzione: «Dietro di loro non marciava nessuno, ma naturalmente né i tg né i giornali lo hanno detto al pubblico, preferendo enfatizzare la verità formale».

 

Persino le rivelazioni sulla “Lista Falciani” «non possono essere certo considerate giornalismo di inchiesta, sebbene siano state presentate come tali».

Qualcuno «ha semplicemente recapitato a un pool di testate internazionali gli elenchi, di cui peraltro non si sa nemmeno se autentici. E i giornali hanno sparato i nomi in prima pagina, senza nemmeno chiedersi se loro fossero strumentalizzati e a chi convenisse la pubblica gogna».

 

Illuminante, secondo Foa, il duro giudizio che Raymond McGovern riserva alla stampa americana, «che noi continuiamo a torto a mitizzare, come se fosse ancora quella dei tempi del Watergate». Stampa che, peraltro, «è estendibile a quella europea».

 

McGovern non è certo un complottista, premette Foa: «Tutt’altro: adotta un approccio pragmatico e saggio. Non insegue le proprie fantasie e i propri sospetti, per quanto suggestivi, ma si basa  sull’analisi dei fatti, sull’individuazione delle incongruenze, sulla formulazione insistita e pertinente di domande sugli aspetti poco chiari di una vicenda, sulla capacità di individuare connessioni non evidenti a prima vista e di costruire il proprio giudizio su prove o comunque su riscontri oggettivi. Insomma, ricostruisce con il dovuto scetticismo. Ed è paradossale che debba essere un ex analista della Cia animato da un’ardente passione civica a ricordare ai giornalisti quella che dovrebbe essere una caratteristica innata di chi fa il mio mestiere», conclude Foa, che cita anche l’ex consulente politica Naomi Wolf, divenuta una scrittrice famosa grazie al romanzo “The end of America” in cui denuncia i rischi di un’involuzione totalitaria negli Stati Uniti.

 

Oggi, dice la Wolf, «siamo entrati in un’era in cui non è assurdo per un giornalista chiedersi sistematicamente se gli eventi a cui assiste sono veri o falsi. E più un evento è spettacolare, più alto è il rischio che sia stato inventato ad arte ovvero che si tratti di notizie false, create da governi e  da servizi segreti».

 

 

Fonte: da LIBRE del 25 febbraio 2015

Link: http://www.libreidee.org/2015/02/lex-uomo-cia-giornalisti-vi-bevete-proprio-tutte-le-bufale/

 

CIA E SAUDITI, LA PREMIATA DITTA DEI TAGLIATORI DI TESTE

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Zacarias Moussaoui

Zacarias Moussau

 

 

Non fanatici, ma mercenari. Dirottati in mezzo mondo – Afghanistan, Balcani, Medio Oriente – per scatenare il terrore, fornendo l’alibi per la “guerra infinita” degli Usa.

 

Al-Qaeda e Isis sono due maschere dello stesso network, organizzato dai sauditi sotto la regia di Washington.

 

«Dalle viscere del carcere di massima sicurezza statunitense di Florence (Colorado), il componente di Al-Qaeda Zacarias Moussaui, condannato all’ergastolo, fa luce su quello che certamente è il segreto più sporco della “guerra al terrore”», scrive Pepe Escobar.

«In più di 100 pagine di testimonianze rese nei giorni scorsi in una corte federale di New York, Moussaui fa “esplodere” delle autentiche bombe legate alla “Casa di Saud”».

Tra i più importanti finanziatori di Al-Qaeda prima dell’11 Settembre compaiono i principali esponenti del potere saudita, alleato di Washington. Le prime avvisaglie dello scandalo esplodono adesso, spiega Escobar, perché gli Usa ricattano l’Arabia Saudita: guai se Riyadh si sfilasse dall’alleanza, cessando di sostenere sottobanco il network del terrore, che oggi si chiama Califfato, o a scelta Isis, Isil o semplicemente Daesh. E guai se smettono di pompare petrolio, facendone crollare il prezzo per colpire Putin.

 

Nelle rivelazioni dell’ergastolano Moussaui, scrive Escobar in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, troviamo nientemeno che l’ex capo dell’intelligence saudita, il principe Turki al-Faisal, già grande amico di Osama Bin Laden, insieme un personaggio come il principe Bandar Bin Sultan, detto “Bandar Bush”, già ambasciatore saudita negli Stati Uniti «e mancato sponsorizzatore di jihadisti in Siria».

Turki e Bandar sono in compagnia «di un caro amico dei mercati occidentali (e di Rupert Murdoch)», cioè il principe Al-Waleed Bin Talal, e con lui «tutti i maggiori “chierici” wahhabiti dell’Arabia Saudita».

In altre parole, «nessuno di loro è nuovo a chi segue fin dai tempi dell’Afghanistan degli anni ’80 le sporche vicende degli jihadisti finanziati dai wahhabiti sauditi».

Le informazioni, aggiunge Escobar, assumono maggiore importanza se messe in relazione al prossimo libro di Michael Springmann, ex capo della sezione visti a Jeddah, in Arabia Saudita. In “Visto per al-Qaeda”, svelando «tutti gli sdoganamenti della Cia che hanno sconvolto il mondo»,  Springmann descrive in dettaglio le mosse dell’armata del terrore messa in piedi dagli Usa.

 

Negli anni ’80, la Cia reclutò e addestrò «agenti musulmani» per contrastare l’invasione sovietica in Afganistan. «Più tardi, la Cia avrebbe spostato questi agenti dall’Afganistan ai Balcani, poi in Iraq, in Libia e in Siria, facendoli viaggiare con visti statunitensi illegali».

Questi guerriglieri addestrati dagli Usa «si sarebbero poi riuniti in un’ organizzazione che è sinonimo di terrorismo jihadista: Al-Qaeda».

Lo scopo politico di queste rivelazioni, dal punto di vista di Washington, secondo Springmann «è di esercitare pressioni sulla Casa di Saud per continuare a pompare le loro eccedenze petrolifere: i recenti rimbalzi petroliferi stanno provocando l’isterismo a Washington, poiché potrebbero essere il segnale di un ripensamento dei sauditi sulla loro guerra dei prezzi del petrolio contro, prima fra tutti, la Russia».

Dunque, verso la metà degli anni ’80, “Al-Qaeda” era solo un database in un computer collegato al dipartimento delle comunicazioni del segretariato della Conferenza Islamica, scrive Escobar. «A quel tempo, quando Osama Bin Laden non era che un agente “delegato” Usa che operava a Peshawar, l’intranet di Al-Qaeda era un ottimo sistema di comunicazione per lo scambio di messaggi in codice tra i guerriglieri».

 

Al-Qaeda” non era un’organizzazione terrorista – ovvero un esercito islamico – e neanche proprietà privata di Osama Bin Laden.

«In seguito, verso la metà degli anni 2000 in Iraq, Abu Musab al-Zarqawi – il precursore giordano di Isis/Isil/Daesh – stava reclutando giovani militanti-fanatici-arrabbiati, senza un diretto input da parte di Bin Laden. La sua copertura era Aqi (Al-Qaeda in Iraq)».

Quindi, continua Escobar, Al-Qaeda era e resta un marchio di successo.

«Non è mai stata un’organizzazione; piuttosto era un elemento operativo essenziale di un’agenzia di intelligence. Da qui l’imperativo categorico: Al-Qaeda è essenzialmente una derivazione dell’intelligence saudita».

La miglior prova è il ruolo oscuro, fin dall’inizio, del principe Turki, ex direttore generale per lungo tempo del Mukhabarat, l’intelligence della Casa di Saud («ma Turki non parla, e mai lo farà»).

L’intelligence turca, per parte sua, «non ha mai creduto al mito dell’“organizzazioneAl-Qaeda».

Le rivelazioni di Moussaui, aggiunge Escobar, «diventano davvero esplosive quando si collegano tutti i punti tra l’ideologia politica della Casa di Saud, la piattaforma politica di Al-Qaeda e l’abbozzo ideologico del falso Califfato di Isis/Isil/Daesh. La matrice di tutti questi è il wahhabismo del 19° secolo – e la sua interpretazione/appropriazione medievale dell’Islam. Tutti usano metodi diversi, alcuni più rumorosi di altri, ma tutti hanno lo stesso fine: il proselitismo wahhabita».

 

La differenza fondamentale, secondo Escobar, è che Al-Qaeda e Isis/Isil/Daesh «sono dei rinnegati wahhabiti che intendono, alla fine, prendere il posto della Casa di Saud – fantoccio comandato dall’Occidente – instaurando in modo ancora più intollerante il potere salafita e/o del Califfato».

Per cui, «quando questa “bomba” ancora segreta verrà fuori dal vaso di pandora arabico, crolleranno i presupposti che reggono quel dono che viene continuamente elargito dagli Usa, la “Guerra al Terrore” (guerra infinita)».

Non è rassicurante nemmeno il nuovo capo della Casa di Saud, il principe Salman, che «negli anni ’90 era uno strenuo sostenitore del salafismo e del Jihad», inclusa la pratica Bin Laden.

Più tardi, come governatore di Riyadh, «si distinse nell’avversione più totale verso gli sciiti, che poi si espandeva nell’odio verso l’Iran nel suo complesso – per non parlare poi del suo odio per qualsiasi cosa che lontanamente ricordasse la democrazia all’interno dell’Arabia Saudita».

Assurdo aspettarsi che Salman sia un “riformatore”, «come è assurdo aspettarsi che l’amministrazione Obama interrompa una volta per tutte la sua storia d’amore con i suoi “bastardi preferiti” del Golfo Persico».

 

Ma ora, aggiunge Escobar, c’e’ un nuovo elemento chiave: «La Casa di Saud è disperata. Non è un segreto a Riyadh e in tutto il Golfo che il nuovo Re e i suoi consiglieri ammaestrati dall’Occidente stiano letteralmente perdendo la testa. Si ritrovano circondati dall’Iran – che, per giunta, è sul punto di concludere un accordo nucleare con il Grande Satana l’estate prossima».

La situazione non è allegra:

i sauditi «vedono il falso Califfato di Isis/Isil/Daesh che controlla gran parte del “Siraq” – e con gli occhi già puntati verso la Mecca e Medina.

Vedono gli sciiti Houthi pro-Iran che controllano lo Yemen.

Vedono gli sciiti della maggioranza in Bahrein repressi con grandi difficoltà dalle forze mercenarie.

Vedono disordini sciiti diffusi nelle province orientali dell’Arabia Saudita, dove c’è il petrolio.

Sono sparsi in tutto il Medio Oriente ancora in preda alla psicosi “Assad deveandarsene” (mentre lui non va da nessuna parte).

Hanno bisogno di finanziare la “junta” militare al potere in Egitto con miliardi di dollari (l’Egitto è al verde).

E oltre a tutto questo, si sono bevuti la storia America-contro-Russia, impegnandosi in una guerra dei prezzi del petrolio che sta consumando il loro budget».

 

Non ci sono prove che Salman sia deciso a compiere lo sforzo di cooperare con il governo di maggioranza sciita a Baghdad, né che tenterà di raggiungere un compromesso con Teheran: «Al contrario, regna la paranoia, poiché nel momento in cui l’Iran riaffermasse la sua supremazia nucleare, una volta concluso l’accordo atteso per l’estate prossima, i sauditi si ritroveranno emarginati ideologicamente e politicamente».

Soprattutto, conclude Escobar, non ci sono prove che l’amministrazione Obama abbia la capacità di riconsiderare le relazioni coi sauditi.

«Ciò che è certo è che il più sporco segreto della “guerra al terrore” resterà off-limits. Tutto il “terrore” che stiamo vivendo, sia quello reale sia quello costruito a tavolino, proviene da un’unica fonte: non è “l’Islam”, ma l’intollerante e demente wahhabismo», irresponsabilmente incoraggiato, organizzato e finanziato con la piena collaborazione della Cia.

Stesso film: dalla strage di americani innocenti l’11 Settembre alla ricomparsa dei “tagliatori di teste” in Siria, in Iraq e ora in Libia.

 

 

 

 

Fonte: visto su Libre del 3 marzo 2015

Link: http://www.libreidee.org/2015/03/cia-e-sauditi-la-premiata-ditta-dei-tagliatori-di-teste/

 

L’UTILIZZO IPNOTICO DEI COLORI NEI TELEGIORNALI

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Romit.tv

 

 

Di  JON RAPPOPORT

jonrappoport.wordpress.com

 

Alcune persone lo chiamerebbero semplicemente uno sforzo per cercare di compiacere il pubblico. Bene, compiacere il pubblico durante un notiziario non è l’obiettivo, a meno che indici di ascolto, dati su telespettatori, ricavi e distrazione dai fatti non siano il vero piano.. e naturalmente lo sono.

 

Solo adesso mi sono sforzato di vedere la replica del notiziario NBC di mercoledì sera con il ragazzo d’oro Brian Williams.

 

Ma Brian non era d’oro, era blu, colore che, secondo molti sondaggi, risulta essere il prediletto. Un calmo, riappacificante blu.

Questo è quello che ho visto durante i primi cinque minuti. E non potevo sostenere un minuto di più. (Ho bisogno che andiate sulle news di NBC e che guardiate con i vostri occhi).

Brian indossava una camicia blu. Tutti gli sfondi delle didascalie erano blu. Gli schermi piccoli dietro a Brian erano blu. I pannelli della scrivania di Brian erano blu. La superficie della scrivania rifletteva tinte di blu.

 

La storia principale, il report sulla tortura presentato dalla CIA, presentato in blu nel marchio CIA.

Andrea Mitchell, che stava lanciando il servizio sul report, indossava un outfit blu scuro.

Dietro a lei il Capitol Dome in un cielo blu.

Lo psicologo Mitchell, un architetto del programma della tortura, è stato intervistato.

La sua maglietta era in parte blu.

Una mappa del mondo che appariva nello schermo, su uno sfondo blu.

Dietro ad Andrea, lo sfondo era riempito di diversi oggetti blu.

La reporter Dana Priest è stata intervistata per la storia.

Un pezzo di sfondo dietro a lei era blu.

Michael Hayden è stato intervistato. Indossava una maglietta blu.

 

Ancora, io insisto tutto ciò era nei primi cinque minuti di notizie.

Si potrebbe dire che il notiziario sia stato di per sé un’occasione per la trasmissione del blu.

“Ceniamo di fronte alla TV e guardiamoci il telegiornale. Mi piace il blu.”

“Che canale?”

“NBC. Il loro blu è meglio di quello di CBS.”

 

Hai ragione. Mi fa sentire tranquillo. La tortura di cui parla la CIA non può essere stata così male. È blu. Mi sento rassicurato.”

 

John Rappoport

Fonte: https://jonrappoport.wordpress.com

Link: https://jonrappoport.wordpress.com/2014/12/11/the-hypnotic-use-of-color-in-television-news/

Traduzione per www.comedomchisciotte.org  acura di GUEDALINA ANZOLIN

 

Fonte: visto su COME DON CHISCIOTTE del 2 marzo 2015

Link: http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=3940

 

 

 

DOMANDA: QUALE È IL COLORE PREDOMINATE DEI TELEGIORNALI DELLA RAI?

 

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DENATALITÀ, TASSE, IMMIGRAZIONE. ECCO PERCHÉ FINIREMO COME L’IMPERO ROMANO

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La distruzione dell’Impero romano, di Thomas Cole. Dipinto allegorico (ispirato molto probabilmente al sacco di Roma dei Vandali del 455), quarto della serie “Il corso dell’Impero” del 1836, oggi a New York, presso l’Historical Society.

 

 

di Massimo Introvigne

 

Si può parlare male della Francia finché si vuole, ma bisogna riconoscere ai francesi la capacità di promuovere dibattiti culturali che vanno al di là delle banalità quotidiane. Ne è un buon esempio la vasta discussione che continua sul libro dello storico e giornalista Michel De Jaeghere «Gli ultimi giorni. La fine dell’Impero romano d’Occidente» (Les Belles Lettres, Parigi 2014). Nel febbraio 2015 il mensile cattolico «La Nef» ha dedicato a questo tomo di oltre seicento pagine un numero speciale con diversi articoli pertinenti, ma del libro si continua a parlare negli ambienti più diversi, talora con toni molto accesi.

 

Perché appassionarsi nel 2015 alla caduta dell’Impero romano? Si tratta certo di uno degli eventi più importanti della storia universale. Ma in realtà il dibattito francese è divenuto rapidamente politico, perché le vicende finali dell’Impero romano ricordano da vicino – lo aveva del resto già notato Benedetto XVI – quelle di un’altra civiltà che sta morendo, la nostra.

 

De Jaeghere ripete anzitutto quello che è ovvio per gli storici accademici, anche se talora è negato da propagandisti dell’ateismo e nostalgici del paganesimo – forse più presenti e molesti in Francia che altrove -: l’Impero romano non cadde per colpa del cristianesimo. La tesi secondo cui i cristiani, con il loro messaggio di amore e di pace, avrebbero reso l’Impero imbelle di fronte ai barbari – per non risalire a polemisti pagani dei primi secoli come Celso – è stata diffusa dall’Illuminismo, con Voltaire e con lo storico inglese Edward Gibbon. Ma, come ricorda De Jaeghere, è totalmente falsa. Agli inizi del quinto secolo i cristiani nell’Impero romano d’Occidente sono solo il dieci per cento. Sono maggioranza nell’Impero d’Oriente, ma questo resisterà alle invasioni e sopravvivrà per mille anni. Ed è il dieci per cento cristiano che cerca di mantenere in vita Roma e la sua cultura, con vescovi e intellettuali come Ambrogio e Agostino ma anche con generali che si battono fino allo spasimo per difendere l’Impero, come Stilicone ed Ezio, e con tanti soldati cristiani protagonisti di fatti d’arme eroici.

 

Accantonate le sciocchezze sul cristianesimo, resta la domanda su come l’immenso Impero romano sia potuto cadere. Oggi gli storici sono molto cauti nell’usare la parola «decadenza». È vero che, nell’attuale Italia, negli ultimi secoli dell’Impero duecentomila capifamiglia avevano diritto a somministrazioni gratuite di cibo, che lavorassero o meno, e che i cittadini romani che lavoravano, militari esclusi, avevano centottanta giorni di vacanza all’anno, allietati da spettacoli spesso di dubbio gusto o crudeli. Ma di questa decadenza gli scrittori e i filosofi avevano cominciato a lamentarsi all’epoca di Gesù Cristo, quattrocento anni prima che l’Impero cadesse, in un’epoca in cui Roma le sue battaglie le vinceva ancora.

 

Alla categoria di «decadenza», suggerisce De Jaeghere, non si può rinunciare a cuor leggero. Ed è giusta l’osservazione di molti storici secondo cui le spiegazioni che attribuiscono la caduta dell’Impero a un’unica causa sono ideologiche. Ma questo non significa che ci si debba arrendere e dichiarare l’evento inspiegabile. Al contrario, De Jaeghere parla di un «processo», che lega le diverse spiegazioni proposte tra loro.

 

Ancora come Benedetto XVI – senza citarlo – lo storico francese identifica come causa principale che sta all’origine del processo la denatalità. Il controllo delle nascite presso i romani non ha i mezzi tecnici di oggi, ma dilagano l’aborto e l’infanticidio, e aumenta il numero di maschi adulti che dichiarano di volere avere esclusivamente relazioni omosessuali. Il risultato è demograficamente disastroso: Roma passa dal milione di abitanti dei secoli d’oro dell’Impero ai ventimila della fine del quinto secolo, con una caduta del 98%. Le statistiche sulle campagne sono meno sicure, ma dal trenta al cinquanta per cento degli insediamenti agricoli sono abbandonati negli ultimi due secoli dell’Impero, non perché non siano più redditizi ma perché non c’è più nessuno per coltivare la terra.

 

Quali sono le conseguenze della denatalità? Sono molte, e tutte negative. Dal punto di vista economico, meno popolazione significa meno produttori e meno soggetti che pagano le tasse. L’Impero romano cede alla tentazione di tanti Stati che si sono trovati in condizioni simili. Aumenta le tasse, fino ad ammazzare l’economia: e anche fino a incassare meno tasse, anche se non ci sono economisti per spiegare in termini matematici la curva per cui, se le imposte aumentano troppo, lo Stato finisce per incassare di meno, perché molti vanno in rovina e non pagano più nulla. La caduta dell’Impero è annunciata nel suo ultimo secolo da una rovinosa caduta del novanta per cento degli introiti fiscali. Nelle campagne molti piccoli proprietari che non possono più pagare le tasse vanno a ingrossare le fila, fiorenti, della criminalità e del banditismo.

 

Roma è alla testa di un sistema che prevede la schiavitù, e la soluzione alla denatalità dei liberi è cercata anzitutto nell’accrescere la natalità degli schiavi, cui è fatto divieto di praticare l’aborto e che sono incitati con le buone e con le cattive a fare più figli. Nell’ultimo secolo dell’Impero nell’attuale Italia il 35% della popolazione è costituito da schiavi. Gli schiavi, però, non pagano tasse, lavorano in modo poco zelante e non hanno alcun interesse a difendere in armi i loro padroni attaccati. L’economia schiavista degli ultimi secoli dell’Impero diventa anche statalista. Sempre di più è lo Stato a gestire grande imprese agricole dove lavorano esclusivamente schiavi.

 

Sia pure con caratteristiche diverse, il loro contributo scarsamente entusiasta all’economia ricorda quello dei lavoratori e dei contadini sovietici.

 

Se scarseggiano i cittadini a causa della denatalità, e gli schiavi non risolvono i problemi, l’altra misura cui gli Stati e gli imperi ricorrono di solito per ripopolare i loro territori è la massiccia immigrazione. Si parla molto delle invasioni barbariche. Ma si dimentica, suggerisce De Jaeghere, che la più grande invasione non è avvenuta per conquista ma per immigrazione. L’invasione di Alarico, per esempio, porta all’interno dell’Impero ventimila visigoti. Ma le misure prese per invitare popolazioni germaniche a immigrare, non solo legalmente ma con facilitazioni, per fare fronte al problema della denatalità, portano nel territorio imperiale in trentacinque anni, dal 376 al 411, un milione di immigrati. Certamente i «barbari» emigrano nell’Impero, o lo invadono, perché a casa loro non si sta bene a causa della pressione degli Unni venuti dall’Asia Centrale, una delle cause della caduta di Roma che non possono essere imputate alle classi dirigenti romane. Ma il non governo dell’immigrazione è colpa loro.

 

Così come la decisione fatale di reclutare gli immigrati per l’esercito – se qualcuno protesta perché non sono cittadini romani, si concede loro rapidamente la cittadinanza – che snatura le legioni. All’inizio del quinto secolo l’esercito romano non è piccolo. È grande più del doppio rispetto ai tempi di Augusto: da 240.000 uomini si è passati a oltre mezzo milione. Il problema è che più della metà sono immigrati di origine germanica: e dichiararli frettolosamente cittadini romani non cambia la loro condizione. È vero, sono «barbari» in maggioranza i legionari, ma sono romani i comandanti e romani gli imperatori da cui prendono ordini. Senonché a un certo punto i «barbari» si rendono conto appunto di essere la maggioranza dei soldati, la maggioranza di coloro che faticano e muoiono. Perché dovrebbero farsi comandare dai romani? Così, alla fine, uccidono i generali romani e li sostituiscono con uomini loro, si uniscono agli invasori etnicamente affini anziché respingerli e, nell’atto conclusivo, marciano su Roma e pongono fine all’Impero.

 

Del resto, secondo De Jaeghere, da secoli Roma verso le popolazioni germaniche aveva rinunciato ad avere una «politica estera» che non fosse l’invito all’immigrazione. Le foreste del Nord sembravano ai romani un mondo caotico, dove bande e capi diversi e imprevedibili si uccidevano tra loro, e un mondo con poche ricchezze da portare a Roma. Di qui la decisione – gravemente sbagliata – di disinteressarsi di una vasta area nord-europea, lasciando che lì si formassero lentamente le forze che avrebbero aggredito e distrutto l’Impero, anche perché la globalizzazione dei commerci – pur senza televisione e senza Internet – informava questi «barbari» delle favolose ricchezze di Roma, e scatenava i loro appetiti.

 

Si comprende come questa sequenza che vede le cause della caduta di Roma in un processo che va dalla denatalità alla persecuzione fiscale dei cittadini, allo statalismo dell’economia e all’immigrazione non governata non piaccia a qualcuno. A De Jaeghere è stato opposto che l’immigrazione è una risorsa, che gli imperatori avrebbero dovuto valorizzare, e che il vero problema fu la loro incapacità di pensare l’Impero in termini nuovi e multiculturali, non l’aumento degli immigrati. È evidente che queste obiezioni «politicamente corrette» nascono dal timore del paragone con l’Europa di oggi, paragone cui lo stesso De Jaeghere non si sottrae, pur invitando alla cautela.

 

Nello stesso tempo, il suo libro offre una risposta alle obiezioni che allarga il quadro. A Roma venne meno un tasso di natalità capace di sostenere un Impero, con conseguenze a cascata sull’economia e la difesa. Ma perché questo avvenne? Perché a un certo punto i romani scelsero la strada di quello che, con riferimento all’Europa dei giorni nostri, San Giovanni Paolo II avrebbe chiamato «suicidio demografico»? Il libro sostiene che vennero lentamente meno i due pilastri della cultura romana, la «pietas» e la «fides», la lealtà alle tradizioni morali e religiose trasmesse dai padri e la fedeltà alla parola data e agli impegni assunti come cittadino romano nei confronti della patria.

 

Le cause di questa «decadenza» – in questo senso la parola non va abbandonata – sono molteplici. Intorno all’epoca di Gesù Cristo l’aristocrazia romana si trasforma da élite guerriera e militare a élite terriera e latifondista, che riceve a Roma i proventi di possedimenti che spesso non ha neppure mai visitato. Questa nuova élite è più interessata ai piaceri che alla difesa dell’Impero, che considera comunque eterno e invincibile. E comincia a non fare figli: tutte le famiglie tradizionalmente aristocratiche dell’epoca di Gesù Cristo si estinguono prima del 300 d.C. tranne una, la gens Acilia, che si converte al cristianesimo. L’esempio delle classi dirigenti, come sempre accade, fa proseliti. La moda del figlio unico, o di nessun figlio, arriva fino alla plebe.

 

L’obiezione degli storici, soprattutto inglesi e americani, che negano la tesi della decadenza, è che tutto questo riguarda soprattutto Roma o comunque le grandi città, mentre ancora nell’ultimo secolo dell’Impero l’85% della sua popolazione vive nelle campagne. Ma anche qui, nota De Jaeghere, vengono meno la «pietas» e la «fides». Perché l’Impero, troppo multiculturalista e cosmopolita e non troppo poco, è percepito come una lontana burocrazia che prende decisioni incomprensibili e si fa viva soprattutto per aumentare le tasse. Il piccolo proprietario di campagna nel migliore dei casi è disposto a battersi per difendere il suo villaggio, non i remoti confini di un Impero che percepisce come lontano e verso il quale non sente più nessun «patriottismo», nel peggiore accoglie i «barbari» come liberatori dal fisco romano che lo sta mandando in rovina.

 

Certamente De Jaeghere potrebbe dedicare più attenzione alle ragioni strettamente religiose del declino, studiate in chiave sociologica da Rodney Stark. Il declino della religione pagana, non più persuasiva per nessuno, è alle origini del declino della «pietas». Avrebbe potuto sostituirla il cristianesimo – di fatto lo farà, ma più tardi – che, come dimostra anche solo una rapida lettura di Sant’Agostino, sapeva trovare in sé le ragioni per difendere l’Impero e la cosa pubblica, di cui non si disinteressava affatto. Ma nell’Impero Romano d’Occidente, anche quando lo professavano gli imperatori, il cristianesimo era minoritario.

 

Le lezioni per il nostro mondo sono ovvie. Con tutte le cautele che richiede ogni paragone fra epoche diversissime, la caduta di Roma mostra come grandi civiltà possano finire, e che il modo della loro fine normalmente è demografico. Gli imperi cadono quando non fanno più figli, e la denatalità innesca una spirale diabolica di tasse insostenibili, statalismo dell’economia, immigrazione non governata ed eserciti imbelli. Per capire la pertinenza della parabola romana rispetto ai giorni nostri non servono troppi libri, basta aprire le finestre e guardarsi intorno.

 

Su un punto, peraltro, i critici di De Jaeghere hanno qualche ragione. Gli immigrati e gli invasori di Roma avevano un vantaggio rispetto a immigrati e «invasori» di oggi. In gran parte germanici, non erano portatori di una cultura forte. Riconoscevano la superiorità della cultura romana: cercarono di appropriarsene e finirono anche per convertirsi al cristianesimo. Attraverso secoli di sangue, sudore e fatica la caduta dell’Impero romano d’Occidente prepara così la cristianità del Medioevo.

 

Oggi gli immigrati e gli «invasori» - invasori tramite l’economia, o aspiranti invasori in armi come il Califfo – sono portatori di un pensiero fortissimo, sia quello islamico o quello cinese: non pensano di dovere assimilare la nostra cultura ma vogliono convincerci della superiorità della loro. La crisi che potrebbe seguirne potrebbe essere ancora più letale di quanto fu per l’Europa la caduta di Roma. Per questo, discutere sulle ragioni della caduta dell’Impero romano d’Occidente non è un puro esercizio intellettuale.

 

 

Fonte: da LA BUSSOLA del 23 febbraio 2015

Link: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-denatalita-tasse-immigrazioneecco-perche-finiremo-come-limpero-romano-11884.htm

 

LA MASSONERIA IN VATICANO E L’ATTENDIBILITA’ DELLA LISTA DI MINO PECORELLI… CHE LA GENTE SAPPIA IN CHE MANI È STATA LA CHIESA DURANTE E DOPO IL CONCILIO VATICANO II

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HUMANUM GENUS LETTERA ENCICLICA di Leone XIII

 

Da questi brevi cenni si scorge chiaro abbastanza, che sia e che voglia la setta Massonica. I suoi dogmi ripugnano tanto e con tanta evidenza alla ragione, che nulla può esservi di più perverso. Voler distruggere la religione e la Chiesa fondata da Dio stesso, e da Lui assicurata di vita immortale, voler dopo ben diciotto secoli risuscitare i costumi e le istituzioni del paganesimo, è insigne follia e sfrontatissima empietà. Ne meno orrenda e intollerabile cosa egli è ripudiare i benefizi largiti per Sua bontà da Gesù Cristo non pure agl’individui, ma alle famiglie e agli Stati; benefizi, per giudizio e testimonianza anche di nemici, segnalatissimi. In questo pazzo e feroce proposito pare quasi potersi riconoscere quell’odio implacabile, quella rabbia di vendetta, che contro Gesù Cristo arde nel cuore di Satana.

 

Similmente l’altra impresa, in cui tanto si travagliano i Massoni, di atterrare i precipui fondamenti della morale, e di farsi complici e cooperatori di chi, a guisa di bruto, vorrebbe lecito ciò che piace, altro non è che sospingere il genere umano alla più abbietta e ignominiosa degradazione.

 

 

IL LIBRO CHE HA FERMATO LA BEATIFICAZIONE DI PAOLO VI – “PAOLO VI BEATO?” 
DI DON LUIGI VILLA.
 

 

…Il 28 novembre 1977, un dispaccio dell’A.T.I. (= Agenzia Telegrafica Giudea) rendeva noto che «La Conferenza dei Vescovi cattolici e la “Lega contro la  diffamazione” del B’nai B’rith (ADL) annunciano la formazione di un gruppo di lavoro comune, destinato ad esaminare i problemi relativi alla fede degli Ebrei e dei Cattolici»(32).

– E il 7 maggio 1978, l’A.T.I. annunciava che il 10 maggio seguente, Paolo VI avrebbe ricevuto i rappresentanti dei B’nai B’rith, latori di un “documento” di 16 pagine, concernenti “l’Olocausto”(33).

 

La Massoneria, quindi, era entrata non solo nella Chiesa-base, ma anche ai vertici del Vaticano, sia con ecclesiastici che laici! L’accerchiamento è giunto, ormai, “molto vicino al trono del Papa”(34)!

 

Comunque, non è una novità! Tale penetrazione era già stata attuata da almeno due secoli! Giovanni Paolo II, per esempio, ha attribuito la soppressione pontificia della “Compagnia di Gesù” all’opera della Massoneria (35). Questo significa che i “nemici” della Chiesa han sempre trovato le porte di accesso al Vaticano più che socchiuse (36). E questo è ammesso anche ai più alti livelli (37).

 

  1. Raimondo Spiazzi, su questo, scrive:

 

«Sui Conclavi del futuro, Siri diceva che bisognava pregare per ottenere la grazia che coloro che vi avrebbero partecipato fossero veramente liberi da qualsiasi condizionamento ed influsso di parte, non solo di ordine etnico e politico, ma anche sociale. E che non vi arrivi in alcun modo la mano di qualche sètta, concludeva. Si riferiva alla Massoneria, della quale diceva di aver conoscenza, per confidenze dirette, ricevute da affiliati, e di sapere con quali trame essa cercava di attanagliare uomini ed organi del Vaticano, (non esitava a fare alcuni nomi!), col pericolo che arrivasse anche al Conclave. Forse, anche per questo, proponeva l’abolizione del segreto: che tutto avvenisse alla luce del sole»!

 

Anche Papa Albino Luciani era consapevole del pericolo massonico (38). Lo stesso Papa era molto polemico contro lo IOR, al tempo in cui “Il Corriere” era nelle mani dello IOR, e la P2 sceglieva i direttori (39). Naturalmente, però, lo IOR non avrebbe potuto agire senza l’avallo della Segreteria di Stato! Purtroppo, anche la pubblica e ripetuta ammissione del Gran Maestro Salvini, circa l’attuale appartenenza alla Massoneria divari “Alti Ecclesiasti”, è caduta nel vuoto!

In un’altra “lettera” a Giordano Gamberini, (allora Gran Maestro della Massoneria Italiana!), Don Rosario Esposito dice che: «una serie di decisioni di Paolo VI sono una indiscriminata apertura verso la Massoneria» (40).

E l’avvocato Mario Bacchiega, di Rovigo, docente di storia delle religioni in una facoltà romana, (e che conduce una rubrica per un’emittente televisiva regionale, spiegando ideali e riti dei “Figli della luce”!), richiesto di «quali attendibili testimonianze esistono sull’appartenenza di ecclesiastici alla massoneria», ha risposto:

«Ho visto molti  religiosi in Loggia, e mai del basso clero: si trattava sempre di persone rivestite di responsabilità» (41)!

Parlando del Vaticano II, affermò che, per ben due volte nel dicembre 1962 e nel novembre 1963 – il vescovo della diocesi messicana di Quernavaca, mons. Sergio Mendez Arceo, intervenne chiedendo che venisse tolta la “scomunica” ai massoni, perché «ormai, c’erano molti ecclesiastici affiliati» (42)!

E il già Gran Maestro del “Grande Oriente d’Italia”, Giuliano Di Bernardo, sul “Corriere della Sera” del 23 marzo 1991, aveva detto:

«Reagiremo agli attacchi del Papa; tra noi ci sono alti Prelati!».

 

A questo punto non c’è più da meravigliarsi della veridicità di quella “lista Pecorelli”!

 

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Mino Pecorelli

 

Persino “Panorama” del 10 agosto 1976, portando la sua lista – dove si finge di definirla inattendibile! – non esita, però, ad affermare:

«Se l’elenco fosse autentico, la Chiesa sarebbe in mano ai massoni. Paolo VI ne sarebbe addirittura circondato. Anzi, sarebbero stati loro a fargli da grandi elettori e poi a pilotarlo nelle più importanti decisioni prese durante questi 13 anni di pontificato. E, prima ancora, sarebbero stati loro a spingere il Concilio Vaticano II sulla strada delle riforme».

Tutto vero – si dirà – qualora si consideri che detta “lista” riporta i nomi di ben due Cardinali (Villot e Casaroli) che sono stati nientemeno che Segretari di Stato della Santa Sede; e riporta anche quello di un altro cardinale (Poletti) che da Paolo VI fu fatto Vicario di Roma, e cioè, Suo rappresentante nel governo della Diocesi!

E che dire, allora, quando quell’elenco porta come affiliati alla Massoneria anche altri Prelati autorevolissimi, come il card. Baggio e il card. Suenens e altri ancora?..

Vediamone, qui, almeno i principali, i più vicini e potenti collaboratori di Paolo VI.

(Riguardo la lista Pecorelli è interessante leggere l’articolo di Carlo Alberto Agnoli, “La massoneria alla conquista della Chiesa”)…

 

1° – Mons. Pasquale Macchi

 

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Pasquale Macchi, mentre sorregge Paolo VI all’uscita dall’udienza generale del 29 giugno 1978

 

Fu Suo Segretario personale. Gli fu vicino dal 1954 al 1978. Ebbene, anche il suo nome è incluso nella “lista Pecorelli”, tra i “presunti massoni”, con i “dati” ben precisi: Iscrizione:23/41958; :5463/2; Monogramma: MAPA.

 

2° – Il Cardinale Jean Villot

 

Cardinale Jean Villot

 

Della Sua appartenenza alla Massoneria ne parlerò, più dettagliatamente, anche nel capitolo VII di questo stesso libro. Egli fu per lunghi anni Segretario di Stato di Paolo VI, e poi, fino alla morte, (avvenuta il 9/3/1979) lo fu di Papa Giovanni Paolo I e di Giovanni Paolo II. Il Suo nome fu pubblicato anche sul mensile “Lectures Françaises”, tra altri ecclesiastici iscritti alla massoneria. Il Cardinale scrisse una lettera al direttore della Rivista, affermando di non aver mai avuto, “in alcun momento della Sua vita, il minimo rapporto con la framassoneria”. Ma è la solita negazione che devono fare tutti gli affiliati ad essa, specie se nei gradi superiori! Comunque, come sempre, le bugie hanno le gambe corte!

Anche per Lui, quindi, perché venne tradito subito dopo morto, ritrovando tra le sue cose anche un libro intitolato: “Vita e prospettiva della Framassoneria Tradizionale”, di Jean Tourniac, “Grande Oratore” della “Gran Loggia Nazionale di Francia”. Sul frontespizio del libro, vi sono due dediche, manoscritte, dedicate proprio a Lui: una, dello stesso Autore; l’altra, del Gran Maestro della medesima Loggia!

Anche questa è un’altra “prova” di quanto mi avevano asserito il Generale G. Leconte, dei “Servizi Segreti” francesi, e l’ufficiale Masmay (vedi cap. VII); e cioé che del massone cardinale Villot, anche “i suoi Genitori erano entrambi massoni della Loggia Rosa-Croce”! Del resto, le Sue posizioni teologiche ed i Suoi ideali furono sempre nella sfera dei vari cardinali e vescovi che figurano nella lista dell’“Osservatorio Politico” di Pecorelli, dove riporta, anche di Lui, i “dati” precisi: Iscrizione: 6/8/1966; Matricola: 041/3; Monogramma: JEANNI.

 

3° Il Cardinale Agostino Casaroli 

 

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Papa Giovanni Paolo II abbraccia  Agostino Casaroli

 

È anch’Egli nella lista di Mino Pecorelli, con questi “dati”: Iscrizione: 28/9/1957; Matricola: 41/076; Monogramma: CASA.

Il paolino Padre Rosario Esposito, nel suo libro: “Le Grandi Concordanze tra Chiesa e Massoneria”(43) riferisce che Casaroli, il 20 ottobre 1985, nell’occasione delle celebrazioni del 40°anniversario dell’ONU, tenne, nella chiesa di S. Patrizio, a New York, “un’omelia di vasto respiro”, i cui contenuti “attestano che le concordanze tra Chiesa e Massoneria possono essere considerate di fatto aquisite”(44).

Che il Cardinale Casaroli sia “massone”, lo prova anche il Suo elogio sperticato al gesuita, eretico e massone Teilhard de Chardin, in una sua “lettera” inqualificabile, inviata, a nome del Papa, a mons. Poupard, rettore dell’“Istitut Catholique” di Parigi, in occasione della celebrazione del centenario della nascita di Pierre Teilhard de Chardin.

Lo stesso Gran Maestro del Grande Oriente, Jacques Mitterand, in un suo intervento all’Assemblea Generale della Loggia, tenuta a Parigi dal 3 al 7 settembre 1967, aveva rivendicato alla Massoneria il merito delle pubblicazioni di Teilhard de Chardin, e aveva detto apertamente che «un bel giorno, è sorto dalle loro file uno scienziato autentico: Pierre Teilhard de Chardin» sottolineando che «le idee del gesuita Teilhard combaciano con quelle della Massoneria»!

Ora, una tale “Lettera” la poteva scrivere solo un “massone”, dando corpo ad un apostata eretico, – mediocre scienziato, mediocre filosofo e mediocre teologo! – che, a un amico domenicano (ma che aveva già buttato alle ortiche anch’egli la sua sottana!) aveva manifestato i suoi progetti di “rinnovamento” della Chiesa in chiave neo-modernista!

Un’altra “prova” dell’appartenenza alla Massoneria di Casaroli è stata data anche dall’avv. Ermenegildo Benedetti, già “Grande Oratore” del “Grande Oriente d’Italia” (quindi, il “numero due”, dopo il Gran Mestro – allora  Lino Salvini – della Massoneria Italiana!).

Infatti sul settimanale “OGGI” del 17 giugno 1981, parlando dei “Fratelli”, aveva dichiarato:

«Si diceva di Mons. Bettazzi, di Mons. Casaroli (…). Sia ben chiaro: non erano chiacchere di corridoio; erano “informazioni riservate” che ci scambiavamo noi dei vertici della Massoneria Italiana». (Da notare quel “non si parla, qui, di “chiacchere”, ma di autentiche “informazioni riservate”!).

Infine, a conferma del fatto che il Card. Casaroli sia “massone”, posso dire che lo ha ammesso anche il Papa attuale, Giovanni Paolo II. Infatti, il giorno 15 ottobre 1984, è venuto da me un arcivescovo (col suo segretario), stretto collaboratore del Papa. Tra l’altro, mi disse di aver fatto leggere al Pontefice il mio articolo: “Il nuovo Concordato” (su “Chiesa viva” n° 145), il cui primo firmatario era appunto il Cardinale Casaroli. Ebbene, l’Arcivescovo mi disse di aver fatto notare al Papa che, nel mio articolo, si evidenziava che il cardinale Casaroli era iscritto sulle liste massoniche.

Il Papa, allora, battendo il pugno tre volte sulla tavola, esclamò: «Lo so!.. lo so!.. lo so!..».

 

4° – Il Cardinale Ugo Poletti

 

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Fu Vicario di Roma, e, quindi, il rappresentante di Paolo VI nel Governo della Diocesi di Roma. Compare anch’Egli sulla “lista” dei “presunti massoni” di Mino Pecorelli, con i “dati” ben precisi: Iscrizione: 17/2/1969; Matricola: 43/179; Monogramma: UPO.

 

5° – Il Cardinale Sebastiano Baggio

 

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È anch’Egli iscritto nelle liste massoniche (45), con i “dati” precisi: Iscrizione: 14/8/1957; Matricola: 85/2640; Monogramma: SEBA. Fu Prefetto dell “Congregazione per i Vescovi” e, quindi, preposto alla nomina dei nuovi Vescovi, nonostante l’accusa pendente sul suo capo di appartenere alla sètta massonica, per cui poteva anche inondare le diocesi di tutto il mondo di iscritti alle Logge o di filomassoni!

 

6° – Il Cardinale Joseph Suenens

 

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Pure Lui è nella “lista Pecorelli”, con “dati” precisi: Iscrizione: 15/6/1967; Matricola: 21/64; Monogramma: IESU.

Si noti, anche, che fu un autorevolissimo esponente della “Pax Christi”, un’organizzazione in cui l’impegno politico-sociale sommerge del tutto quello religioso. Lo può dimostrare anche il suo manifesto sul disarmo del maggio 1982, dove Dio, Gesù, la Vergine e i Santi non sono neppure nominati, mentre tutto il discorso è incentrato sulla prospettiva di quel “Governo Mondiale”, o “Repubblica Universale”, a cui la Massoneria aspira fin dal suo inizio, come si vede nelle “Costituzioni di Anderson” del 1723, testo fondamentale di tutta la sètta massonica.

Già il 24 settembre 1970, Suenens aveva tenuto una conferenza, in una riunione massonica, organizzata dall’Alta Massoneria Ebraica dei B’nai B’rith, in cui aveva riavvicinato la Chiesa a quella sètta massonica che la Chiesa pre-conciliare aveva sempre anatemizzato (46)!

Si sa che fu anche uno dei grandi elettori di Paolo VI(47), il quale, poi, Lo nominò, immediatamente, “Moderatore” del Concilio (!!).

Ma il card. Suenens, per la nomina di Paolo VI – preceduta, propiziata e decisa! – partecipò anch’Egli ad una specie di “pre-conclave”, tenutosi nella villa di Grottaferrata di Umberto Ortolani, il famoso membro della Loggia P2 di Licio Gelli!(48).

L’on. Andreotti, nel suo libro: “A ogni morte di Papa”, parlando di quella riunione, riferisce che uno degli intervenuti gli disse, “tra il serio e il faceto, che c’era già la maggioranza canonica” (49)!

 

7° – Il Monsignore Annibale Bugnini

 

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Paolo VI affidò a lui l’esecuzione della “rivoluzione liturgica”; a lui, che Papa Giovanni XXIII aveva allontanato dall’Ateneo Pontificio in cui insegnava!

Ma Paolo VI lo richiamò, nominandolo primo Segretario del “Concilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia”, e, poi, Segretario della “Congregazione per il Culto Divino”.

Ma quando un Cardinale presentò a Paolo VI le “prove” dell’appartenenza di Mons. Bugnini alla Massoneria (50), Paolo VI fu obbligato ad allontanarlo da Roma (e perché non deporlo?) inviandolo come “pro-nunzio” a Teheran (Iran).

Per comprendere chi era questo Monsignore massone, rivoluzionario della Liturgia, si legga quanto “Avvenire” – “Informazione religiosa” (del 24 febbraio 1973, p. 5) riportava:

«(…) Due cerimonie, (Messa per gli alunni delle scuole cattoliche, e Messa dei giovani)… destinate anche a restare un esempio di sperimentazione liturgica, attentamente studiata e correttamente realizzata: prima, con danze sacre e un’anafora preparata per l’occasione; poi, con accompagnamento di una vera e propria orchestra “pop”. Dopo aver assistito alle due liturgie, Mons. Annibale Bugnini, segretario della Congregazione per il culto divino, ha detto che si è trattato del punto culminante della celebrazione; un ottimo esempio di soluzione per l’ultimo dei problemi che dovrà risolvere il movimento liturgico: il ricupero alla liturgia di un tradizionale segno del sacro, qual è la danza, e l’impiego di nuovi strumenti e canti, adatti alla mentalità dei giovani di oggi»!

Era ed è un “piano massonico”, destinato a divenire una triste e desolante realtà!..

 

8° – Il Vescovo Paolo Marcinkus

 

 

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Fu Presidente dell’“Istituto Opere di Religione” (= lo “IOR”). È anch’Egli elencato tra i “presunti massoni”, della “lista Pecorelli”, con i “dati”: Iscrizione: 21/8/1967; Matricola: 43/649; Monogramma: MARPA. Fu implicato in oscure vicende finanziarie, in strettissima collaborazione con la Framassoneria (51).

 

***

 

Ovviamente, per ragione di spazio, i nomi dei Prelati iscritti alla massoneria che ho qui riportati, non sono esaustivi. Non sono solo quelli citati, i nomi che figurano nei ranghi di comando di Paolo VI, ma anche parecchi altri.

Qui ci basta sottolinearne altri due di maggior rilievo: il card. Köenig e il card. Liénart.

 

9° – Il Cardinale Franz Köenig

 

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Questo “cardinale massone” fu arcivescovo di Vienna, dov’era Primate. Ebbene, Egli si ebbe due “processi civili”, in entrambi dei quali venne riconosciuta la Sua appartenenza alla Massoneria. (Non subì alcuna condanna solo perché la “Massoneria”, in Austria, è legalmente riconosciuta!).

Fu uno scrittore tedesco,E. K., che “ha potuto provare”, in tribunale, l’appartenenza del card. Köenig alla Massoneria. Se fosse stata, la sua, un’accusa falsa, il tribunale lo avrebbe condannato a un anno di prigione per “falsa testimonianza”; invece, non si ebbe neppure una multa (52)!

Il giornale cattolico “DRM”, a firma del direttore Benedikt Günther, parlò di quel “processo” che il Cardinale aveva intentato contro quell’insegnate e scrittore tedesco, E. K., il quale, però, “poté provare l’appartenenza alla Loggia massonica del cardinale Köenig”. Ma il direttore scrisse anche che già il 18 aprile 1967, un altro scrittore tedesco aveva informato il Cardinale di uno scandalo nella chiesa parrocchiale di Vienna-Hetzendorf, in cui v’erano tre stendardi blasfemi, dipinti per ordine di un massone d’alto grado, ma che il Cardinale, per oltre dieci anni, non diede mai alcuna risposta a quella lettera! Comunque, quel Direttore di “DRM”, nella sua “lettera raccomandata”, ribadisce che, in quel “processo” al Cardinale “è stata data la prova della Vostra appartenenza alla Loggia Massonica”!.. mentre contro quello scrittore non fu emessa alcuna condanna!.. E termina la sua lettera invitando il cardinale Köenig, per la salvezza della sua anima, “ad uscire subito dalla Loggia Massonica”!

Un’altra contro-prova che era “massone”, può essere anche il “fatto” del card. Köenig quando mandò un Suo “saluto” al Convegno di Assisi, il 22 agosto 1988.

L’inventore di quel “Concilio della pace” fu il rappresentante del “New Age”, Heizsafrer, il quale mira all’avvento di una “religione mondiale”, che è proprio il piano massonico (53).

Ebbene, il “massone” cardinale Köenig inviò un suo “saluto” al detto Convegno!

Da notare che la “vera Pace” del card. Köenig è nella “Nuova Spes”, che prevede un “Nuovo Ordine Internazionale”. Una “pace”, cioè, che corrisponde alla nuova immagine massonica dell’“uomo nuovo”!(54)

Persino lo storico ufficiale della Massoneria Italiana, prof. Aldo Mola, indica Köenig come appartenente alla Massoneria – sulla base di informazioni di un “altissimo e ottimamente informato dignitario giustinianeo” – come membro di una Loggia coperta romana (55).

Un’altra gravissima prova, a suo carico, può essere anche questa: che Lui, assieme al Gran Maestro Delegato della massoneria austriaca, Dott. Kurt Baresch,  fu il promotore della Commissione che approvò la “Dichiarazione” di Lichtenau del 5 luglio 1970, scritta da Rolf Appel, membro del Senato delle Grandi Logge Riunite della Massoneria tedesca. Fu elaborata e sottoscritta da una Commissione mista massonico-cattolica. Inizia con una invocazione al “Grande Architetto dell’Universo”, ossia al dio (!!) della Massoneria, e conclude auspicando la revoca di tutte le innumerevoli condanne emesse dalla Chiesa Cattolica contro quella sètta, specie dei canoni del Codice di Diritto Canonico del 1917, che comminano ai massoni la “scomunica”!

Infine, non si dimentichi che, in Concilio, fu il card. Köenig che raccomandò ai Padri conciliari di “prendere, finalmente, in considerazione le idee (!!) (di stampo massonico!) di Teilhard de Chardin sull’evoluzionismo”!

 

10° – Il cardinale Achille Liénart

 

Achille-Lienart

 

Figura come “massone” in varie liste, come in “Introibo” del luglio 1976 e sul settimanale italiano “Il Borghese”.

Fu “iniziato” alla Massoneria a Cambrai nel 1912, e nel 1924 fu elevato addirittura al 30° grado del rito scozzese antico e accettato.

Il framassone Monsieur B., (guarito, poi, a Lourdes il 19 luglio 1932, e la guarigione fu riconosciuta anche dal “Bureau des Constatations” il 18 luglio 1933!) ha narrato che, ai tempi in cui egli frequentava le Logge, vi incontrava il card. Liénart!

Da sapersi che fu il card. Liénart che il 14 ottobre 1962, durante la Prima Seduta dei lavori del Vaticano II, diede inizio alla ribellione contro gli “schemi” di studio e lavoro che avevano preparati le varie Commissioni della Curia Romana, respingendo anche i nomi che la Curia aveva proposti per la composizione delle varie Commissioni (56).

Il card. Liénart, poi, fu anche uno dei Capi di quel gruppo, organizzato, di Padri conciliari del Nord Europa, d’indole liberale, che presero il timone del Concilio, pilotandolo verso quei lidi, nuovi e inattesi, che stanno ancora distruggendo la Chiesa!

È ben comprensibile, allora, che quel cardinale massone, sul letto di morte, abbia esclamato: «Umanamente parlando, la Chiesa è perduta!» (57).

 

***

 

A questo punto, forse qualcuno si domanderà se l’autenticità di quelle “liste massoniche” sia stata verificata o no, perché sarebbe sconvolgente che la Massoneria, da sempre condannata ed esecrata dalla Chiesa di prima del Vaticano II, abbia, oggi, dopo Paolo VI, acquistato un potere così smisurato – anche se ancora occulto e incontrollabile! – sull’intera Chiesa cattolica! Perciò, prima di chiudere il nostro tema sull’apertura di Paolo VI alla Massoneria, sarà opportuno che diciamo una parola sugli elementi che possediamo a comprova dell’autenticità di quelle “liste” che furono oggetto anche di discussioni.

 

Inanzitutto, sarà opportuno soffermarci sulla questione del “segreto” di quella sètta libero-muratoria, perché la Massoneria è sempre stata ed è tuttora una “Società segreta”, le cui opere sono fatte all’insaputa di tutti, e i cui membri rimangono circondati dal più rigoroso mistero.

Questo è stato dimostrato, recentemente, anche dalla nota vicenda della P2, nella quale si trovavano persone dalle più diverse e anche contradditorie etichette, sia politiche che ideologiche.

È, quindi, una vera dabbenaggine affermare che la P2 era una Loggia “deviata”, quando lo stesso storico ufficiale della Massoneria Italiana, il prof. Aldo Mola, in una “intervista” a “Il Sabato” del 26 settembre 1992, ha affermato che la P2 «non fu una loggia deviata, ma si dovette sacrificarla perché non si scoprisse che la vera Massoneria era coperta»!

 

Chiarito questo, passiamo a parlare dell’attendibilità della “lista” principale, apparsa su “OP” (= Osservatore Politico) del 12 settembre 1978, susseguente, quindi, a quella uscita su “Panorama” del 10 agosto 1976.

 

Perciò, facciamo notare :

 

1° – che alcuni Cardinali chiesero chiarezza sulle liste, e che Paolo VI fu costretto a farlo, affidando l’incarico a Mons. Benelli, il quale, a sua volta, incaricò il Generale dell’Arma dei Carabinieri, generale Enrico Mino (58). Questi, sulle basi degli aggiornamenti fatti, espresse il suo convincimento che l’elenco fosse vero (59).

Anche il card. Siri si servì del generale Mino, verso la metà del 1977, per accertamenti su “Panorama”. Purtroppo, il generale trovò la morte, il 31 ottobre di quell’anno, in Calabria, sul monte Rovello, in circostanze più che sospette(60), portando nella tomba ogni risultato della sua inchiesta. Ma restano, tuttavia, delle misteriose telefonate, in cui Licio Gelli, (Venerabile della Loggia P2) parlava della “successione” al generale Mino, prima ancora che il Generale subisse quel tragico incidente!

 

2° – la “lista Pecorelli” trovò credito anche in Vaticano dove un giovane impiegato – nipote di un Religioso (p. P. E.) (molto noto!) – aveva consegnato una serie di scottanti “documenti” a Mons. Benelli, allora Sostituto della Segreteria di Stato, il quale lo fece giurare «che non stava mentendo su un argomento così grave!» (61). Delle fotocopie di quei “documenti” ne era in possesso anche il cardinale Staffa (62). Io ebbi “assicurazione” di questo “fatto” da un Cardinale di Curia (63), il quale, poi, mi diede anche alcune fotocopie di quegli stessi “documenti”!

 

3° – i “Numeri di tessera”, riportati sulla “lista Pecorelli”, conferiscono

un tono più che di credibilità, perché Pecorelli era membro della P2 (e perciò ben addentro alle “segrete cose”!), ma anche perché, con quella lista, Egli aveva invitato l’appena eletto Papa Luciani a un rigoroso controllo, ritenendo di offrire un valido contributo alla chiarezza nella stessa Chiesa Cattolica. Comunque, quella “lista” avrebbe dovuto scatenare o una pioggia di smentite o una epurazione nelle file ecclesiali. Invece, di “smentite” neppure una! di “epurazione”, poi, non ne ebbe neppure il tempo il neo-eletto Pontefice, forse anche “perché” Papa Luciani, “che aveva manifestato l’intenzione di metter mano alla questione dello IOR e di far chiarezza in merito alla lista dei presunti Prelati iscritti alla Massoneria”, morì anche Lui in circostanze e modi ancora ignoti!(64)

Per di più, anche Mino Pecorelli, l’Autore di quella “lista”, fu anch’egli freddato a colpi di pistola, pochi mesi dopo, e cioé il 20 marzo 1979; e così, con lui, furono sepolti anche tutti gli altri “segreti” che Egli possedeva di quella sètta massonica!

 

Ora, ci si può domandare: perché tutti gli “elencati” in quella “lista massonica” non si sono mai uniti tra loro per smentire quella denuncia pubblica, che portava tanto di “dati” (Iscrizione, Matricola, Monogramma), chiedendo ai tribunali un’indagine chiarificatrice, almeno sull’analisi grafologica delle sigle in calce ai documenti?

Come non riconoscere, allora, che quella mancanza di smentite e quel prolungato silenzio sono più che eloquenti a rivestire un valore indiziario di grandissimo rilievo?

L’unico ad essere defenestrato fu – come dicemmo – mons. Bugnini, l’Autore principale di quella rivoluzionaria riforma liturgica che ha sconvolto, in forma luterana, il rito bimillenario della Santa Messa, ma fu solo dopo la presentazione a Paolo VI delle “prove” della Sua appartenenza alla sètta massonica, che fu allontanato da Roma e inviato come “pro-nunzio” in Iran!

Comunque, un’altra grave conferma della “lista Pecorelli” apparve anche sul settimanale “OGGI” del 17 giugno 1981, già citato, sotto il titolo: “Salvini mi confidò nomi di insospettabili”. È un’intervista dell’avv. Ermenegildo Benedetti, di Massa Carrara, già “Grande Oratore” del “Grande Oriente d’Italia”, e quindi il numero 2 della Massoneria Italiana! Ebbene, in quell’intervista, Egli disse:

«Si diceva di mons. Bettazzi, di mons. Casaroli, del cardinale Poletti, di padre Caprile, scrittore di “Civiltà cattolica”, e del vescovo Marcinkus, l’uomo delle finanze vaticane, il cosidetto “banchiere di Dio”. Di questa gente si è cominciato a parlare dal 1970 in poi. Sia chiaro: non erano chiacchere di corridoio; erano “informazioni” riservate che ci scambiavamo noi dei vertici della massoneria italiana!».

 

E qui, si noti:

1° che i nomi da lui proferiti sono tutti riscontrabili nella “lista Pecorelli”;

2° che non si trattava di “voci”, ma bensì di “informazioni riservate”, correnti tra i vertici della Massoneria Italiana.

 

Ebbene, nessun Prelato in causa è mai intervenuto a querelare l’alto dignitario massonico, nonostante l’ampia diffusione, su scala nazionale, di quel settimanale!

 

***

 

Il tema di questa nostra indagine può fermarsi anche qui, alla “talpa” Pecorelli, che seppe infiltrarsi negli archivi del “Grande Oriente” e sottrarne quei documenti riservati! Delineati, così, i limiti del nostro lavoro, possiamo comprendere anche l’interrogativo che, certamente, sorgerà in molte intelligenze:

«Se tale era la situazione del 1976-78, chi era, allora, Paolo VI da consegnare la Chiesa in mano a una così poco stimabile staff di Cardinali e Vescovi, radicalmente diversi da quelli che li precedettero? ».

Interrogativo sconvolgente, che mi richiama, subito, uno scritto del Principe Scotersco, cugino germano del Principe Borghese, presidente del Conclave che elesse Montini a Supremo Pontefice; uno “scritto” che contiene le seguenti informazioni sul Conclave del 21 giugno 1963:

«Durante il Conclave, un Cardinale uscì dalla Cappella Sistina, incontrò i rappresentanti dei B’nai B’- rith, annunciò loro l’elezione del cardinale Siri. Essi risposero dicendo che le persecuzioni contro la Chiesa sarebbero riprese immediatamente. Ritornando al Conclave, egli fece eleggere Montini»!

 

Leggendo questo libro si puo’ capire il perchè sia servito a fermare una Beatificazione scandalosa e ci fa intendere molto chiaramente in che mani si trova la Chiesa da oltre quaranta anni…

 

Il cristianesimo, la Chiesa di Gesù Cristo, Corpo mistico suo, è eminentemente glorificazione di Dio. Satana che è contro la gloria di Dio, fin dal suo nascere gli ha mosso guerra spietata. Questa guerra l’ha continuata nei secoli, e dopo la grande sconfitta avuta con il trionfo della Chiesa e del regno di Dio in terra, la riprenderà con grande ira, sapendo di aver poco tempo.

Per questo la gran voce del Cielo gridò, dopo la sconfitta che san Michele e i suoi angeli inflissero a satana e ai suoi satelliti: Guai alla terra e al mare, perché il diavolo discende a voi con grande ira (Ap 12,12). Nel suo terribile furore egli cumulerà in un’unica lotta tutti gli sforzi fatti nei secoli, e di conseguenza i caratteri dell’ultima lotta rispondono a quelli dei combattimenti ingaggiati dal dragone durante tutta la vita della Chiesa.

 

Satana si è servito sempre dei re per irrompere contro la Chiesa, e dei falsi progressi della scienza e della civiltà per distruggerne la vita e paralizzarne l’azione. La sua lotta è stata subdola e continua, e a poco a poco ha tentato laicizzare le nazioni cristiane, e dissolvere la vita morale dei popoli con gli spettacoli inverecondi e le mode indecenti, vere immagini della bestia, animate dal suo spirito, e aventi sul labbro le sue parole.

 

Chi segue storicamente la vita della Chiesa fin dal suo nascere vi trova in ogni epoca i caratteri della lotta diabolica, e per questo molti hanno identificato l’anticristo con gli imperatori romani, con Giuliano l’apostata, con Lutero, Calvino, Napoleone, e nei nostri tempi con Stalin, Hitler e persino con Mussolini. L’identificazione non è esatta, perché l’anticristo, in quanto persona determinata, sorgerà nell’ultimo periodo della vita della Chiesa e avrà breve durata; ma, come in ogni epoca della vita della Chiesa c’è stato da parte di satana l’anticristianesimo, così c’è stato anche qualche corifeo più esiziale che lo ha promosso, e che in certo modo può riguardarsi come l’anticristo.

 

Abbiamo così sempre sulla scena del mondo le due bestie, quella del mare, l’imperialismo anticristiano, quella della terra, l’errore e la seduzione, e un personaggio che si rende eminentemente sovvertitore dei popoli, insidiatore della fede e del costume cristiano, e provocatore dell’apostasia dei popoli, e delle anime da Dio.

 

Nessuno potrà negare, per esempio, la funzione di anticristo dei persecutori della Chiesa, dei re di Persia, di Maometto e dell’imperialismo turco, di Lutero e del protestantesimo, di Robespierre e della rivoluzione francese, di Carlo Marx e del comunismo, di Hitler e del nazismo, di Loisy e del modernismo, del razionalismo, del criticismo e dello scientificismo.

Tutti questi esiziali movimenti di popoli e di pensiero hanno avuto i loro regni e le loro potenze coronate, come hanno avuto i loro falsi profeti, disseminatori di errori. Hanno suscitato l’ammirazione, perché hanno avuto un tristo fascino sui popoli; il timore perché sono sembrati irresistibili e fatali, ed hanno avuto manifestazioni di violenze, di bestemmie e di persecuzioni che hanno gettato il lutto e la desolazione nella Chiesa.

 

L’anticristianesimo e i suoi corifei, tanto nel campo politico, che culturale è stato un assalto che si è andato sempre più stringendo e serrando contro la Chiesa, fino a raggiungere l’apostasia moderna, che è spaventevole, e della quale tanto poco ci accorgiamo, precisamente perché siamo in un ambiente saturo di violenze e di errori che hanno avvelenato le nazioni e le stesse anime legate alla Chiesa.

 

Il male ha preso tale sopravvento nel mondo, l’errore e l’ignoranza religiosa dominano talmente gli spiriti, le violenze e le persecuzioni contro la Chiesa sono così sfacciate, che non si vede come si potrà uscire da questo baratro. Eppure il Signore trionferà anche su questa terra in questi momenti, e noi aspettiamo con incrollabile fede la manifestazione del regno di Dio per i due testimoni che attendiamo, e per i quali la bestia sarà piagata a morte.

 

Dopo un periodo di prosperità spirituale che avrà profonde influenze anche sulla vita materiale e sulla civiltà, il male riprenderà il suo ascendente, gli imperi e i regni ritorneranno all’apostasia, gli errori soffocati dalla luce della verità riprenderanno il loro dominio, le arti della seduzione delle anime raggiungeranno eccessi mai visti, ed ecco su tutta questa marea d’iniquità levarsi l’uomo della perdizione e del peccato, l’anticristo propriamente detto, il servo di satana, che per quarantadue mesi trionferà, tormenterà la Chiesa, vincerà i santi, e poi sarà sconfitto per sempre.

 

Verrà il Giudizio universale; risorgeranno i morti, compariranno tutte le genti innanzi a Gesù Cristo giudice, la giustizia sarà piena, la gloria di Dio sarà manifesta, la Chiesa sarà trionfante, trasfigurata, splendente in tutta la sua soprannaturale bellezza, e inizierà il regno eterno di Dio. Satana avrà perso per sempre la sua battaglia, il male sarà definitivamente sconfitto, e la terra, purificata dalle ultime tremende piaghe, sarà rinnovata perché in una nuova vita serva ancora alla gloria di Dio.

 

Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo

 

  

Fonte: visto su NON POSUMUS del 15 luglio 2011

Link: http://nullapossiamocontrolaverita.blogspot.it/2011/07/la-massoneria-in-vaticano-e.html

 

 

“ALTO TRADIMENTO” ALLE SPALLE DI PIO XII ? QUALE RUOLO EBBE MONTINI IL FUTURO PAOLO VI?

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Montini alle spalle di PioXII 

 

 

Quanto segue è tratto dal libro: “Papi in libertà” di padre Josè-Apeles Santolaria de Puey y Cruells  (Barcellona 1966).

 

Sacerdote, avvocato e giornalista è laureato in Giurisprudenza e Diritto Canonico e presso la Scuola Diplomatica spagnola si è diplomato in Studi Internazionali.

E’ inoltre Cappellano dell’Ordine di Malta ed è collaboratore di Radio Vaticana ed è inoltre autore di notevoli studi e articoli sulla storia della Chiesa e sulla storia dei Pontefici.

 

Questa premessa è importante per poter interpretare correttamente il testo che segue….

 

da pag. 255 a pag.261 c’è una meticolosa, seppur condensata, descrizione del difficile rapporto fra Pio XII e l’allora Vescovo Montini, futuro Paolo VI….

 

Padre Josè, pur sottolineando che “le ragioni” di un certo ben risaputo rapporto non felice fra i due, non è stato mai chiarito, egli avanza tuttavia con dei fatti ben conosciuti nell’ambiente…..

 

Riporterò il racconto rispettandone il contenuto (ossia senza aggiungere nulla di mio) ma non la sequenza delle parole stesse, sia per un problema di lunghezza, sia per rendere, in un forum, la lettura più scorrevole…..

 

 

LA SITUAZIONE

 

Alla morte di Pio XII, nel 1958, si presentò un grande dilemma nella Chiesa.

Da una parte il lungo Pontificato di Pacelli era stato segnato dal prestigio indiscutibile di un pontefice che, più passavano gli anni, più concentrava potere nelle sue mani, anche perchè era cosciente delle tensioni che crescevano all’interno del mondo cattolico….

Dall’altra parte la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi totalitarismi ed orrori, aveva aperto il dilemma non soltanto a nuove possibili distruzioni a livello mondiale, ma soprattutto alla necessità di un dialogo più aperto verso un mondo che voleva scardinare i valori tradizionali e perfino Dio….

In questo scenario si rafforzarono alcuni quadri all’interno della Chiesa che credevano più importante l’apertura ad un dialogo con il mondo sacrificando la parte magisteriale dogmatica e dottrinale della Chiesa, mentre si fecero più pressanti quelle parti definite poi “conservatori” che ritenevano più importante invece mantenere ad ogni costo la purezza del dogma e della morale cattolica, nonostante il pericolo di naufragare con chi si sarebbe potuto invece salvare.

Nascono così negli anni Quaranta e Cinquanta dei movimenti come quello della Nouvelle Théologie e dei sacerdoti operai che mantennero prima una posizione d’avanguardia tanto da essere tollerati dalla Chiesa, salvo poi, quando furono oggetto di condanna papale, agire più cautamente per non perdere un pò di tolleranza e agire così ugualmente efficacemente…..

 

Non è un segreto di oggi che molti all’epoca desideravano la morte di Pio XII che consideravano il maggior ostacolo alla vera riforma della Chiesa….e non si può negare l’importante ruolo svolto dal cardinale Ottaviani, che si rivelò essere un vero e provvidenziale “angelo custode” per il Pontefice ma anche per la conservazione dottrinale della Chiesa contro la deriva “progressista-modernista“….

 

Il vero scontro fra l’ala conservatrice e progressista della Chiesa non avvenne con il Concilio Vaticano II come molti pensano, ma bensì nel Conclave del 1958, con il quale si pensò appunto ad eleggere un Pontefice “innovatore”….

L’uomo “chiave” dell’ala innovatrice era Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano dal 1954, tuttavia impossibile dall’essere eletto in quanto non era stato fatto cardinale poichè – ed anche qui non è un segreto – Pio XII gli negò la porpora per ragioni che ancora non sono state del tutto chiarite, ma che si possono individuare con i fatti che seguono….

 

MONTINI E PIO XII

 

Negli anni Cinquanta, mons. Montini all’epoca sostituto della Segreteria di Stato, mantenne dei colloqui segreti con il Cremlino, senza che Pio XII ne fosse al corrente.

Che situazione fu mai questa?

Pio XII aveva mandato DI NASCOSTO, dall’altra parte della Cortina di ferro alcuni vescovi travestiti con l’intenzione di aiutare la Chiesa perseguitata nei Paesi dell’Est e questi avevano ricevuto l’incarico del Papa di fare alcune consacrazioni di altri Vescovi…

Ma qualcosa andò storto!

Improvvisamente questi vescovi inviati dal Papa furono tutti arrestati da Mosca  E FUCILATI o mandati nei Gulag della Siberia senza alcun processo e senza informare la Santa Sede.

Pio XII, appena che l’ebbe saputo, ne fu profondamente costernato e non si dava pace, non capiva che cosa fosse accaduto viste le mille precauzioni  prese….

Ma nel 1954, l’arcivescovo di Riga (Lettonia) comunicò personalmente a Pio XII una informazione importantissima ricevuta dal vescovo luterano di Uppsala (Svezia), che a sua volta l’aveva saputo direttamente dai servizi segreti occidentali…. insomma Pio XII venne a sapere che il KGB era stato informato della presenza dei vescovi clandestini niente meno che da “informazioni dalla Segreteria di Stato”….

Sembra che Pio XII pianse amaramente al solo pensiero di essere stato tradito dalla Segreteria più importante e senza perdersi d’animo aprì immediatamente un’indagine e qui scoprì i contatti avuti tra Montini e il governo dei “rossi” a sua insaputa, ossia “contatti non ufficiali”…..

Fu qui che immediatamente e sotto l’apparenza di una promozione, predispose l’immediato trasferimento di Montini alla Sede ambrosiana.

E senza manifestare alcuna emozione, alla consacrazione del nuovo successore di sant’Ambrogio, che ebbe luogo a san Pietro, Pio XII non fu presente…e Montini se ne andò appunto, senza il tradizionale “cappello rosso”, un fatto che stupì tutti in Vaticano, ma anche nella sede ambrosiana.

 

C’è da chiedersi come mai Pio XII fu così “buono” con Montini…

Il fatto è che probabilmente Pio XII non aveva avuto le prove che cercava. Certo, aveva avuto la prova che Montini intratteneva “contatti non ufficiali” con l’oltre Cortina, ma non aveva avuto le prove dell’alto tradimento tanto da incolparlo della morte dei Vescovi inviati di nascosto dal Pontefice…. e se Pio XII avesse avuto prove più sicure di certo avrebbe preso misure più drastiche del promoveatur ut amoveatur….

 

Dal canto suo e a onore del vero, Montini fu in un certo senso innocente della morte di quei vescovi, ma agì imprudentemente nel prendere la decisione di intrattenersi in colloqui non ufficiali alle spalle del Pontefice!

il vero colpevole fu un padre gesuita, Alighiero Tondi, alias “Cippico”, per altro subordinato di Montini, che le guardie messe da Pio XII a vigilare la Segreteria, scoprirono in fragrante nell’atto di fotocopiare dei Documenti segreti…. e così padre Tondi venne prima scomunicato e consegnato alla giustizia italiana che lo condannò a due anni di prigione, durante i quali si sposò con l’amante – con rito civile – Carmen Zanti, militante del Partito Comunista e obbediente tassativamente a Palmiro Togliatti…

 

LO SCONCERTO CHE PERÒ NON TUTTI OGGI SI SPIEGANO È QUANTO SEGUE:

 

il Tondi con la sua compagna trasmigrarono in Germania dell’Est dove lui divenne segretario del dittatore comunista Walter Ulbricht ed ottenne anche la cattedra di ateismo nell’Università Marxista-Leninista.

Quando Paolo VI fu eletto, la coppia ritornò in Italia…. e Tondi venne preso come funzionario civile in Vaticano e la Zanti ricevette incarichi prestigiosi nel Partito Comunista italiano….

Inoltre Paolo VI legalizzò quel matrimonio canonicamente nel 1965….

Ma non finisce qui…. quando la Zanti morì il funerale fu il pretesto di una grande manifestazione comunista e il Tondi, rimasto vedovo, chiese di essere riabilitato come sacerdote…. concessione che gli venne data niente meno che da Giovanni Paolo II nel 1980 e non solo, gli venne anche conferito il titolo di monsignore con la carica di “prelato d’onore” e mantenne un importante posto nella curia romana…

 

Questo epilogo è, per certi versi, molto incomprensibile dal momento che Paolo VI non giustificò mai attraverso uno scritto l’evoluzione di questa situazione, né il Tondi formulò mai le proprie scuse ne richieste di perdono, né fece mai abiura dei suoi anni vissuti da professore presso la cattedra ateistica dell’Università Marxista….si dice solo che rimasto vedovo “si ravvide”, ma nulla di più su tutta la vicenda.

 

IL CONCLAVE DEL 1958

 

Dal lato dei Conservatori-tradizionali c’era un giovane candidato, il cardinale Giuseppe Siri che all’epoca aveva cinquantadue anni e pertanto difficilmente eleggibile, così almeno si pensava all’epoca tanto che, alla voce di chi voleva Siri Papa, rispondeva un’altra voce che diceva: ” Vogliamo un Padre santo, non un Padre eterno!” a sottolineare la giovane età del prelato….

Si optò così per un “Papa di transizione“, accettabile da entrambi gli schieramenti e fu scelto il cardinale Roncalli, appoggiato e sostenuto anche dal cardinale Ottaviani che lo riteneva “aperto, ma ortodosso nella dottrina”….

 

e qui si apre un altro piccolo giallo….

 

l’ala innovatrice del Conclave diedero i voti a Roncalli MA FACENDOGLI UNA CONDIZIONE, ossia che al primo Concistoro Montini fosse fatto cardinale….liberandogli in tal modo la strada pensando già alla sua successione….

Roncalli mantenne la promessa!

 

Su Giovanni XXIII molto si è detto e forse dell’imprudenza di aprire un Concilio del quale egli stesso non sospettò affatto le conseguenze, c’è da dire, per onor del vero, che le sue intenzioni erano davvero buone.

 

Egli non voleva affatto rivoluzionare la Chiesa, pensava di estendere i frutti del Sinodo Romano del 1960 con un approccio semplicemente conservatore e dare l’opportunità a tutti i Vescovi della terra di potersi incontrare  e parlarsi dei problemi delle rispettive comunità e trovare nuovi modi per comunicare la sana dottrina in un mondo che cambiava vertiginosamente, il Papa non voleva altro!

 

Tuttavia fu egli stesso imprudente perchè nella composizione dell’assemblea in chiave ecumenica, non ci si poteva attendere il risultato da lui desiderato e si sarebbe dovuto sospettare il ribaltamento delle sue stesse intenzioni.

Giovanni XXIII, imprudentemente dunque, fece imbarcare la Chiesa in una avventura della quale nessuno sapeva come sarebbe potuta finire…

 

Il cardinale Tisserant disse, quando morì Giovanni XXIII, che la Chiesa “avrebbe impiegato 40 anni per riprendersi dal danno causato da questo Papa” (nota mia: noi che viviamo l’oggi con Benedetto XVI a distanza di oltre 40 anni, possiamo dire che questa profezia si è avverata….).

 

IL CONCLAVE DEL 1963

 

… nel 1963, nel Conclave, si riaccese la rivalità fra Conservatori-tradizionalisti e progressisti-modernisti.

Tuttavia a differenza dell’ala Conservatrice che non aveva chiaro un unico candidato, anche se proponevano Ildebrando Antoniutti appoggiato da Ottaviani, l’ala innovatrice era questa volta compatta verso Montini, unico candidato….appoggiato per altro in una famosa riunione a Grottaferrata dai cardinali Frings e Lercaro che portarono a termine una fruttuosa campagna per Montini che infatti fu eletto Papa….

 

Paolo VI fu un Papa molto complesso e contraddittorio, appare quasi impossibile tracciarne un unico verdetto.

Era un uomo che pensando dieci cose, nove le ricambiava nell’attuazione, c’è per esempio l’incomprensibile ripensamento della tiara.

Quando Montini divenne Papa e l’arcidiocesi di Milano organizzò una sottoscrizione per donargli la tiara, pochi sanno che fu lo stesso Montini ad ordinarne la composizione.

Fu Montini a scegliere il disegno ispirandosi alla forma usata da Bonifacio VIII per l’Anno Santo del 1300.

Ma come poi ben sappiamo dalla storia, appena egli ne fu incoronato, il 30 giugno del 1963, la diede in vendita per dare il ricavato ai poveri.

Ancora oggi non si discute tanto sulla tiara in quanto ornamento, venduto per darne il ricavato ai poveri, nobile gesto, quanto il fatto di una arbitraria decisione nel voler eliminare il simbolo del potere per modificare l’immagine della Chiesa.

 

Il dubbio che Montini ha fatto scaturire è stato proprio quello di una immagine di Chiesa che per la prima volta cambiava non a seguire la Tradizione ma seguendo l’andamento del mondo.

Paolo VI inaugurò una immagine di Chiesa fondata sull’onda emotiva del momento e a seconda delle capacità comunicative del Pontefice eletto.

 

L’atteggiamento incomprensibile e volubile della complessa personalità di Paolo VI, lo si evince anche quando perfino l’ala progressista che lo aveva eletto fin dal Conclave del 1958, eleggendo Roncalli solo come transizione in attesa di avere Montini cardinale, ne rimase profondamente delusa…

Paolo VI che sembrava il grande innovatore e il propugnatore delle cause dell’ala progressista, si arrestò tuttavia di fronte alle questioni etiche e morali difendendo la dottrina della Chiesa categoricamente fino a scrivere la Humanae Vitae e la Mysterium Fidae che salverà lo stesso Pontefice da ogni dubbio circa l’ortodossia della fede.

In questo modo Paolo VI si trovò completamente “solo”, incompreso sia dall’ala progressista che lo aveva eletto, sia dall’ala conservatrice che temeva le sue idee innovatrici.

Incompreso o meno resta palese che Paolo VI agì spesse volte in modo contraddittorio, con uno stile tutto suo spesso autonomo come quando, appunto, agiva di nascosto alle spalle di Pio XII.

 

I Papi che seguirono Paolo VI ebbero così  a che fare con una eredità gravosa: rendere credibile una immagine di Chiesa che da una parte si rifletteva in qualità di “amica del mondo” togliendole i fasti, il simbolo del potere temporale e spirituale che era la tiara e perfino la sedia gestatoria, e dall’altra ne condannava ancora una volta i vizi e i peccati.

La capacità della Chiesa di essere credibile non partiva più dalla sua dottrina, ma dalla capacità del Pontefice nel renderla credibile.

 

Quanto questa rivoluzione sia stata giusta o meno, lo dirà la storia, certo è che la crisi della Chiesa comincia proprio da quando ne venne intaccata l’immagine a partire dalla Liturgia, ma questa è un altra pagina che valuteremo più avanti.

 

LA CONCLUSIONE DI QUESTO TRAVAGLIO

 

Quando Paolo VI morì, lasciava la Chiesa in una profonda divisione, il principio di autorità pericolosamente contestato ed offuscato, il Clero in piena crisi, le Gerarchie – non tutte ma un fortissimo numero – si comportavano in forma scismatica – un esempio eclatante è il caso olandese – Paolo VI trascorse i suoi ultimi anni in profonda crisi….tormentato da molte situazioni lamentevoli!

 

C’è un piccolo giallo nel secondo Conclave del 1978 dopo la morte di Albino Luciani, Giovanni Paolo I.

Il Cardinale Siri in una intervista concessa al suo biografo Benny Lai, confermò che in quel Conclave aveva ricevuto i voti necessari per essere eletto Papa, ma che vi rinunciò…

 

Nell’intervista Siri conferma l’accaduto dicendo testualmente:

“Ho chiesto perdono a Dio!” aveva osato rifiutare la suprema dignità conferitagli.

Tuttavia Siri non svelò mai, neppure nell’intervista le ragioni di quella rinuncia.

 

Qualcuno molto vicino al cardinale, dopo la sua morte, narrava di come il cardinale sarebbe stato minacciato per sé e per i suoi familiari se avesse accettato la tiara….

 

Da allora si dice di Siri “Il Papa che non volle regnare – o che non potè “, il cardinale Siri che portò con sé il suo segreto nella tomba….

 

 

Fonte: visto su DIFENDERE LA FEDE FORUM del 7 ottobre 2010

Link: http://difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?c=167420&f=167420&idd=9461122

 

 

PERCHÈ PAOLO VI MODIFICÒ LA LITURGIA? E CHI ERA MONS. BUGNINI?

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Josè-Apeles Santolaria de Puey y Cruells

Josè-Apeles Santolaria de Puey y Cruells

 

 

Quanto segue è tratto dal libro: “Papi in libertà” di padre Josè-Apeles Santolaria de Puey y Cruells  (Barcellona 1966).

Sacerdote, avvocato e giornalista è laureato in Giurisprudenza e Diritto Canonico e presso la Scuola Diplomatica spagnola si è diplomato in Studi Internazionali.

E’ inoltre Cappellano dell’Ordine di Malta ed è collaboratore di Radio Vaticana ed è inoltre autore di notevoli studi e articoli sulla storia della Chiesa e sulla storia dei Pontefici.

 

QUESTA PREMESSA È IMPORTANTE PER POTER INTERPRETARE CORRETTAMENTE IL TESTO CHE SEGUE….

 

Riporterò il racconto rispettandone il contenuto (ossia senza aggiungere nulla di mio) ma non la sequenza delle parole stesse, sia per un problema di lunghezza, sia per rendere, in un forum, la lettura più scorrevole…..

Chi volesse riprodurre i testi nei propri forum o blog può farlo, ma pregandovi vivamente di riportare sia questo avviso, magari anche con un link, sia il riferimento al libro citato….e fraternamente senza estrapolare singole parti per usarle diversamente dall’originale….

 

 

LA RIFORMA PIÙ CONTRADDITTORIA DELLA STORIA DELLA CHIESA, LA MESSA

 

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Palo VI, Concilio Vaticano II 

 

 

Forse pochi sanno che l’indulto a celebrare la Messa antica nel mondo anglosassone, lo ottennero grazie alla passione di Paolo VI per i “Racconti in giallo” della scrittrice Agatha Christie la quale aveva firmato la petizione patrocinata dalla Latin Mass Society… Paolo VI che all’inizio non voleva concedere l’indulto, quando vi lesse il nome prestigioso della scrittrice, non volle farle uno sgarbo e “firmò l’indulto inglese“…

 

Non è una storiella come molti potrebbero pensare, purtroppo è un fatto veramente accaduto, un fatto associabile facilmente alla complessa figura di Paolo VI tracciata abbondantemente in quest’altro thread:

http://difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9461122&a=2#last

 

Ancora oggi molti si chiedono del “perchè” fu così necessario a Paolo VI di modificare la Sacra Liturgia, una domanda che non solo non ha mai chiarito il problema con un unica risposta, ma che ha fatto scaturire migliaia di risposte e nessuna soluzione!

 

Va subito detto ad onor del vero che le Riforme all’interno della Chiesa ci sono sempre state, ciò che dunque attira la nostra attenzione non è la riforma in sé, quanto la modifica vera e propria di una struttura bimillenaria che non si andava semplicemente riformando, bensì andava a modificare completamente tutto l’assetto liturgico.

Non dimentichiamo come si espresse l’allora cardinale Ratzinger nella sua autobiografia, la mia vita: i ricordi (1927-1977) dove dice testualmente:

che “la drastica maniera di applicarla (la riforma) provocò molti danni alla Chiesa“…

 

 

Tali Riforme che videro pieno assetto con il Concilio di Trento, in verità non cessarono mai di essere alimentate nel corso di questi ultimi secoli soprattutto a riguardo della Musica Sacra come sottolineò san Pio X il quale fu anche l’artefice della Riforma per la concessione dell’Eucarestia ai bambini… ma come ben vedremo un conto è la Riforma e il miglioramento della Messa, altra cosa è la creazione di una nuova struttura.

Per esempio, a riguardo della Riforma con la Sacrosanctum Concilium un conto era la questione della lingua attraverso la quale si doveva tradurre le venerabili formule latine nella lingua del luogo, vernicolari, altra cosa fu la completa modifica della loro struttura.

 

Nel 1969, mediante la costituzione apostolica Missale Romanum, Paolo VI stabiliva il cosìddetto “Novus Ordo Missae” (NOM) il quale intendeva rimanere in linea con una stretta interpretazione della dottrina non andando a modificare quello tradizionale codificato da san Pio V mediante la Bolla “Quo primum tempore” del 1570, fedele interprete del Concilio di Trento, ma che di fatto, il NOM, finì per essere definito “ex novo” e non dunque semplicemente che poteva “coesistere” con l’antico Rito, ma che di fatto sarebbe entrato prima o poi in rotta di collisione era inevitabile.

 

Non fu dunque l’intenzione dei Documenti del Concilio a voler creare una nuova Messa a discapito dell’antica, ma bensì il nucleo fondante l’ala progressista della Chiesa che si comportò come se il Rito antico fosse decaduto in prescrizione.

 

In quel periodo il caos invase la Chiesa e i Seminari: sacerdoti e fedeli furono obbligati da una domenica all’altra ad abbandonare la Messa che avevano fino a quel momento celebrato ed ascoltato e chi si permise di rifiutare un simile stravolgimento venne immediatamente additato come ribelle “nemico del Concilio”.

 

Famoso è il “Breve Esame critico del Novus Ordo Missae” elaborato dai cardinali Ottaviani e Bacci in una lettera che inviarono a Paolo VI, con l’aiuto di un importante gruppo di teologi romani…

Nella Lettera si faceva presente che non si trattava solamente di una questione di “dilettantismo” – o pastrocchio se preferite – o di attaccamento al passato, quanto il problema assai più grave che il NOM andava dissociandosi e allontanandosi letteralmente dalla Dottrina Cattolica come venne per altro stabilita dalla XXII sessione del Concilio di Trento.

 

Il problema reale risiedeva NELL’AMBIGUITA’ della messa riformata, suscettibile di più diverse interpretazioni tanto dal punto di vista cattolico quanto da quello protestante….

E questo è dimostrabile dalle parole ustae, in occasione del Concistoro Superiore della Chiesa della Confessione d’Asburgo, luterana – che riunita a Stasburgo disse:

Oggi come oggi dovrebbe essere possibile per un protestante RICONOSCERE nella celebrazione eucaristica cattolica, la Cena istituita dal Signore…

 

Una affermazione del genere era ed è inaccettabile ed impensabile rispetto alla Messa di sempre della Chiesa Cattolica.

Quelli che compresero meglio la situazione e la questione furono quei cattolici che per appartenere a paesi dove il protestantesimo era ben consolidato, avevano una certa familiarità con i suoi riti.

In Germania e in Inghilterra per esempio, si sviluppò una sensibilità istintiva che spinse i fedeli a comprendere immediatamente i grandi cambiamenti portati dalla nuova messa, tanto da associare fin da subito la strana somiglianza della riforma con quelle introdotte da Lutero e da Cranmer verso una Messa “meno Cattolica-papista” e più comunitaria-dell’assemblea….

Uno studio effettuato dai dirigenti Protestanti subito dopo il 1969, riportò – con termini di elogio e soddisfazione –  di come il Novus Ordo Missae effettivamente somigliava così alla “Formula Missae” dell’eresiarca di Eisleben, e al servizio di COMUNIONE del “Book of common Prayer” eduardiano…

 

C’è a tal proposito un aneddoto assai chiarificatore:

lo scrittore Julien Green, un anglicano che si convertì al cattolicesimo per altro grazie proprio alla Messa antica che sottolineava quella Presenza Reale che fu causa di divisione…

lo scrittore dunque, stupefatto nel verificare che il nuovo rito era così simile a quello che aveva conosciuto nella sua infanzia protestante, si girò verso la sorella che gli stava accanto, e tristemente le disse:

Ma allora, perchè ci siamo convertiti ?”

 

C’è da dire che proprio grazie alla presenza di questi Cattolici in questi paesi forti dove il protestantesimo era ben diffuso e quasi o del tutto maggioritario, questi Cattolici non si persero d’animo e da subito avviarono delle iniziative per preservare l’antica Liturgia della Tradizione Cattolica.

Quando nel 1964 cominciarono i primi drammatici cambiamenti, una dama norvegese, Borghild Krane, fondò l’associazione “Una Voce“, che ben presto si estese in  tutto il mondo diventando una sorta di Federazione Internazionale.

E’ importante sottolineare che tale Federazione è riconosciuta oggi dalla Santa Sede come un “interlocutore” importante per le questioni riguardanti la Messa.

Essa ha da sempre ricevuto l’appoggio dell’allora cardinale Ratzinger ed è in collaborazione con l’Ecclesia Dei creata da Giovanni Paolo II….

 

Tornando così alla Sacrosanctum Concilium, tale Costituzione del Concilio aveva nelle intenzioni il dare delle direttrici per riformare la Liturgia, ma in nessun modo esse implicavano la completa innovazione che poi avvenne!

Ciò che non si comprende è come sia stato possibile che all’improvviso, nel 1969, Paolo VI diede forza ad un rito che seppur nella sostanza del Canone centrale della Consacrazione era il medesimo, di fatto esso appariva completamente non rinnovato ma NUOVO e che nulla aveva a che fare con la dottrina stessa della Liturgia antica a cominciare dall’uso di certi termini, per poi finire con il dare all’assemblea la parte della protagonista alla nuova Messa

 

Queste non sono considerazioni faziose, ma la considerazione delle intenzioni  dell’artefice “oscuro” della riforma, padre Annibale Bugnini… il quale scriveva nel 1967:

La questione non è semplicemente quella di restaurare una valida opera maestra, ma, in molti casi, sarà necessario provvedere a nuove strutture per riti interi. E’ una questione di rinnovamento completo, quasi direi  DI RIFONDAZIONE, e in certi casi si tratterà di una CREAZIONE NUOVA….

Non stiamo lavorando per dei musei, vogliamo una liturgia viva per gli uomini del nostro tempo“.

 

In verità, come è facilmente dimostrabile, Paolo VI non era di queste intenzioni, eppure lasciò fare e finì egli stesso per adeguarsi alle iniziative di Bugnini….

 

E’ scandaloso apprendere che nel 1967 il Concilium che stava ancora lavorando, diede alla luce un formulario che chiamò “Missae normativa”, elaborato con la collaborazione di ben sei protestanti, e che fu portato ai vescovi per l’approvazione….

 

Il bello è che i vescovi infatti NON accettarono questo formulario e che anzi, scatenò come era giusto che fosse, molte reazioni contrarie che alla fine esso venne ritirato ma non gettato, bensì tenuto nel cassetto in attesa di “tempi migliori”…

 

Con astuzia luceferina il testo venne ritoccato qua e là senza modificare la sostanza che aveva invece ottenuto la negazione dei Padri, e portato davanti a Paolo VI il quale, incredibilmente, lo approvò con il nome di “Novus Ordo Missae”

 

Era il trionfo dell’ala progressista-modernista, ce l’avevano fatta, avevano vinto la loro battaglia!

 

Di conseguenza nella Nuova Messa abbiamo il contributo dei protestanti che guarda il caso NON credono nella Presenza Reale!

 

La nascita di questa Riforma resterà inspiegabile ed incomprensibile nella storia della Chiesa.

 

I frutti di questa rivoluzione non si fecero attendere:

– è dimostrata l’immediata diminuzione radicale dell’afflusso domenicale e festivo;

– crisi delle vocazioni sacerdotali e religiose;

– diserzione massiccia tra le file del Clero;

– svuotamento dei Seminari;

– messa in dubbio della dottrina Cattolica;

– nascita e sviluppo di correnti in opposizione al magistero ecclesiale e pontificio…

e non poteva essere diversamente: la Messa è il cuore della religione e della fede Cattolica, quando un impianto viene modificato nelle sue fondamenta è quasi impossibile non avvertirne gli scossoni e in certi casi vederne il crollo….

 

Lutero diceva: ” Tollem Missam, tolle Ecclesiam” – Eliminata la Messa si elimina la Chiesa – e resta incomprensibile la fiducia che Paolo VI continuava a dare al vescovo Bugnini il quale trionfalisticamente scriveva nel 1974 ” la nuova messa è la più grande conquista della Chiesa cattolica….

salvo poi ascoltare le lamentele dello stesso Paolo VI sull’AUTODEMOLIZIONE DELLA CHIESA e sul “fumo di Satana” entrato nei comandi dei vertici della Gerarchia, quando fu egli stesso alla fine a permettere che tutto ciò accadesse!

 

Mons. Bugnini fu accusato di essere un massone…. non tratterremo qui l’argomento perchè non è facile portare queste prove, ma deve essere detto dal momento che Paolo VI “promoveatur ut amoveatur” (che sia promosso per essere rimosso), allontanò Bugnini dal Vaticano spedendolo in Iran proprio perchè lo sospettava di affiliazione alla massoneria!

E qui si chiude il suo capitolo, oramai i danni erano stati fatti!

 

IL PIACERE DI COMANDARE

 

Un altra figura si ergeva nel Pontificato montiniano, il cardinale Benelli il quale, da dietro il “trono papale” e in qualità di sostituto della Segreteria, approfittava di un potere praticamente illimitato dal momento che Paolo VI non poneva mai obiezioni alle sue iniziative.

Tra queste ci fu quella assurda di voler togliere ai cardinali la tradizionale “exclusive” per l’elezione del Pontefice, pretendendo di voler far entrare nel Conclave persone estranee al Sacro Collegio e perfino allargate verso fronti non cattolici…. vi si oppose duramente il cardinale Siri che grazie al cielo ottenne da Paolo VI l’archiviazione dello strambo progetto!

 

Va sottolineata l’ironica e paradossale situazione che si era venuta a creare e cioè che quegli stessi che criticavano la Curia Romana come fino ad oggi era stata, preconciliare, accusandola di eccessivo centralismo e autoritarismo, si trovavano così all’apice del governo della Chiesa esercitando una autorità  che avevano reso indiscutibile e dieci volte più autoritaria che in passato!

 

Con una vera forma di CONGIURA Paolo VI nel 1967 aveva organizzato una riunione quasi segreta (=congiura) per riformare la Curia con la Costituzione “Regimini Ecclesiae Universae“:

tolse così alla Santa Congregazione del Santo Uffizio la sua supremazia ma concentrandola nelle mani della Segreteria di Stato, per cui la difesa della Dottrina della fede passò di fatto subordinata agli interessi della politica!

 

E’ da questo errore che si rese possibile per esempio la “ostpolitik”, che promuoveva l’apertura ai regimi Comunisti anche a costo di sacrificare le Chiese locali….

 

Non è un caso isolato la situazione drammatica che ne scaturì per la Chiesa in Ungheria e in Cecoslovacchia per non parlare dello STERMINIO della Chiesa UNIATA, depredata per ordine del Patriarcato di Mosca che all’epoca aveva fatto compressi con il regime sovietico per poter sopravvivere…

 

Paolo VI aveva affidato le questioni di fede e di politica sia a Benelli quanto al cardinale Casaroli, uomini di punta che con il cardinale Villot, Segretario, avevano concentrato nelle loro mani tutto il potere papale il quale paradossalmente tolto dal simbolo della tiara dismessa, fu trasferito di fatto all’interno di coalizioni che facevano il bello e il brutto tempo!

 

Ciò che ci consola è la promessa di Cristo: non prevarranno!

 

Le forse delle tenebre che inesorabilmente avanzano, non prevarranno sulla Chiesa!

Tuttavia questo non ci toglie la responsabilità dal compiere il proprio dovere che è quello di perseverare nella sana Dottrina e di portare avanti la Vera fede….

 

Ci piace ricordare san Pio X, il Papa che condannò le ideologie moderniste, fu eletto il giorno in cui si festeggiava la Festa di san Domenico di Gusman al cui fianco c’è un cagnolino che con una torcia irradia il mondo con il motto del Santo: Veritas che unitamente a quello di san Pio X

“Instaurare omnia in Christo”….

restano l’unico e autentico programma di ogni Pontificato e di ogni Concilio!

 

 

Fonte: da DIFENDERE LA FEDE, Forum, del 7 ottobre 2010

Link: http://difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?c=167420&f=167420&idd=9461594

 

 

INCURSIONE MUSULMANA CONTRO ROMA (846)

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Vaticano-Stanza-dellincendio-di-Borgo_La-battaglia-di-Ostia

La Battaglia di Ostia, Raffaello Sanzio e allievi (1515)

 

 

Già nell’830 pirati saraceni avevano devastato le aree abitate della campagna romana, giungendo fino alle basiliche di San Pietro e San Paolo e penetrando fino a Subiaco dove venne distrutto l’abitato e il Cenobio. Analogamente a questi eventi, nella notte tra il 24 e il 25 agosto dell’846 i pirati saraceni, dopo aver attaccato e saccheggiato Centumcellae, Civitavecchia, Porto e Ostia, si spinsero fino a Roma.

 

Questo è l’antefatto di una guerra che fu il jihad, con una sua lunga e terribile contabilità fatta di centinaia di attacchi, raids e scorrerie, sul mare come all’interno che interessano non solo il Sud Italia, ma tutta la costa e le isole tirreniche, dalla Calabria al Lazio fino alla Lunigiana, a Genova, alla Sardegna, alla Corsica. E l’Adriatico: la Puglia, con tutte le sue città, Ancona, le foci del Po, Grado, la Dalmazia. E i saraceni penetrano anche nell’interno, dal nord della Puglia fino agli Abruzzi e al ducato di Spoleto. Con incursioni che raggiungono il Piemonte, la Val di Susa, Asti. Ingaggiando numerose battaglie di terra e di mare, importanti o meno, tra cui Ostia e Milazzo.

 

«Nel mese di agosto 846 – scrive Prudenzio di Troyes – i saraceni e i mauri investirono Roma devastando la basilica del beato Pietro principe degli Apostoli, asportando insieme all’altare che sovrastava la sua tomba tutti gli ornamenti e i tesori. Alcuni duchi dell’imperatore Lotario furono empiamente tagliati a pezzi».

 

Da Harun ibn Yahya sappiamo quale fosse la provenienza di questi saraceni: sono spagnoli.

 

Mentre il Liber pontificalis riporta in che modo fosse composta la flotta e quanti gli armati: sbarca ad Ostia un gruppo di sessantatré navi, da cui scendono cinquecento cavalieri.

 

Vediamo ora come si svolsero i fatti: i saraceni, dapprincipio, risalgono il Tevere senza trovare alcuna resistenza. Assaltano le sedi dei forestieri, le scholae dei pellegrini sassoni, frisoni e franchi. Saccheggiano tutta la zona fuori dalle mura aureliane. Profanano le basiliche di San Pietro e San Paolo.

Le locuste, si disse, sono arrivate a distruggere le messi.

L’unica reazione arriva dai contadini romani che attaccano il contingente saraceno, che scappa con diverse perdite.

Il gruppo di predoni, scompaginato, una volta lasciata la città si riunisce di nuovo. Per altre razzie. Si avvia verso il Beneventano, lungo l’Appia. Arriva a Fondi.

A settembre comincia ad assediare Gaeta. Da Napoli e da Amalfi partono dei rinforzi, guidati dal console Cesario. Un contingente dell’imperatore franco corre in aiuto di Roma e cade in un agguato. È uno sfacelo.

I saraceni si dirigono verso Montecassino. Per strada bruciano tutto quello che trovano, chiese, cappelle, abitati. Li blocca solo un violento nubifragio. Si avvicina l’inverno. Per i razziatori è il momento di rientrare alle loro basi. Il blocco di Gaeta si spegne. Scatta, giocoforza, la tregua.

 

L’evento che colpisce Roma lascia una profonda ferita, i cui echi si proiettano ancora nel XII secolo, nella Destruction de Rome, sorta di proemio alla Chanson de Fierbras. Appare quasi inconcepibile che non sia esistito alcun meccanismo di difesa da parte romana. Il gruppo saraceno non è enorme. Basta un nubifragio a fermarlo: un po’ poco. A ogni buon conto, è la capacità di sorpresa, l’effetto psicologico che li rende imbattibili.

 

D’altro canto, i latini non possono che opporre la resistenza della popolazione locale, di contadini che si ingegnano guerrieri nell’assenza totale di ogni altra forza militare. I cavalieri franchi, poi, appaiono, in questa occasione, impreparati a confrontarsi con forze così rapide come quelle saracene. Si devono aspettare i napoletani e gli amalfitani, gli unici, in quel momento, ad avere una potenza navale e armata sufficiente da contrapporre. Ma c’è incertezza sulla loro fedeltà.

 

Fatto sta che i musulmani possono stazionare, praticamente indisturbati, per quattro mesi, tra Roma e il basso Lazio, mettendo a sacco la periferia della città, alle strette Gaeta, riducendo in macerie tutta la zona tra Fondi e Montecassino.

 

Dopo il massacro, in ogni modo, c’è da ricostruire, ricomporre una resistenza, per far fronte a un domani che si presenta oscuro. Nell’assenza del potere imperiale, il ruolo di promotore viene preso da papa Leone, il quale intuisce che i saraceni possono ritornare presto.

Allora bisogna coordinare le forze, riassestare le difese della città papale, operare con una forte e persuasiva opera di propaganda che rianimi le popolazioni avvilite, riattizzare lo zelo religioso e, in ultimo, ricorrere all’aiuto bizantino e delle città marittime del Tirreno.

Intanto un’onda di commozione fa il giro d’Europa. Roma è caduta. Roma sta cadendo. Ma aiuti non arrivano. Non possono arrivare. Il destino è nelle mani dei signori locali. Specialmente dei napoletani.

 

A Roma, la vita riprende a fatica: bisogna ricostruire un tessuto connettivo e impedire che i luoghi santi divengano nuovo oggetto di razzia. Nasce così la città Leonina. Mentre, nell’849, le città tirreniche riportano la vittoria navale di Ostia: un simbolo più che un momento di svolta nelle vicende meridionali del jihad. Da essa deriva almeno una certezza: che il nemico si può battere sul suo stesso terreno.

 

(Amedeo Feniello, “Sotto il segno del leone”, pag. 83, 84, 85)

 

 

Fonte: da ISLAMICAMNETANDO del 12 dicembre 2014

Link: http://islamicamentando.altervista.org/incursione-musulmana-contro-roma-846/?doing_wp_cron=1425472548.0253009796142578125000

 

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